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I. L'ÉKPHRASIS DALLA RETORICA ALLA SCENA

2.4. L'ékphrasis del movimento

In un articolo molto interessante, lo studioso americano Martin Puchner analizza un romanzo dell'autore contemporaneo britannico Adam Thorpe, Still, in cui si assiste a una vera e propria integrazione tra cinema e letteratura. Recuperando la nozione di Iser di “lettore implicito”, quello che Puchner legge in Still è una mescolanza di lettore implicito e spettatore implicito che si trovano a occupare la stessa posizione nella lettura del testo. Puchner scrive che «The culture and practice of silent reading on which the novel depends and which it instituted, as Ian Watt and others have shown, is replaced by the culture of the movie theater».274

Il romanzo, che si sviluppa come racconto della visione di un film cinematografico, proporrebbe dunque un tipo di scrittura ecfrastica complicata proprio dalle sovrapposizioni mediali: il romanzo, più che essere influenzato dal cinema nelle forme di costruzione narrativa, ne è influenzato per il tipo di pratica visiva che si sviluppa con l'avvento dei nuovi media e, soprattutto, la scrittura è pensata per rivolgersi ad un lettore che si fa spettatore (e che ha un'esperienza come tale).

Molti studi oggi tendono a evidenziare le influenze che la scrittura del XX secolo subisce dallo stretto contatto con altri media, con il cinema e la fotografia per esempio per questioni di montaggio, di improvvisi cambi di prospettiva ecc.275 In realtà, si potrebbe osservare facilmente

come questi modelli compositivi si trovino anche in opere della tradizione romanzesca precedente all'avvento del cinema, benché la tradizione del nouveau roman sia in effetti legata alle dinamiche cinematografiche trasposte in forma scritta (basti pensare alla dignità letteraria data da Robbe Gillet alla scrittura cinematografica). Torniamo però per un attimo al romanzo di Thorpe, Still. Qual è la sua caratteristica?

Still is a novel writing back to the cinema, without either integrating the film's textual form into the novel, as Ulverton had done, or by translating cinematic techniques into narrative strategies, like Robbe-Grillet. In a surprising gesture, the entire novel is presented as a film that is being shown at a New Year's Eve party; an iconoclastic film consisting of text 274H. Martin Puchner, Textual Cinema and Cinematic Text: The ékphrasis of Movement in Adam Thorpe and Samuel

Beckett, in http://webdoc.sub.gwdg.de/edoc/ia/eese/artic99/puchner/4_99.html.

275Leggiamo per esempio il passo che segue a commento del rapporto tra parole e immagine nella letteratura italiana del Novecento: «Molte pagine interessanti sono nate, più che dalla descrizione statica di immagini, dalla ricerca di un possibile uso letterario dei nuovi codici visivi del Novecento: il montaggio del film, l'esperienza della pittura astratta, la pratica dello zapping sono potuti diventare nel corso del tempo possibili modelli formali per la narrativa, la poesia, il teatro contemporaneo. […] L'immersione nella civiltà dell'immagine appare qui - e tornerà ad apparire altrove – come minaccia concreta di declassamento e alienazione per il letterato di formazione umanistica; e anche per quest'ordine di riflessioni, forse, la nostra letteratura, più di altre tradizioni nazionali, ha conservato a lungo un atteggiamento diffidente verso l'immagine; accettando il confronto più volentieri quando non sentiva in discussione, nell'urto fra testo scritto e testo visivo, l'autonomia e in fondo il primato della verbalità; quando poteva conservare il controllo delle gerarchie estetiche, relegando l'immagine al servizio della parola». Clotilde Bertoni, Massimo Fusillo, Gianluigi Simonetti (a cura di), Nell'occhio di chi guarda, op. cit., pp. XIV-XV. Da questa riflessione gli studiosi poi mostrano come il confronto più proficuo tra parola e immagine sia avvenuto in stagioni letterarie antiaccademiche o dichiaratemente sperimentali e citano i nomi di Campana, Folgore, Govoni, Marinetti e Soffici e, senz'altro Pasolini.

only […]. Still presents the text--its only medium--as a visual experience: the text of the film, supposedly, is being shown on screen in a cinema […]. Every word the reader of the novel reads is part of the film that is being watched at a party, so that the film is nothing but a string of words, arranged in single words, sentences, and paragraphs, visible on a screen. The medium of film is thus essentially reduced to a text.276

