1. La riproduzione anastatica dell’editio princeps del Candelaio (Parigi 1582),
1.2. Per quel che concerne il punto, il Nolano non si limita al più comune e
semplice impiego del punto “Fermo, o Finale”, che “si pone dove si ferma la
26 Firpo, 1958, p. 601. 27 Chiantera, 1983, p. 245. 28 Lombardelli, 1585, pp. 38-55.
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sentenza, e ha fine il Periodo”,29 secondo le istruzioni del terzo libro delle
Osservazioni nella volgar lingua del Dolce. Lo impiega, invece, in quattro modi
diversi:
a) seguito dalla minuscola; b) seguito dalla maiuscola;
c) seguito da due spazi bianchi e dalla maiuscola; d) seguito dal capoverso.
Essi indicano, inconfutabilmente, la sua preoccupazione di punteggiare tenendo presente principalmente l’esito orale del dialogo teatrale, e corrispondono ai quattro gradi del “punto fermo” che Salviati nel 1584, due anni dopo la pubblicazione del Candelaio, codificherà negli Avvertimenti della lingua sopra il
Decamerone. Nella XXIIII particella del terzo libro, intitolata Del punto, e degli altri segni, onde si distinguono le parti della scrittura, lo “’Nfarinato” scriverà, infatti:
“Conuien bene auer cura, che esso Punto fermo, piu, e men fermo puo essere in quattro gradi, cioè fermo, trafermo, e fermissimo, e trafermissimo […]. Appresso al fermo non seguirà maiuscola, al trafermo sì: dopo il fermissimo non pur uerrà maiuscola, ma doppio spazio tra lui, e la maiuscola s’interporrà. Il trafermissimo richiede il capouerso”.30
Parlando del punto, è opportuno fermarsi inizialmente sull’impiego, assai interessante, per noi moderni, del punto seguito da minuscola, che non vuol svolgere una funzione demarcativa, tendente a definire unità sintattiche e a indicare gerarchie, ma vuole segnalare, invece, una pausa assai breve, completamente sparita dall’uso. Bruno lo colloca spesso insistentemente nella sua prosa, per suggerire misura espressiva ed intonazione all’attore. Si leggano i seguenti passi:
Signori la comedia sarrà senza prologo. & non importa. per che non è necessario che vi sij. […]. questa è una specie di tela […]. chi la può capir, la capisca. chi la vuol intendere, l’intenda.
(Proprologo)
Gioan Bernardo Venite pur quando vi piace. & non dubitate di cosa buona dal canto mio. attendete pur voi à far bene dal canto vostro. perche.
(I, viii)
Mamphurio Neutiquam, absit verbo inuidia, dij auertant. ne faxint ista superi. Voi troppo volete veder di mia eruditione. credetemi che non hó poco io del fonte Caballino obsorpto. nè poco liquor mi haue infuso la de’ cerebro nata Iouis: dico la casta Minerua alla quale è attribuita la sapienza. […]
(II, i)
29 Dolce, 1560, libro III, p. 174. 30 Salviati, 1584, p. 329.
La punteggiatura nel Candelaio di G. Bruno 153 Scaramuré Presto. à la buon’hora. caldamente.
(III, iii)
Si noterà che il punto, seguito da minuscola, vuole qui indicare proprio una “pausa per il fiato” talvolta appena più forte di quella indicata dalla virgola, suggerendo all’attore modulazioni e variazioni di voce adeguate ad un parlato che non può essere, come si diceva, un parlato-parlato, bensì un parlato-recitato, implicando un andamento del discorso che non ammette fratture decisive, anzi comporta sempre legami sintattici ben avvertibili ed espliciti.
Questo punto “fermo”, come lo definisce il Salviati, o “mobile” come lo etichetta, invece, il Lombardelli,31 seguito dalla minuscola o anche da maiuscola, è usato pure, secondo le convenzioni del tempo, per introdurre il discorso diretto o una citazione, al posto dei due punti che impone l’uso moderno e che già cominciavano ad essere utilizzati, nelle stampe coeve, in analoga posizione:32
Barra […] Nicola disse. Si tu mi spontoneggi vn’altra volta, tel farò. & ella. ecco ti spontoneggio vn’altra volta […]
(II, v)
Marca […] Io dissi. non ti vergogni huomo da poco: camina […]
(III, viii)
Bartholomeo […] peró dice il saggio. Si bene feceris, vide cui. (III, i)
Lucia […] Hor leggiamo. Ferito m’hai o’ gentil signora il mio
core […]
(I, vi)
Mamphurio […] Lectio repetita placebit. Gutta cauat lapidem non
bis sed saepe cadendo […]
(III, vii)
Citazioni e discorsi diretti sono pure introdotti dalla semplice virgola o sono immuni di segno:
Gioan Bernardo
Scrisse un epithaphio […]. che sonaua in questa foggia, Chi falla in appuntar primo bottone;/ Ne mezzani, ne l’ultimo indovina:/ Però mia sorte canobbi a’ mattina ;/ Io che riposo
