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L'immagine come menzogna e la verità come immagine: ékphrasis e metalessi

I. L'ÉKPHRASIS DALLA RETORICA ALLA SCENA

1.6. L'immagine come menzogna e la verità come immagine: ékphrasis e metalessi

Quando l'ékphrasis, uscendo dall'ambito puramente retorico, si sposta su un piano finzionale e quando i principi su cui si regge vengono applicati alla costruzione di uno spettacolo teatrale, essa può produrre effetti che intersecano il livello diegetico con il livello mimetico, assumendo caratteristiche proprie della metalessi.

Nel 2004 Gérard Genette scrive un libro interamente dedicato al fenomeno,121 spostando in campo

narratologico questioni normalmente trattate nell'ambito della retorica: dal piano figurale, che considera cioè la metalessi nel suo statuto di forma del discorso, egli la trasporta su un piano finzionale, considerandola estensione della figura, per come essa si mostra in un “contesto fantastico palesato” come qualcosa che effettivamente avviene. Già in Figures III Genette aveva

120Riccardo Palmisciano, Il primato della poesia sulle altre arti nello scudo di Achille, in Lo scudo di Achille.., op. cit., pp. 59-60.

121Si ricorda che, riprendendo Fontanier e i suoi Commentaire des Tropes, la metalessi viene normalmente definita come una forma del discorso in cui si finge che il poeta «operi egli stesso gli effetti che canta» (Commentaires, p. 116).

dedicato alcune pagine all'argomento, riconducendo alla metalessi «toute intrusion du narrateur ou du narrataire extradiégétique dans l'univers diégétique (ou de personnage diégétiques dans un univers métadiégétique, etc.)».122 Nel più recente saggio, definendo un tipo particolare di metalessi,

quella per cui chi narra travalica i livelli del racconto e si fa fautore di ciò che sta narrando, Genette scrive:

La métalepse de l'auteur [...] consiste, je le rappelle dans les termes de Fontanier, à «trasformer les poètes en héros des faits qu'ils célèbrent [ou à] les représenter comme opérant eux-mêmes les effets qu'ils peignent ou chantent», lorsqu'un auteur «est représenté ou se répresente comme produisant lui-même ce qu'il ne fait, au fond, que raconter ou décrire». Dumarsais avait abordé ce cas en des termes plus vagues, voir partiellement fourvoyants (mais seulement partiellement, et j'y reviendrai), car ils évoquent aussi bien la pratique de l'hypotypose: «On rapporte aussi à cette figure ces façons de parler des poètes, par lesquelles ils prennent l'antécedént pour le conséquent, lorsqu'au lieu d'une description, ils nous mettent devant les yeux le fait que la description suppose».123

Genette si rifà a due grammatici francesi, Dumarsais, del XVIII secolo, e Fontanier, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo: se Fontanier, nel 1818, riedita il Traité des Tropes che Dumarsais aveva scritto nel 1730, è Genette a curare la ripubblicazione delle opere di Fontanier, a partire dal 1968, e a farlo così conoscere ai lettori del XX secolo. Se Fontanier mette a fuoco il ruolo del poeta nel «sobstituer l'expression indirecte à l'expression directe»,124 Dumarsais aveva posto l'accento sul

trasferimento temporale prodotto dalla metalessi quando essa esprime la causa per l'effetto o, viceversa, l'effetto per una sua causa.

Ma quello su cui qui si vuole porre l'accento è la relazione stretta tra ékphrasis e metalessi e quindi, se attribuiamo per un momento all'ipotiposi le caratteristiche di vividezza dell'ékphrasis, converrà ritornare al passaggio dell'opera di Dumarsais riportato da Genette.125 Dumarsais, per primo, mette

122Gérard Genette, Figures III, op. cit., p. 244.

123Gérard Genette, Métalepse, Seuil, Parigi, 2004, p. 10. Recuperando alcuni dei termini che abbiamo utilizzato più sopra, in un commento molto interessante alle due accezioni di metalessi a cui lo stesso Genette allude, Philippe Roussin scrive: «avec l'hypotypose (chez Dumarsais) et la représentation en acte de la narration (chez Fontanier) nous avons, dans les limites de la conception synonymique de métalepse, l'archéologie du partage ultérieur entre showing et telling, entre description (ou “mimesis” ou “représentation”) et recit que poseront les théories du récit». Si veda: Philippe Roussin, Rhétorique de la métalepse, états de cause, typologie, récit, in John Pier et Jean-Marie Schaeffer (sous la direction de), Métalepses. Entorses au pacte de la représentation, Paris, Éditions de l'École des Hautes Études en Sciences Sociales, 2005, p. 44.