Si tratta dunque del racconto di una visione, del racconto di un'immagine in movimento: Puchner parla proprio di film-ékphrasis, stabilendo in questo modo una relazione tra il movimento e l'ékphrasis, sollevando l'uso dell'antica catergoria retorica da un'esclusiva pertinenza alle immagini fisse. Quest'idea di ékphrasis in movimento, molto interessante per il teatro, in che cosa consiste? Puchner dice che nel suo romanzo Thorpe usa “stills”, parola di difficile traduzione, ma che coincide all'incirca con i nostri “fermi-immagine”: «his mode of evoking sequences and scenes from movies proceeds through a combination of immobile image and moving narrative».

Le immagini immobili vengono combinate con il movimento della narrazione: il teatro si pone esattamente a cavallo di questi due poli.

La questione ha, ancora una volta, origine antica e rimanderemo ancora agli schemata delle danze antiche. Sulla scorta di alcune affermazioni di Socrate nei dialoghi platonici, la Catoni, vista l'incompletezza insita in qualsiasi imitazione,277 osserva come siano comunque necessari dei tratti

per identificare l'oggetto inanimato o la persona rappresentati. Nel Cratilo Platone fa dire a Socrate che «ogni cosa ha un suono (φωνὴ), uno schema (σχημα) e molte anche un colore (χρῶμα)», definendo così dei tratti identificativi. Lo schema, lo abbiamo detto, è sia uno strumento dell'imitazione artistica (traducibile con «disegno» spesso in coppia con chroma) sia figura di contorno, accezione per cui è possibile applicare il termine anche alle forme della gestualità teatrale. Si legga soltanto un esempio, ripreso ancora dal saggio della Catoni, dell'uso del termine nei testi teatrali antichi. Nei Sette contro Tebe, ai vv. 486-490, leggiamo:

MESS. Un altro, il quarto, che ha la successiva porta di Atena Onca, si avvicina gridando,

di Ippomedonte la figura (σχημα) e il grande stampo. Tremai al suo rotear l'enorme aia

il cerchio del suo scudo, intendo, né parlo a vuoto.278

Il messaggero che parla sta descrivendo i nemici alle porte di Tebe, per ognuno dei quali, in base alle caratteristiche che gli sono proprie, individua l'avversario più degno. Il quarto nemico viene presentato attraverso il riferimento a un'immagine, quella di Ippomedonte, che gli spettatori non 276H. Martin Puchner, art. cit.

277Si veda a a questo proposito l'apertura della Poetica artistotelica commentata più sopra. 278Eschilo, Sette contro Tebe, vv. 486-490.

vedevano in scena, ma che erano senz'altro in grado di riprodurre nella loro mente. Ancora nei Sette contro Tebe, quando il messaggero descrive lo scudo del terzo guerriero alle porte di Tebe, troviamo l'uso di uno schema:

MESS. Lo scudo è ornato (ἐσχημάτισται) di figure non di poco pregio; un guerriero armato sale per i gradini di una scala

alla rocca dei nemici, volendola distruggere: anche costui urla in combinazione di lettere che neanche Ares può buttarlo giù dalle mura.279

Per la lettura critica e filologica di questi due passi si rimanda al saggio della Catoni,280 mentre si

vorrebbe qui evidenziare il legame che si stabilisce tra l'uso di schemata e l'ékphrasis: il termine schema viene spesso usato per evocare qualcosa o qualcuno assente, alludendo a caratteristiche che rendono la “cosa” immediatamente riconoscibile agli occhi dello spettatore. L'ultima ékphrasis dei Sette contro Tebe a cui si farà riferimento è quella che riguarda lo scudo di Tideo, il primo dei sette guerrieri evocati dal messaggero: esso «reca l'insegna arrogante di una volta celeste stellata su cui brilla l'occhio della notte, la luna. Alla descrizione dell'episema Eteocle sprezzantemente risponde di non temere alcun ornamento di quell'uomo e che i semata “non hanno forza di ferire”. Ma poi egli stesso opera il rovesciamento: quella notte che Tideo reca sullo scudo – insegna tracotante – dovrà calare, notte di morte, sui suoi stessi occhi».281 Il “rovesciamento” di cui parla la Catoni va

forse inteso come l'espressione di una possibilità metalettica contenuta nell'ékphrasis: lo scudo ospita una narrazione, puramente visiva, che sembra essere in grado di produrre azioni vere e proprie. In questo passo, qui riportato già in forma commentata, il procedere metalettico mette in relazione due livelli: uno di natura linguistica, l'altro di natura visuale. L'immagine riproduce una realtà notturna che, attraverso una permutazione metaforica resa possibile dalla forma del discorso, diventerà presagio di morte.

