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I. L'ÉKPHRASIS DALLA RETORICA ALLA SCENA

1.4. I dispositivi della visione: gli schemata

Aristotele, nel capitolo 17 della Poetica che abbiamo citato, dice che i racconti vanno elaborati quanto più possibile anche con le figure, con gli schemata, ed è su questo concetto che ora ci soffermeremo.

Tornando alle Εἰκόνες di Filostrato diremo che il retore sembra avere bene in mente quando fare riferimento a schemata, modelli figurativi condivisi e riconoscibili per una comunità, e quando sia invece necessario dare spiegazione di symbola, i cui significati andavano interpretati con una lettura vicina all'indagine iconologica. Il termine schema viene usato, significativamente, in un contesto storico artistico, come nel caso di Filostrato, ma anche in un contesto performativo, secondo l'accezione con cui viene discusso da Marialuisa Catoni. Questa seconda accezione deriva da una doppia sfumatura intrinseca al significato della parola: da una parte lo schema è lo strumento dell'imitazione artistica ed è quindi traducibile con “disegno”, dall'altra esso allude alla “figura di contorno”, assimilabile ai tratti e ai gesti assunti da quanti sono coinvolti in un contesto

86 R. Webb, op. cit., p. 194.

87 Giovanni Careri, L'ecfrasi tra parola e pittura, in Ecfrasi. Modelli ed esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farinetti, Roma, Bulzoni Editore, 2004, p. 391.

88 Michele Cometa, La scrittura delle immagini: letteratura e cultura visuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012, pp. 18-19.

performativo, sia esso teatrale o religioso.89 A questi significati potremmo poi aggiungere quelli

suggeriti da Roselyne Dupont-Roc e Jean Lallot nel seguente commento al passo che apre il capitolo 17 della Poetica:

Encore faut-il préciser quel rapport il peut avoir entre les gestes, les attitudes du corps, et l'expression. Ce rapport est inscrit dans le mot schèmata, qui désigne, dans le vocabulaire esthétique du grec, les formes corporelles et linguistiques, les figures de la danse et de l'expression. L'association des deux domains n'est rien moins que fortuite et H. Koller (1958), p. 12 sq., a mis en évidence, dans toute la tradition rhétorique gréco-latine, l'étroite affinité qui unit, en termes de skhèma (latin gestus, figura), le geste et la parole. Avant d'être une «figure» codifiée et figée, le skhèma est au langage ce que le geste est au corps: mouvement et rythme, et le passage est à peine métaphorique qui conduit skhèma de l'orchestique à la «phonétique». […] Il y a donc une continuité entre le fini des gestes et le fini de l'expression: si étrange que cela puisse nous paraître, la prescription qu'Aristote adresse au poète de recourir à une technique corporelle d'autosuggestion a pour finalité directe l'élaboration de l'espression linguistique (lexis).90

La Poetica si apre con l'individuazione di tre criteri attraverso i quali distinguere le arti mimetiche: i mezzi, gli oggetti e i modi di imitazione. Aristotele, nei capitoli successivi, passa in analisi questi tre criteri, ma per fornire in apertura alcune chiavi interpretative porta l'esempio di come l'imitazione possa realizzarsi tramite l'uso di colori e figure (χρώμασι καὶ σχήμασι) per l'arte pittorica o tramite la voce. Allo stesso modo, in quanto arte imitativa, l'arte poetica – sia essa poesia epica, opera tragica o comica, poesie auletiche e citaristiche – ricorre a tre mezzi, usandoli singolarmente o congiuntamente: ἐν ῤυθμῷ και λόγῳ και ἁρμονίᾳ. Aristotele cioè suggerisce i due grandi poli dell'imitazione, l'immagine e la voce, ma parlando dell'arte poetica li distribuisce in tre mezzi: la danza, il linguaggio e la musica. Si accoglie dunque la traduzione di ῤυθμός con “danza” perché, come suggerisce Gallavotti, si intendeva «il complesso dei movimenti ritmici e figurativi di un coro teatrale o di un coro lirico».91 Aristotele, poco più avanti (Poetica, 4, 3), parla del “ritmo”, «misura