124Fontanier, Les figures du discours, Paris, Flammarion, 1968, p. 127.

125È piuttosto problematico definire la differenza tra ékphrasis e ipotiposi. In un articolo, Umberto Eco parla dell'ipotiposi come di una delle tipologie del discorso capaci di sollecitare, in direzione visiva, la partecipazione di un lettore invitato a visualizzare ciò che il testo evoca. Egli afferma che «l'ipotiposi non ha una regola ma solo molti modi, e alcuni forse ancora da inventare». Eco dice questo dopo aver elencato le seguenti nove tecniche di ipotiposi: nominare, descrizione, descrivere per paragone, ekfrasi occulta, descrizione come accumulo di movimenti concitati, elenco, ritmo del movimento, descrizione con richiamo a esperienze culturali del destinatario (o ekfrasi abbreviata), descrizione con richiamo a esperienze percettive del destinatario. Per quasi ognuna di queste tecniche, che potremmo facilmente ricondurre a principi descritti in questo capitolo, Eco nomina il procedere ecfrastico. Resta problamatico capire cosa lo porti a parlare di ipotiposi e non di ékphrasis, benché all'inizio dell'articolo abbia affermato che delle differenze esistono (ma non le esplicita). Si veda Umberto Eco, Les sémaphores sous la pluie, in

in relazione metalessi e ipotiposi, metalessi e descrizione. Ma se la descrizione, come abbiamo visto, è normalmente legata a una riflessione sullo spazio, sarà necessario capire in che senso il grammatico parli della metalessi su un piano di trasposizione temporale:

La métalepse est une espèce de métonymie, par laquelle on explique ce qui suit pour faire entendre ce qui précède; ou ce qui précède pour faire entendre ce qui suit: elle ouvre, pour ainsi dire, la porte, dit Quintilien, afin que vous passiez d'une idée à une autre, ex alio in aliud viam proestat; c'est l'antécédent pour le conséquent, ou le conséquent pour l'antécédent, et c'est toujours le jeu des idées accessoires dont l'une réveille l'autre.126

In questo senso, dice Dumarsais, quando i poeti invece di una descrizione, attraverso le parole, mettono davanti agli occhi il fatto che quella descrizione presuppone, avremo una metalessi e riporta, come esempio, un passaggio della IX ecloga virgiliana

Qui caneret Nymphas? Quis humum florentibus herbis spargere, aut viridi fontes induceret umbra?127

in cui a disseminare il terreno di erbe fiorite non è il contadino ma è il poeta stesso. Sarebbe proprio questo modo di descrivere i fatti, mettendoli sotto gli occhi dell'ascoltatore, ad indurre Dumarsais a mettere in relazione la metalessi con l'ipotiposi.128 Per definire quest'ultima, il grammatico scrive:

L'hypotypose est un mot grec qui signifie image, tableau. C'est lorsque dans les descriptions on peint les faits dont on parle, comme si ce qu'on dit étoit actuèlement devant les yeux; on montre, pour ainsi dire, ce qu'on ne fait que raconter; on donne en quelque sorte l'originale pour la copie, les objets pour les tableaux.129

Genette, commentando questo passo, sottolinea le esitazioni del grammatico nello spiegare la possibilità del discorso di rendere una sorta di matericità dell'oggetto: tutti quei «comme si, pour ainsi dire, en quelque sorte», starebbero a rimarcare «le caractère illusoire de l’effet».130

Nonostante le esitazioni, dettate da una certa incredulità, una descrizione vivida porta su di sé un effetto quasi magico, nella possibilità di porre realmente sotto gli occhi di chi ascolta non

«Golem L'Indispensabile» (www.golemindispensabile.it). Ultimo accesso 12/11/2015.

126Dumarsais-Fontanier, Les Tropes, Tome I, Genève, Slatkine Reprints, 1967, p. 104. Fontanier, che rifiuta ogni assimilazione della metalessi alla metonimia, esplicita in che termini Dumarsais definisce il rapporto tra le due figure nel suo commento a Les Tropes, lì dove anzi riconduce molti degli esempi fatti da Dumarsais a dei casi di metonimia. Si veda il Commentaire raisonné di Fontanier in Dumarsais-Fontanier, Les Tropes, Tome II, pp. 107- 117.

127«Chi canterebbe le Ninfe? Chi spargerebbe il terreno di erbe fiorite o riparerebbe di verdi ombre le fonti?». Si veda: Virgilio, Bucoliche, traduzione e note di Luca Canali, Milano, Bur, 1994, ecloga IX, vv.19-20.