Estendendo quanto detto finora, è chiaro che lo schema può essere inteso come l'insieme di elementi da assumere per sembrare qualcos'altro: si tratta infatti di «un insieme di tratti (gesti e portamento) che vanno “eseguiti” davanti ad uno spettatore e in modo tale da cogliere e comunicare l'ethos del personaggio che si vuole imitare. […] Siamo di fronte a una finzione. […] La finzione richiede un momento di fissità e di immobilità congelata in un gesto, gesto che condensa l'identità e determina dunque la riuscita o meno della finzione».282 La Catoni giunge a queste definizioni

279Ivi, vv. 465-469.

280Si veda M. Catoni, op. cit., pp. 79-86.

281Ivi, pp. 82-83. Il passo a cui si riferisce la Catoni è Eschilo, Sette contro Tebe, vv. 387 sgg. 282Ivi, p. 103.

analizzando l'uso del termine nei testi antichi e, con il passaggio appena citato, guarderemo alle possibilità dell'ékphrasis per come si presentano negli atti performativi. Comprendiamo qui che uno stesso schema può essere espresso a parole, dinamizzando quindi in forma narrativa un'immagine che l'ascoltatore ha in mente come immagine fissa, oppure può essere assunto in forma gestuale, fissando in un momento la risultante di un movimento: due pratiche che mettono in gioco dinamiche temporali uguali e contrarie. Quel “momento di fissità e di immobilità congelata in un gesto” è lo stesso a cui pensano i molti drammaturghi che nelle didascalie hanno immaginato alcuni istanti delle loro scene come frozen images o come tableau vivant. La storia dei tableaux vivants, così intrecciata a quanto stiamo qui esplorando, mostra come l'idea di riprodurre fedelmente un'opera d'arte, disponendo persone reali in pose fisse, fosse quasi sempre accompagnata da una pratica che metteva in successione pose ispirate alle attitudini di personaggi dipinti e che diventava quindi molto vicina alla pantomima.283

Lo schema non coincide quindi con il travestimento assunto da un attore, ma è l'attuazione di un istante successivo che rende riconoscibile il travestimento, un momento temporale brevissimo che ha a che fare con la pura visione; leggiamo ancora a questo proposito:

Il tema della fissità degli schemi iconografici in pittura si rivelerà di cruciale importanza nell'agone fra quest'ultima techne (insieme alla scultura) e l'unica altra techne mimetica che riesce a mediare fra la connaturata immobilità dello schema e il movimento: la danza. Come mostrano infatti gli esempi di travestimento che abbiamo analizzato, da quello di Phye a quello comici, lo schema tende a porsi in modo forte sul versante dell'immobilità e della fissità, due tratti che ne garantiscono la ripetibilità e l'enorme potere di cristallizzare forme e figure e la loro associazione a valori e identità ben definiti. Perfino nella danza, una techne del movimento, lo schema è un movimento di sospensione, una “pausa iconografica” densa di identità.284

Abbiamo prima parlato dell'immagine semi-immobile in scena, ma quando essa viene presentata in un vero stato di immobilismo, la cui durata è assolutamente variabile, cosa accade? Diderot suggeriva di immobilizzare l'azione teatrale attraverso un tableau dramatique perché nel gesto sospeso si potesse condensar il “momento fecondo” di un'azione, quel momento carico di temporalità e movimento potenziale. Si è qui passati a parlare di uno schema come di un gesto, dando credito all'ipotesi, sviluppata ancora dalla Catoni, che proprio attraverso la mediazione della danza si arrivi a tale interpretazione. Del resto, come dice Claudio Vicentini, «la maggior parte delle testimonianze disponibili sulla gestualità degli attori riguarda i movimenti delle danze, sia quelle eseguite dai cori nella rappresentazione delle commedie e delle tragedie, sia quelle della

283Si veda il contributo di Julie Ramos, Affinités électives du tabeau et du vivant. Une ouverture, dans les pas de Goethe, in Le tableau vivant ou l'image performée, op. cit., pp. 13-33.

pantomima, una rappresentazione simile al balletto che si era sviluppata in forma indipendente dal dramma».285 Ma qual è, in tutto ciò, il ruolo della parola?