regolata del tempo e dello spazio»,92 come una sorta di istinto naturale da cui si sarebbe generata

l'attività poetica. I danzatori producono dunque quelli che Aristotele definisce “ritmi figurati” (διὰ τῶν σχηματιζομένων ῥυθμῶν) (Poetica, 47 ͣ ) e, pur non ricorrendo alla musica (la danza può essere considerata infatti «la forme la plus dépouillée de la mimèsis»),93 compiono un'opera di mimesi

poetica perché la loro opera, attraverso gesti e movimenti significanti di per sé, attraverso cioè gli schemata della danza, è appunto in grado di «riprodurre caratteri (ἤϑη) emozioni (πάϑη) e fatti 89 Maria Luisa Catoni, La comunicazione non verbale nella Grecia antica. Gli schemata nella danza, nell'arte, nella vita, Torino, Bollati Boringhieri, 2008. Per la definizione del termine schema in contesto performativo si veda alle pp. 74-78.

90 Aristote, La Poétique, avec une traduction et des notes de lecture par Roselyne Dupont-Roc et Jean Lallot, Paris, Éditions du Seuil, 2011, p. 283.

91 C. Gallavotti, commento a Aristotele, Poetica, op. cit., p. 123. 92 Ibidem.

(πράξεις)».94 Le verità morali sono centrali nell'idea poetica di Aristotele, ma l'aspetto più

interessante è che egli riconosce, nella capacità mimetica dei gesti, caratteristiche che abbiamo visto essere proprie anche di una buona èkphrasis.95 Di questa possibilità bisogna tener conto anche per

valutare il passo della Poetica in cui si dice che le vicende di Edipo muovono a uguale paura e compassione sia che si vedano a teatro sia che si ascoltino in forma di racconto e che, anzi, le potenzialità della forma narrativa sembrerebbero quasi superare quelle della vista (cap. 14- 53b). Ma le potenzialità dell'arte poetica, a cui Aristotele allude, sono proprio quelle del discorso ecfrastico, quindi di fatto fortemente legate alla vista:

[…] non si deve disdegnare qualsiasi mimica, se neppure la danza è da disdegnare, bensì la maniera dei peggiori; è questo che si obbiettava a Callippide, e ora ad altri, quando si dice che raffigurano i personaggi femminili come donne di strada. Inoltre la tragedia produce il proprio effetto anche senza mimica, al pari dell'epopea; attraverso la lettura, in realtà, si manifesta per quella che è. Se quindi risulta migliore dell'epopea nel resto, non è proprio del gestire che ha bisogno.

Poi è migliore per questo fatto: possiede tutto ciò che ha l'epopea, e può impiegare anche lo stesso metro; ma in più ha la musica, che non è un elemento da poco durante gli spettacoli; attraverso la musica si realizza il diletto artistico nella maniera più vivace (ἐναργέστατα), anche se la tragedia dimostra la sua vivacità (ἐναργές) così alla lettura (ἐν τῇ ἀναγώσει) come sulla scena (ἐπὶ τῶν ἔργων). 96

Non solo torna il termine enargheia, ma fa capolino l'idea della possibilità imitativa, e dunque poetica, dei movimenti, i quali possono trovare espressione in forma scritta (resa poi attraverso la lettura) o in forma perfomativa: gli schemata a cui rimandano saranno però della stessa matrice e risponderanno allo stesso scopo sia che vengano evocati dal lettore per diventare immagini mentali nella mente dell'ascoltatore secondo un processo immaginativo, sia che vengano messi in atto realmente davanti agli occhi dello spettatore.

