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Le prime impronte della geografia sociale francese

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 79-82)

L O STUDIO DELLA SOCIETÀ NELLO SPAZIO

1. Le prime impronte della geografia sociale francese

L’evoluzione della geografia sociale francese ha un andamento abbastanza singolare: compare alla fine dell’Ottocento prima dell’espressione geografia umana – che si impone solo con l’opera di Jean Brunhes (nel 1910) – pur essendone sostanzialmente un sinonimo. Bisogna attendere il secondo dopoguerra per rintracciare un percorso che meglio ne definisca i caratteri. Un indirizzo di studi promosso, come vedremo, da pochi ricercatori “pionieristici”, per poi svilupparsi a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.1

L’esercizio di rintracciare illustri predecessori di un particolare filone di studi spesso è un’operazione funzionale a giustificare, a posteriori, la rilevanza e il prestigio di questa specifica area di ricerca. In questa circostanza, rintracciare i prodromi di un filone della geografia francese diventa rilevante poiché fornisce la misura dell’intermittente interesse che questa branca della geografia ha suscitato in un lungo periodo.

L’attenzione per le questioni sociali in stretta relazione con i luoghi, in Francia, registra non pochi riferimenti anteriori alla stessa definizione dello statuto disciplinare delle scienze sociali. Basti pensare all’opera di Vauban, Villermé, alla produzione letteraria di Emile Zola o alle inchieste come quella condotta dai

dottori Bonamy e Guepin nel 1835 sulle condizioni della classe operaia a Nantes.2

Nel caso specifico della scuola francese di geografia sociale è possibile vantare una storia ultracentenaria con padri fondatori del calibro di Elisée Reclus (1830-1905) che ha esplicitamente utilizzato l’espressione. Riteniamo pertanto opportuno dedicare un breve approfondimento che funga da prologo alla contemporaneità della branca disciplinare in oggetto.

L’espressione “geografia sociale” compare per la prima volta negli anni Settanta del XIX secolo, nell’ambito delle riviste La Réforme Sociale e Science Sociale, fondate dal sociologo ed economista Pierre Le Play. In particolare, nella prima rivista si usa questo termine per recensire l’opera di Reclus Nouvelle Géographie Universelle, e, nella seconda rivista, Edmond Demoulins pubblica, in diversi articoli, una geografia sociale della Francia. Il contesto scientifico ed accademico di allora è quello della definizione positivista delle singole scienze, inclusa la geografia, ma non è un caso che sia la sociologia (Le Play e i suoi allievi) a coniare per prima

1 Meneghel, 1987.

2 Un’indagine sulla miseria della città e sulla crisi dell’ordine sociale nella fase di inurbamento successivo allo sviluppo industriale che, anche se meno nota, ha lo stesso valore di denuncia dell’indagine effettuata da Frederic Engels nei quartieri operai di Manchester qualche anno più tardi. Cfr. Bonamy – Guepin, 1835, ristampato dall’Università di Nantes nel 1981 (citato in Hérin, 1984).

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l’espressione in questione, attribuendole il compito di studiare le relazioni tra contesto geografico, famiglia e organizzazione del lavoro.3

Il rapporto tra queste due discipline si è caratterizzato, nel corso dei decenni, in modo dialogico e spesso conflittuale. Una relazione/sovrapposizione che ancora oggi suscita non poche perplessità,4 ma che nel periodo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento appare anche occasione di un ricco e proficuo dialogo. Sono gli anni in cui, in particolare in area francofona, geografia umana, antropogeografia e geografia sociale risultano utilizzati, almeno apparentemente, come sinonimi. Nell’ambito della geografia sono gli anni in cui, in una logica positivista, si rivendica con forza l’unitarietà del sapere, includendo negli interessi sia gli aspetti di geografia fisica che quelli relativi all’intervento dell’uomo. Ma soprattutto sono gli anni in cui la rivista Année de Sociologie trova spazio un dibattito scientifico sull’opera di Ratzel, promosso da Emile Durkheim e dai suoi allievi.