Lo capiremo dalla soluzione trovata da Aristofane, nel finale delle Vespe, per parodiare le danze: il servo Xantia descrive la danza scomposta e sbeffeggiante di Filocleone. «Gli schemata vengono minutamente commentati da Filocleone stesso e in parte dal servo», ci dice la Catoni,286 e proprio

questi commenti, che rallentano l'azione e l'esecuzione degli schemata servirebbero a parodiare le danze tragiche dei Carcineti. Il commento diventa quindi un espediente per rallentare l'immagine, per distribuirla sulla diacronia dell'azione, attraverso una modalità che è propria della pantomima o, meglio, dell'ékphrasis in movimento. Ancora una volta, l'immagine si distribuisce in un tempo che è il discorso a definire, nelle dilatazioni o nei “restringimenti”.

La tesi che qui si vuole sposare e che finisce per essere una conferma della validità di approntare uno studio ecfrastico per il teatro, è il riconoscimento di un'«assoluta e aproblematica assimilazione di pittura e danza, fondata su un elemento che le due arti hanno in comune: l'uso che esse fanno degli schemata al fine di imitare caratteri».287 Quando qui si parla di danza, è evidente, il termine

andrà inteso nella più vasta accezione teatrale.288

C'è un ulteriore esempio che si vorrebbe portare a sostegno di questa tesi; un esempio che racconta un'altra storia, uno degli episodi più controversi raccontato dai Vangeli, in cui la protagonista è una donna danzante, Salomé. A questa vicenda, che occupa uno spazio relativamente ridotto nei Vangeli (Vangelo di Marco 6,17-28 e Vangelo di Matteo 14,3-11), si sono ispirati scrittori e pittori affascinati dai movimenti sinuosi della danza di Salomé. Francoise Meltzer dedica un libro molto suggestivo all'argomento, dal titolo Salomé and the Dance of Writing: Portraits of Mimesis in Literature289 che offre uno spunto di analisi sul rapporto tra la resa del movimento in pittura e la sua

trascrizione sulle pagine di un libro.

In gioventù Flaubert scrisse, imitando quello che riconosceva come lo stile biblico, la storia di Cartagine in un romanzo dal titolo Salammbô. La sua descrizione della principessa di Cartagine fu

285Claudio Vicentini, op. cit., p. 29. Vicentini, accennando alla creazione di sorta di repertori codificati di posizioni e figure della danza,suggerisce la lettura degli elenchi forniti da Pollice nell'Onomasicon, IV, 103-105.

286M. Catoni, op. cit., 136. 287Ivi, p. 190.

288Come si situano in questo discorso gli studi di Warburg per il quale, corrispondendo sempre il movimento del corpo a moti dell'animo, è possibile scrivere una storia delle immagini come storia dei movimenti corporei canonizzati (formeln) in cui immediatamente si può cogliere un affetto (pathos)? Qual è il rapporto tra schemata e formeln? Tra l'altro sarà interessante quantomeno segnalare la presenza del gruppo teatrale Pathosformeln che, fondato nel 2004

da Daniel Blanga Gubbay e Daniela Villani, termina l'esperienza proprio nel 2014: la compagnia veneziana, a partire dagli studi warburghiani sul gesto espressivo, ha lavorato in questi anni sull'immaterialità del teatro, sull'incorporeità del gesto teatrale.

289Françoise Meltzer, Salome and the dance of writing. Portraits of Mimesis in Literature, The University of Chicago Press, Chicago, 1987.

la principale influenza per le Salomé dipinte da Moreau. L'opera di Moreau pare poi avesse colpito a tal punto Flaubert da indurlo a scrivere, lo stesso anno in cui l'opera viene esposta all'Esposizione Universale di Parigi, nel 1878, l'Erodiade: si innestò così un cortocircuito tra racconto e visione che avrebbe prodotto, a cascata, altre opere. In À Rebours, Huysmans, che costruisce un romanzo il cui principio estetico e di poetica consiste proprio nella necessità di andare oltre i limiti e i generi letterari, fa di Salomé la figura che più affascina il protagonista Des Esseintes, il quale la considera un personaggio che non può essere contenuto in nessuna cornice morale o ideologica. Huysmans descrive le due Salomé di Moreau in quelle che, per la Melzer, sono «the most explosive (and certainly the most passionate) moments in the novel».290 Dunque Huysmans descrive i dipinti di