128Scrive Dumarsais in conclusione del paragrafo dedicato alla metalessi: «Ces façons de parler peuvent être raportées à l'hypotypose dont nous parlerons dans la suite». Dumarsais, op. cit., p. 112.

129Ivi, p. 151. 130Ivi, p. 11.

l'immagine mentale di un oggetto, ma l'oggetto stesso. E il teatro è il luogo per eccellenza capace di accogliere questo prodigio.

Facciamo un esempio rimanendo al già citato Agamennone di Eschilo. La tragedia è introdotta, nel prologo, dalla scolta, la vedetta fedele al sovrano che ogni notte resta appostata, scrutando nelle tenebre, per scorgere segnali del ritorno di Agamennone ad Argo. Ma quelle ultime ore di quell'ennesima veglia notturna che aprono la tragedia sono evidentemente cariche di presagi. Dopo aver lamentato lo stato di attesa, suo, di Clitennestra e di una città intera, la scolta dichiara in cosa consiste la propria speranza:

Felice giunga alfine la liberazione dalle pene, con l'apparire nella tenebra di un lieto messaggio di fuoco.

In forma narrativa, cioè, la scolta lungamente volteggia attorno al proprio desiderio fino ad esprimerlo a chiare lettere. Secondo un processo che diremo metalettico (che sembra quasi prodigioso), esattamente in quel momento, appare la visione desiderata, quasi fossero le sue parole ad aver evocato il fatto. Il testo infatti continua:

(S'interrompe, all'improvviso brillare di un bagliore lontano) Salve, o face di notte che diurna luce rechi e istituzione di molti cori in Argo, in grazia di questo evento! (Levandosi di scatto) Evviva! A gran voce io annunzio alla consorte di Agamennone, che subito sorga dal letto e festoso levi grido alto nelle case per questa face, poiché Ilio è stata presa, come questo fuoco rifulgendo annunzia.131

Il lieto messaggio di fuoco si palesa davanti agli occhi della scolta e del pubblico, si fa visibile, dopo essere stato preparato ed evocato dalle parole.132

Ma torniamo a mostrare il nesso tra metalessi e ékphrasis a partire da un esempio puramente linguistico e omerico che Giovanni Lombardo riporta nel suo studio sugli aspetti verbali di ékphrasis e enargeia citato in precedenza. Omero, con le parole del verso seguente, ci mette dinnanzi un'immagine:

131Eschilo, Agamennone, vv. 20-30, trad. di Raffaele Cantarella, Milano, Mondadori, 1981.

132Gli esempi in questo senso sono infiniti e percorrono tutta la storia del teatro. Per arrivare bruscamente al XX secolo, uno degli esempi senz'altro più celebri è l'apparizione di Madama Pace nei Sei personaggi in cerca di Autore. In questo caso il Padre, dopo aver chiesto alle signore presenti cappellini e mantelli, costruisce concretamente una scena, mettendo cioè in atto un procedere compositivo che abbiamo visto essere proprio dell'ékphrasis (e che, più chiaramente, riscontreremo in seguito nella scrittura didascalica). Ricostruendo il più verosimilmente possibile l'originale bottega di Madama Pace, egli spera di evocarne la presenza, di attrarla e portarla in scena. Effettivamente, attratta da una costruzione della scena particolarmente vivida, Madama Pace appare secondo un processo metalettico. Una composizione ben costruita quindi, sia essa espressa a parole o si tratti della reale costruzione della scena come in questo caso, è in grado di provocare degli effetti su un piano di realtà che si interseca con un piano fantastico. Si veda: Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 76.

δύσετό τ΄ἠέλιος σκιόωντό τε πᾶσαι ἀγυιαί (Od. III, 497) il sole tramontò e tutte le strade si coprivano d'ombra

Lombardo commenta:

Qui l'aoristo δύσετό non esprime solo il momento puntuale in cui il sole tramonta […] ma indica anche il colore atemporale di un fenomeno il cui quotidiano ricorrere sembra, in qualche modo, sottrarsi a ogni determinazione storica. Le ombre che calano lentamente sulle strade […] sono invece riferite all'aspetto durativo dell'imperfetto σκιόωντό che – cospirandovi un'ariosa cantabilità olodattilica – ci fa vedere il progressivo imbrunirsi del mondo e assicura al verso la sua funzione narrativa.133

Quella di Omero non è una semplice descrizione, ma è un vero e proprio «accadimento del linguaggio»: «semplicemente citando il tramonto del sole, Omero fa che il tramonto del sole accada in un'atmosfera aoristica che ne trascende e insieme ne mantiene la puntualità».134