Sempre sul finire del XIX secolo emerge la figura di Elisée Reclus, geografo anarchico, che nella sua ponderosa opera sviluppa un interesse per la dimensione socio-spaziale e, pur assumendo un ruolo di critica nei confronti della società a lui contemporanea, nei fatti, non scioglie la sinonimia tra la geografia tout court e la sua declinazione sociale. La sua opera, il suo continuo viaggiare e l’impegno divulgativo che si era prefisso contribuiscono poco ad arricchire il dibattito, essendo egli un militante soprattutto al servizio del suo ideale politico.5 La sua opera divulgativa si esprime anche attraverso la pubblicazione, fino alla sua morte, sui periodici anarco-comunisti e, soprattutto, nell’introdurre i contributi dei padri fondatori dell’anarchismo come “Dieu et l’État” di Bakunin (1882) e “La Révolte du Pain” di Kropotkin (1892), il quale, anche se in maniera molto episodica, non disdegna incursioni nelle tematiche territoriali collaborando ai lavori di Reclus.6

È in particolare L’Homme et la Terre (1905-08), l’opera conclusiva dell’immensa produzione reclusiana, che assume i caratteri più propriamente sociali, affrontando il tema della lotta di classe, dell’equilibrio tra natura e uomo e del ruolo primordiale dell’individuo. Una pubblicazione apparsa postuma ma che nelle intenzioni dell’autore doveva essere un saggio di “geografia sociale”.7 In realtà, nell’opera di questo geografo libertario – se si eccettua qualche riferimento alla struttura sociale di alcuni paesi oppure all’analisi della scolarizzazione nel caso della Spagna – il progetto sembra più di geografia storica e di descrizione di una teoria dell’evoluzione dell’umanità sulla terra.8

Camille Vallaux (1870-1945) e Jean Brunhes (1869-1930) possono essere iscritti, a

3 Hérin, 1984.

4 L’inutilità e l’ambiguità della geografia sociale è una considerazione abbastanza diffusa tra i geografi francesi, si veda ad esempio Roger Brunet o Michel Lussault che considerano implicito nella dimensione spaziale quella sociale. Il termine spaziale è, dunque, sufficiente a se stesso e rende inutile qualsiasi prefisso (Brunet, 1992).

5 Hérodote, 2005; Giblin, 1976. 6 Coppola, 1986.

7 Reclus, 1982; Errani, 1984; Reclus, 1999; Hérodote, 2005.

8 “La Terre et l’Homme è più un affresco storico e una sintesi di scienze sociali, qualche volta messianico, che un’opera di geografia” (Hérin, 1994, p. 33).

Lo studio della società nello spazio 49 diverso titolo, tra i precursori della geografia sociale. Il primo usa esplicitamente nelle sue opere l’espressione, anche se è sostanzialmente un sinonimo di geografia umana, nel tentativo di svincolarsi dal determinismo ambientalista, insistendo sulla libertà degli uomini nei confronti delle condizioni naturali.9 I grandi dibattiti scientifici e filosofici condizionano anche l’opera di Brunhes che, però, riesce a meglio definire il ruolo dei fatti sociali e le pratiche della vita sociale nello studio geografico, accordando un minimo spazio alla miseria urbana e alla diffusione delle malattie epidemiche10 al punto da poter essere considerato l’unico reale precursore della geografia sociale contemporanea.11 Isolato è anche lo studio di André Siegfried sui comportamenti collettivi. L’autore, di solito studiato nella geografia politica, analizza la distribuzione spaziale di fatti di natura sociale quali le scelte elettorali: dietro le scelte politiche si leggono le strutture della proprietà terriera, la dispersione rurale, la distribuzione della scuola pubblica e di quella privata.12 Partendo dagli studi di Siegfried, in anni più recenti, la geografia del comportamento elettorale diventa un ambito di interesse degli studiosi francesi che traccia una prospettiva originale di lettura del rapporto tra spazio e società.13