31 Lombardelli, 1585, p. 115.
32 Nell’Aminta (Manuzio, Venegia, 1581) e nel Torrismondo (Comino Ventura, Bergamo, 1587) talvolta il discorso diretto è introdotto dai due punti. Si legga ad esempio il resoconto delle ultime parole pronunciate da Aminta suicida: “Indi parlomi si: Fa, che tu conti/ A le Ninfe, à i Pastor, ciò che vedrai: /Poi disse, in giù guardando: /Se presti al mio volere/ Così haver io potessi /La gola, e i denti de gl’avidi lupi, /Com’ho questi dirupi, /Sol vorrei far la morte/ Che fece la mia vita: /Vorrei, che queste mie membra meschine /Si fusser lacerate, /Ohime, come gia foro /Quelle sue delicate” (T. Tasso,
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morto Giacopone. (V, xx)
Sanguino […] il leone sentì maggior angoscia che sentir possa donna che sia nelle pene del parto: gridando, olà, olà, oi, oi’, oi’, oimé. ola’ traditore. […]
(II, iv) Gioan
Bernardo
Dovevi ponerti in pegno & securta & dire Mess. auanzaró oro per me & per te […]
(I, xi) Gioan
Bernardo
Si si, burlo. la prima volta che vi vedró insieme diró ecco qui la tua cappa Cencio; ecco qui la tua cappa Bartholomeo. Ma dimmi […] non l’hai tu attacata à costui come l’attacco il Gigio al Perrotino?
(I, xi)
In rari casi, forse per una svista dello stampatore, il discorso diretto è introdotto, invece, dal punto e virgola:
Bidello Et io vi rispondo; il mal’an che dio vi dia; prima che fussero comedie, dove mai furon viste comedie? Bonifacio Io ti dico in nome della benedetta coda de l’asino
ch’adorano a’ Castello i Genoesi; Fá presto, tristo, & mal volentieri […]
(I, i)
Il punto “trafermo” viene usato in modo piuttosto parsimonioso e, in genere, per chiudere un periodo e isolare un pensiero nelle battute più lunghe o nei monologhi:
Bonifacio Guarda guarda con qual tiro, & con quanta facilitá questo scelerato me si há fatto dir quello: che meglo sarrebbe stato dirlo a’ cinquant’altri. Io dubito con questo amore di hauer sin hora raccolte le primitie della pazzia. Hor alla mal’hora voglo andar in casa ad ispedir Lucia. veggo certi furfanti che ridono suspico, ch’harrano udito, questo diauol de dialogo anch’essi. Amor & ira non si puot’ascondere. (I, iii)
Bruno lo impiega pure, in modo più incisivo, per staccare una parola sola e allora il ritmo del discorso diventa assai scattante e precipitoso:
Bidello Costui è (vel dirrò piano) IL CANDELAIO. Volete ch’io vel dimostri? Desiderate vederlo? Eccolo. Fate piazza. Date luoco. […].
La punteggiatura nel Candelaio di G. Bruno 155 Come si diceva, l’autore usa pure il punto seguito da un doppio spazio bianco. Tale spaziatura, oltre a valere come forte cesura nella catena del discorso, nel testo teatrale serve, naturalmente, come strumento di enfatizzazione delle pause:
Mamphurio Vade ergo in infaustam nefastamque crucem, sinistroque Hercule. si dedignano le Muse di subire il porcile del contubernio vostro; vel haram colloquij vestri. Che giudicio fai tu di questo scelesto o’ Pollula?
(I, v)
Bonifacio Da Candelaio volete douentar orefice […]. Lo essere orefice non è male. non há egli altro di brutto che quel guazzarsi le mani dentro l’vrine doue tal uolta pone in infusione la materia dell’arte sua oro argento, & altre cose preciose: pur queste parabole qualche di l’intenderemo. Ecco mi par veder Ascanio con Scaramuré.
(I, ix)
Scaramuré Oportet aduocare septentrionales. Basta basta. cqui non bisogna altro, voglo effectuare il tuo negocio con magia naturale lasciando à maggior opportunitá le superstitioni d’arte più profonda.
(I, x)
Molto raro è poi, come era prevedibile, l’impiego del punto “trafermissimo”. Compare a segnare pause forti ancora una volta solo nei monologhi e nelle battute più lunghe:
Bartholomeo Cancaro se mangi quante ruffiane & puttane sono al mondo. starebbono fresche le potte s’aspettassero la nostra rendita, idest l’entrata. per me tanto, sicuramente l’aragne vi potran far la tela. Di metalli dicono che il piú graue è l’oro: & tutta via […]. Messer Bonifacio quando s’harrà scrollata la borsa, et la schena, si sentira più graue, al dispetto di tutti suoi nemici. Ma ecco a’ tempo quel bel paranimpho inamorato: non porta più la bella cappa: bendette sijno le mani a quel mariolo, adesso corre all’odore. (IV, iv)