Moreau, traducendo l'arte visiva in forma scritta, ma quella stessa arte era stata ispirata da un'altra opera letteraria. Leggiamo alcuni passaggi della descrizione della Salomé di Moreau nell'opera di Huysmans, commentandoli man mano. È un passaggio del testo molto lungo che si fonda su una progressione precisa dello sguardo che scompone l'opera pittorica per ricomporla nel testo. Si inizia con la descrizione dello spazio che converge verso la figura centrale, Erode, sulla quale poi si sofferma:

Della sua tela che rappresentava Salomè, Des Esseints indugiava in contemplazione intere notti.

Simile all'altar maggiore di una cattedrale, un trono s'ergeva sotto una fuga a perdita d'occhio di volte, in cui si placava l'impeto in colonne, tozze come pilastri romani; colonne smaltate di piastrelle policrome, incastonate di mosaici, incrostate di lapislazzuli e di sardoniche – dentro un palazzo simile ad una basilica, di un'architettura musulmana e al tempo stesso bizantina.

Al centro del tabernacolo che sorgeva in cima all'altare e cui si saliva per gradini a semicerchio, sedeva il tetrarca Erode, coperto di una tiara, le gambe raccolte, le mani sui ginocchi

La sua faccia era gialla, incartapecorita, gualcita di rughe concentriche, devastata dall’età; sulle stelle di gemme che gremivano la tunica ricamata d’oro, aderente al petto, la barba ondeggiava come candida nuvola. Intorno a quella statua immota, congelata in una posizione ieratica da nume indù, profumi bruciavano attorcendo spire di fumo che trapassavano, quasi fosforescenti occhi di belva, i fuochi delle pietre preziose che ingemmavano il trono; quindi il vapore saliva, si perdeva in volute sotto le arcate, mescendo il suo azzurro al pulviscolo d’oro che a fasci cadeva dalle cupole.

Lo spazio è immobile e anche il tetrarca è descritto in una posa immobile, congelata in un atteggiamento di potere: la sua staticità è quindi non tanto quella del quadro, quanto simbolicamente quella che gli deriva dal potere che riveste. Immediatamente però capiamo che la scena non è immobile, avvolta com'è dai sinuosi movimenti del vapore, dal quale sorge Salomè:

Tra questi effluvi perversi, nell’aria surriscaldata di quella chiesa, Salomé, il braccio sinistro disteso in atto di comando, 290Ivi, p. 15.

con la destra reggendo all’altezza del viso un grande loto, avanza adagio sulle punte, agli accordi di una chitarra che pizzica una donna accoccolata.

L’espressione raccolta, solenne, augusta quasi, Salomé dà inizio alla lubrica danza che deve ridestare i sensi del vecchio Erode.

I seni ondeggiano; stuzzicati dalle collane che vorticano, i capezzoli s’ergono; nel madore della pelle, i diamanti scintillano; sulla veste trionfale, rabescata d’argento, laminata d’oro, dalle costure di perle, il busto, preso in una maglia di gemme, entra in combustione, dardeggia serpentelli di fuoco, brulica sulle carni compatte, sul rosa della pelle, simile a un visibilio d’insetti dalle elitre abbaglianti, marmorizzate di carminio, punteggiate di giallo aurora, screziate di blu acciaio, striate di verde pavone.

Assorta, gli occhi fissi, pari a una sonnambula, essa non vede né il fremente Tetrarca né la madre – la feroce Erodiade – che la sorveglia; né l’ermafrodito o l’eunuco che si tiene, con la sciabola in pugno, a pié del trono: terribile, velato; la mammella di castrato che, come una fiaschetta, penzola sotto la tunica variegata d’arancione.[…]

Nell’opera di Gustave Moreau, concepita al di fuori di tutti i dati del Testamento, Des Esseintes vedeva finalmente realizzata l’insolita e sovrumana Salomé che aveva vagheggiato.

La donna viene quindi descritta in una progressione dinamica, nella danza che mette in movimento anche lo spazio, i cui elementi costitutivi, di dettaglio in dettaglio, entrano in comunicazione con la successione dei sui gesti. Poi, nell'ultimo paragrafo, a tal punto il narratore è stato attratto nell'opera,