L O STUDIO DELLA SOCIETÀ NELLO SPAZIO
6. È ancora necessaria la geografia sociale?
La svolta culturale degli anni Ottanta – tipica degli studi della post-modernità – non trova, in realtà, terreno fertile nella geografia francese, se si eccettua un polo legato al già citato Paul Claval. Questi è autore di una quantità impressionante di pubblicazioni, spesso a carattere divulgativo, che hanno il pregio (insieme all’opera di matrice marxista di Lacoste) di aver chiuso i retaggi della geografia vidaliana, facendosi primo – e ancor oggi quasi unico – divulgatore delle nuove correnti post-moderne di matrice anglosassone. La dimensione culturale dei fatti sociali conosce, in ogni caso, rari esempi di studi applicativi simili alla variegata realtà anglosassone: un esempio comparabile è, forse, il solo numero speciale di “Annales de géographie”, curato da Staszack (allievo di Claval), sul tema dello spazio domestico e sulle relative procedure di costruzione del “sé” in specifici luoghi.84
6. È ancora necessaria la geografia sociale?
La geografia sociale francese, pur avendo subito una travagliata storia, ha finalmente assunto una dignità di area di interesse per la comunità scientifica, con tecniche di indagine qualitative, oggi, largamente diffuse. Gli uomini in società sono entrati a far parte della geografia francese, pur con prospettive ed approcci differenti.
Bisogna sottolineare, però, che l’identità disciplinare, nonostante gli sforzi prodotti su più fronti, non è stata ancora intaccata nella dimensione della formazione accademica che resta ancora fortemente tematizzata sul rapporto uomo/natura. Negli ultimi decenni, le collaborazioni di geografi ad altri centri di studio sono sempre più frequenti e le pubblicazioni di scienze sociali vedono partecipare i geografi in numero crescente. Tuttavia, l’eredità del passato non sembra ancora del tutto scomparsa: nei dipartimenti di geografia si continua a studiare la geomorfologia e non è ancora previsto lo studio della sociologia, della antropologia o della filosofia.
Il tentativo promosso dai geografi delle università dell’Ovest di creare una rottura, una discontinuità rispetto alla tradizione vidaliana, è stata una utile “boccata d’ossigeno”, ma non ha avuto l’effetto dirompente auspicato dai suoi promotori nel libro-guida del 1984.85 Bisogna riconoscere, tuttavia, che sul finire del XX secolo si sono sviluppate crescenti relazioni della disciplina con altre scienze sociali e umane, come auspicato da quel gruppo di ricerca.
Tale filone di ricerca, in sintesi, a partire dal secondo dopoguerra, viene interpretato in Francia come una geografia dei problemi sociali che spesso si è accompagnata ad una visione politicamente impegnata del sapere, legandosi, senza approfondire la dimensione teorica, all’approccio di tipo marxista tanto negli esponenti pioneristici (George e Rochefort) quanto nella scuola costituita negli anni Ottanta nella rete dei poli universitari dell’Ovest. Il tentativo più compiuto di riflessione sugli strumenti teorici e sul lessico geografico (con l’uso del termine territorio) si è avuto solo con il gruppo legato a Guy Di Méo, che, però, non è riuscito a fornire una adeguata applicazione pratica al tentativo.
84 Staszack, 2001. 85 Frémont et alii, 1984.
Lo studio della società nello spazio 63 Nel complesso la svolta culturale, che così riccamente ha investito la geografia sociale anglosassone, non ha avuto un grande impatto, al punto che la geografia francese non può essere definita sociale e culturale allo stesso tempo: il percorso di geografia culturale si aggrega attorno alla figura di Paul Claval che, solo nominalmente, si è interessato alla geografia sociale. È, infine, opportuno ricordare anche il ruolo svolto da Augustin Berque che, nella deriva culturalista, rappresenta oggi uno dei massimi esponenti, studiando la forma urbana nei suoi rapporti tra dimensione ecologica e simbolica, con particolare attenzione al mondo giapponese.86
In ogni caso, la rete universitaria dell’Ovest, forse più della prima generazione di geografi marxisti, ha posto in maniera esplicita i termini dell’impegno sociale della professione di geografo, contribuendo a scuotere l’immobilismo di una geografia normata. Un impegno che, forse, non ha più terreno fertile in una società di difficile decodifica nella sua fluidità. Una società in rapida trasformazione che esprime un’atomizzazione e un individualismo, elementi molto più interessanti per la geografia che emerge dalla svolta culturale (definita da alcuni come postmoderna) che studia con maggiore cura soprattutto i segni, i simboli e la dimensione estetica dei luoghi.
La geografia francese negli ultimi quindici anni si propone, con una discreta periodicità, autoriflessioni sullo stato della disciplina, prospettando auspicabili svolte e rinnovamenti per uscire definitivamente dalla chiusura che la corporazione geografica ha sempre mostrato rispetto alle altre scienze sociali e umane.87 Il geografo simbolo di questo cambiamento di rotta è senz’altro Jacques Lévy, uno studioso difficilmente classificabile, di impostazione politologica, che diventa punto di riferimento senza costituire una vera scuola. Lévy definisce il suo approccio allo spazio nelle scienze sociali senza rivendicare alcuna affiliazione con altre scuole geografiche e si pone in maniera eclettica rispetto alla geografia francese (da alcuni anni ha scelto, non a caso, di trasferirsi a Losanna in Svizzera), muovendosi agevolmente tra le diverse scienze sociali con cui ha stabilito proficui dialoghi attraverso la rivista, da lui fondata, Espace Temps. L’autore è forse l’espressione più significativa della condizione della geografia francese contemporanea che, più che riconoscersi in grandi gruppi, sembra composta da “elettroni liberi” in scarso contatto tra di loro.88
In questo periodo, la geografia sociale, come campo autonomo e definito di indagine, resta ancora frammentata in centri di studio abbastanza isolati, legati al nucleo dell’Ovest. Benché le tecniche di indagini di tale gruppo di ricerca siano abbastanza diffuse, la geografia sociale, paradossalmente, non viene più considerata come filone utile di questa fase di rinnovamento, disperdendosi nel nuovo sapere geografico. La svolta della disciplina passa soprattutto per l’apertura alla contaminazione delle altre scienze umane e sociali e nel ritenere che la geografia dovrebbe delimitare un campo proprio di pertinenza interessandosi alla
86 Berque, 1993.
87 Knafou, 1997; Lévy, 1999; Lévy – Lussaut, 2000. 88 Knafou, 1997.
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disposizione spaziale della vita sociale,89 considerazioni, nei massimi termini, simili a quelle dei promotori del gruppo ESO. Non si avverte più, tuttavia, la necessità di distinguere tra la geografia e la sua declinazione sociale, considerata una inutile ripetizione.90 Forse la progressiva riduzione del peso della geografia sociale potrebbe essere considerata un successo perché sono stati raggiunti alcuni obiettivi di trasformazione della geografia francese classica, impensabili all’epoca dei primi pionieri degli anni Cinquanta. Tuttavia, resta ancora, secondo gli esponenti del gruppo ESO, l’esigenza di un campo di indagine che esprima un impegno politico, che appare meno presente negli studi attuali.91
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