Il linguaggio verbale è cioè in grado di produrre un avvenimento: il piano del racconto della visione può rendere effettiva quella visione. Parlando ancora di uno specifico uso dei tempi verbali, per Dumarsais, la descrizione dei fatti al presente, che aveva rinvenuto in un passaggio della Phedre di Racine portato come esempio, è esattamente «ce qui fait l'hypotypose, l'image, la peinture; il semble que l'action se passe sous vos yeux».135 Commentando però questa definizione dell'ipotiposi,

Fontanier sostiene che non è sufficiente definire questo tropo sulla base di un particolare uso dei tempi verbali:

L'hypotypose consiste, non pas à donner pour présente une chose passée ou une chose future, mais à peindre les faits ou les objets d'une manière si vive et si énergique, qu'on les mette en quelque sorte sous les yeux, et qu'on semble donner l'original même pour la copie.136

L'ipotiposi qui si confonde, si mescola con termini ecfrastici, ma quello che più interessa è il principio di falsificazione sotteso a questa definizione che è un principio metalettico forte di cui tratteremo necessariamente anche parlando della sensibilità ecfrastica: qui la finzione descrittiva è talmente efficace da far sì che l'immagine evocata venga scambiata per l'originale e che si inneschi la confusione non solo tra piani del racconto ma anche tra realtà e finzione, tra oggetto e immagine che lo riproduce.

133G. Lombardo, art. cit., p. 32. 134Ibidem.

135Dumarsais-Fontanier, op. cit., Tome I, p. 153. 136Ivi, Tome II, p. 159.

Sappiamo che per gli antichi le arti imitative, di cui discute Aristotele all'inizio della Poetica, avevano sempre un oggetto da imitare e uno strumento attraverso il quale attuare la mimesi, ovviamente con dei limiti:

Se ogni arte, vincolata dai propri strumenti di imitazione, ha la capacità di imitare solo alcune caratteristiche che identificano un oggetto esistente, tale imitazione risulta per forza di cose parziale, una riproduzione selettiva solo di alcuni tratti dell'oggetto imitato. La selezione dei tratti imitabili è condizionata dagli strumenti che una determinata arte imitativa ha a sua disposizione; la compresenza di tutti i tratti che costituiscono l'identità dell'oggetto colloca così l'oggetto reale su un piano distinto rispetto alla sua imitazione.137

L'opera imitativa si definisce quindi «per difetto e la parzialità della sua imitazione emerge con chiarezza attraverso la menzione di ciò che sfugge alla sua capacità imitativa».138 Proprio in questa

consapevolezza dei limiti mimetici di ogni forma d'arte trova fondamento la discrepanza esistente tra lo statuto di realtà e quello di verità:139 da queste premesse comprendiamo cioè come in uno

studio dell'ékphrasis potrebbe diventare centrale la nozione di falso o di falsificazione.140

Ciò che sfugge alla capacità imitativa di un qualsiasi prodotto artistico può essere menzionato, ma può anche non esserlo perché, come dice Cometa, «in gioco è certamente la questione dell'arte come possibile esperienza di verità – un teorema che resiste sino al Novecento a discapito e anzi proprio grazie al nichilismo – ma di una verità che, alla fine di un percorso che inizia almeno con il romanticismo, finisce per darsi, paradossalmente, solo ed esclusivamente attraverso complesse e rigorose strategie di falsificazione consapevole».141 Seguendo questa pista molto interessante

137M. Catoni, op. cit., p. 74. L'affermazione si basa in questo caso su un'analisi puntuale di alcuni passi del Cratilo di Platone.

138Ivi, p. 77.

139Si veda, sul rapporto realtà-verità-finzione la commento di Bettini al passo dei Soliloquia di Agostino in cui viene presentata la teoria della rassomiglianza: «Diciamo parimenti che è 'falso' un albero dipinto – continuò la Ragione – e che è 'falsa' l'immagine rinviataci dallo specchio, che è falso il moto delle torri per i naviganti, falsa la rottura del remo: per nessun altro motivo, se non perché rassomigliano al vero». «Lo ammetto» rispose Agostino. «Allo stesso modo – riprese la Ragione – siamo tratti in inganno dai gemelli, dalle uova, dai vari sigilli impressi con un medesimo anello, e da tutte le cose di questo stesso tipo». «Va bene – disse ancora Agostino – sono d'accordo». «Dunque – concluse la Ragione – la rassomiglianza, in ciò che pertiene al visibile, è madre della falsità». Si veda: M. Bettini, Il ritratto dell'amante, op. cit., p. 211e Agostino Soliloquia, 2, 10.