La dimensione antropica prende sempre più piede nell’attenzione dei geografi e i punti di sovrapposizione con la sociologia non appaiono pochi. I primi decenni del Novecento – benché ricchi di grandi tensioni sociali, politiche e culturali – vedono i geografi transalpini impegnati a salvaguardare l’unità della disciplina, arrivando, con Paul Vidal del Blache (1845-1918), considerato il fondatore dell’approccio possibilista, a definire la geografia come scienza dei luoghi e non

degli uomini.14 Un’affermazione che sorprende se si pensa al rilievo che assumono

nel possibilismo vidaliano i fattori culturali e sociali che si esprimono in una relativa autonomia dell’uomo e soprattutto nel concetto di genere di vita.15 L’esigenza di unitarietà si pone anche nei confronti della concorrenza disciplinare della sociologia che tende ad allargare i propri campi d’azione, stabilendo rapporti con alcuni geografi (Ratzel, come detto, ma anche Albert Demangeon). Nel clima culturale del tempo, si inserisce uno storico appassionato di geografia, Lucien

9 Si vedano le opere del 1908 (Géographie sociale: la Mer, Parigi, Doin) e del 1911 (La Géographie sociale: le

Sol et l’Etat, Parigi, Doin).

10 Brunhes, 1946. 11 Hérin, 1984. 12 Siegfried, 1913.

13 Buléon, 1988; Lévy, 1994.

14 Questa frase, una sorta di manifesto della geografia possibilista, è stata scritta nel 1913 nell’articolo “Les conditions distinctives de la géographie”, negli Annales de la géographie, vol. XXII, n. 124, pp. 289-299. La concettualizzazione del possibilismo, in contrapposizione al determinismo, è, invece, opera di Lucien Febvre (1980). Il possibilismo rappresenta la scuola classica di geografia umana francese che si avvalse della formazione storica e, partendo ancora dal binomio uomo-ambiente, portò l’attenzione sul ruolo dell’uomo, inteso come libero di decidere, di costruirsi un proprio ambito territoriale, vincolato non tanto da una natura con caratteri di necessità, quanto dalla storia, dalle scelte compiute in passato. Dall’impostazione vidaliana si formò la tradizione idiografica delle monografie regionali.

15 L’insieme delle modalità materiali con cui si procacciano la sussistenza i gruppi umani in stretto rapporto con l’ambiente geografico.

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Febvre che definisce la distinzione tra morfologia sociale e geografia.16 La scelta per la Terra piuttosto che per la Società come oggetto di studio, sembra pertanto frutto della necessità di uscire dalla morsa della sociologia che attraverso la morfologia sociale si ritiene meglio attrezzata per affrontare le relazioni tra fatti geografici e sociali, relegando in un angolo la disciplina geografica. Peraltro, la formazione e l’impegno politico dei protagonisti del dibattito non sono da sottovalutare. La scuola vidaliana, pur nell’eterogeneità dei suoi esponenti, ha una impostazione di tipo storico, attingendo nell’humus culturale della borghesia repubblicana moderata (quasi tutti si formano all’École Normale Supérieure) contro la scuola sociologica più orientata verso le problematiche sociali molto pressanti in quell’epoca. Così, l’attenzione per la descrizione degli ambienti naturali conduce l’interesse dei geografi francesi verso l’Uomo piuttosto che verso i gruppi sociali o la dimensione politica dello studio geografico. La scuola possibilista apre la strada ad una sconfinata bibliografia di studi di sintesi regionale, manuali ed enciclopedie dove il riferimento alla società è molto sfumato ed evocato attraverso termini quale “civilizzazione” o “paesaggio umano”. Sono gli anni in cui, dal punto di vista metodologico, prende piede con forza la descrizione delle singole realtà locali con strumenti d’analisi di tipo induttivo. Il dominio di questa impostazione degli studi non lascia spazio all’emergere di una reale geografia sociale che, in questa fase, possiamo dire essere solo presente, salvo che per qualche rara traccia, come nome ma non come contenuto di ricerca.

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 79-82)