140Giovanni Lombardo, a partire da fonti antiche, mostra come un buon discorso ecfrastico fosse definito non tanto dal grado di verità dei contenuti che esprimeva, quanto dalla capacità di costruire un discorso incantevole, un'ékphrasis che mettesse sotto gli occhi degli ascoltatori ciò di cui stava parlando, anche se si fosse trattato di qualcosa di fittizio. Anzi, la «finzione della verità», dice Lombardo, è proprio uno dei modi attraverso cui si manifesta la μορφή di una buona ékphrasis. La capacità oratoria di Ulisse, che alla corte dei Feaci letteralmente incanta i suoi uditori, viene così descritta: «se l'arte narrativa di Ulisse si caratterizza anche per l'uso affilato delle tecniche della simulazione, possiamo supporre che l'illusionismo sia immanente alla μορφή dei suoi racconti e che la finalità dei suoi racconti sia non solo quella di attestare la verità ma anche quella di simulare la realtà, fingendone un'immagine narrativa plausibile». I racconti menzogneri, le ékphrasis mal costruite, sarebbero quindi inattendibili sul piano della «simulazione autoptica dei fatti», mancando dell'ἐνάργεια necessaria affinché la narrazione sia resa vivida e flagrante. Si veda Giovanni Lombardo, Aspetto verbale e tecniche dell'enargeia. La dimensione “aoristica” della descrizione, art. cit., p. 24.

Cometa arriva a dire che, nei confronti del mondo contemporaneo, «una teoria dell'ékphrasis pone questioni essenziali per la stesura di un'antropologia filosofica della finzione».142 Anche in questo

caso il percorso porterebbe altrove, sulle tracce di quell'evoluzione del pensiero che dall' “immagine come menzogna” di origine platonica promuove “la verità come immagine”.143

In un passaggio delle Eikones, Filostrato ammette che la sua intenzione di limitarsi ad esaminare la pittura è in realtà quasi sempre disattesa da una sorta di necessità di dare spazio alle digressioni mitologiche a cui la pittura induce spontaneamente: capita infatti che l'effetto di illusione sia tale da chiedere allo spettatore lo stesso tipo di attenzione che egli dà alla vita reale:

Come mi sono ingannato: ho l'impressione di vedere non figure dipinte ma uomini veri che si muovono, spinti dal loro amore, perché li chiamo come se davvero mi sentissero, e immagino di cogliere la loro risposta. E tu, che non hai detto niente per ricondurmi alla realtà mentre mi smarrivo, eri ingannato dalla stessa illusione, e non hai saputo difenderti meglio di me contro l'artificio del pittore e il sonno che esso procura. Ma guardiamo la pittura, perché è una pittura che abbiamo di fronte a noi.144

Quando le immagini dipinte, vividamente descritte, assumono i connotati del mondo reale, quando cioè i confini tra realtà e finzione vengono trasgrediti e può capitare che a parlare siano i personaggi dipinti o che la scrittura si rivolga al quadro apostrofandolo direttamente, saremo difronte alla componente più magica dell'ékphrasis da leggere in chiave metalettica.

Potremmo pensare al teatro come al luogo in cui l'ékphrasis viene portata a compimento per operare una metalessi? Può accadere che qualcosa venga descritto così vividamente da diventare reale, da materializzarsi sotto gli occhi del pubblico? Si tratta di possibilità immaginative che presuppongono una presa di distanza o una rottura dell'illusione drammatica: i personaggi o, come vedremo studiando il teatro degli Anagoor, le stesse immagini teatrali passano dall'universo della finzione a quello della messa in scena, a quello della ricezione, senza soluzione di continuità.

Scrive Piermario Vescovo:

A teatro la metalessi si configura come l'assunzione dell'istanza narrativa fuori dal piano dell'azione mimetica, cioè in un differente livello diegetico rispetto a quello del racconto di un personaggio a un altro personaggio.145

Il teatro è uno spazio in cui l'immagine e il racconto dell'immagine possono produrre effetti su piani 142Ivi, p. 155.

143Questo spostamento di paradigmi nel pensiero filosofico è stato studiato in Jean-Luc Nancy, Au fond des images, Paris, Galilée, 2003.

144Filostrato, Immagini, op. cit., p. 51.

145 P. Vescovo, Metateatro e metalessi. Per una distinzione e una definizione teorica, in corso di stampa in Le miroir