94 Arist., Poetica, 47a.,

95 Anche se riprende molte delle definizioni già riportate, non sarà comunque inutile leggere, in un'ottica di confronto con quanto detto da Aristotele, la definizione che dell'ékphrasis dà Nicolao di Myra: «E noi diciamo che l'ékphrasis è un discorso descrittivo che porta ciò che viene descritto vividamente davanti agli occhi. “Vividamente” è aggiunto perché così la si distingue massimamente dalla narrazione; quest'ultima dà una semplice esposizione delle azioni, mentre la prima cerca di rendere gli ascoltatori degli spettatori. Noi componiamo ékphrasis di luoghi, tempi, persone, feste, cose fatte: di luoghi, per esempio, prati, porti, specchi d'acqua; di tempi, per esempio la primavera, l'estate; di persone, per esempio, sacerdoti, Tersite e simili; di feste, come le Panatenee, le Dionisiache, e cose fatte durante queste […]. Essa differisce dalla narrazione nel fatto che quest'ultima esamina le cose come un tutto, la prima solo come parte […]. Quando componiamo ékphrasis, e specialmente descrizioni di immagini o qualcosa del genere, dobbiamo tentare di aggiungere un resoconto sulle impressioni fatte dal pittore o dalla forma plasmata; per esempio, che la figura dipinta era adirata per questo motivo o era serena; ovvero dobbiamo menzionare qualche altra emozione che viene suscitata dalla storia di ciò che viene descritto. In modo simile, in altri casi, le spiegazioni contribuiscono alla vividezza. Dobbiamo cominciare con le prime cose e poi giungere alle ultime; per esempio, se il soggetto dell'ékphrasis è un uomo rappresentato in bronzo o in un dipinto o qualcosa del genere dopo aver iniziato la descrizione della testa dobbiamo spostarci sul resto, parte dopo parte. In questo modo il discorso si vivacizza alquanto» (Kennedy, 1977, p. 167).

Ma ritorniamo un momento alla possibilità di esprimere caratteri attraverso ritmi figurati. Come leggiamo nel commento francese a cui qui ci si sta riferendo, benché Aristotele fondi la sua teoria sulla concezione greca che un carattere (èthos), oggetto principale della mimesi del danzatore, possa essere espresso attraverso un ritmo incarnato in figura, e benché dunque la danza risulti essere il naturale modello figurativo a cui riferirsi per esprimere un'arte mimetica destinata a rappresentare esseri che agiscono e che sono dotati di un carattere (sintesi di emozioni e azioni!), nonostante tutto questo, si osserverà che nella Poetica l'arte di riferimento costante, a cui attingere esempi e a cui guardare per costruire una teoria del mimetico, è la pittura:

Expression directe des caractères, le rythme met au premier plan l'èthos comme objet de la représentation. Au contraire, une des thèses les plus énergiquement soutenues par Aristote est que l'èthos doit être, dans la composition poétique, un objet de second plan (deuteron, chap. 6, 50 a 39), subordonné à l'action (praxis). Or, l'art pictural précisément entretient avec le caractère un lien beaucoup plus lâche: il en donne une simple “indication”: en effet selon les termes de la Politique (VIII, 1340 a 28 sq.), par opposition aux mélodies qui contiennent des “représentations” (mimèmata) des caractères, dans l'ordre visuel, les formes et les couleurs ne sont pas des “copies” (homoiomata), mais plutôt des “signes” (sèmeia) des caractères. Ce qui fonde au contraire le plaisir propre de la peinture, c'est le trait, le dessin de l'image en blanc et noir, autrement dit la création et l'organisation des formes.97

I modi della rappresentazione per Aristotele si dividono tra quelli che ricorrono a ritmo, linguaggio e melodia e che sono essenzialmente la poesia, il canto accompagnato da strumenti e la danza da una parte; dall'altra parte ci sono i modi che si servono di forme e colori e che si raccolgono attorno alla pittura: a dimostrazione di come il legame tra i due modi sia forte, per spiegare i primi Aristotele ricorre ai secondi.98 Saremmo tentati di dire che il punto in comune tra i due modi siano

gli schemata, nel loro prodursi nel momento dell'invenzione poetica, nella redazione testuale e, in forma attoriale, nella resa interpretativa:

En fin de compte, «se mettre le choses sous les yeux» et «donner du fini par skhèmata» sont deux techniques convergentes: l'une comme l'autre visent à mettre le poète en mesure d'animer son texte, de donner l'illusion de l'acte (energeia), de produire un effet de réel (alethinotata) – le tout ordonné à la persuasion (cf. pithanotatoi) qui décide en dernier ressort de la qualité de la représentation.99

Roselyne Dupont-Roc e Jean Lallot mettono l'accento sulla possibilità di movimento a cui rimanderebbero gli schemata, mentre ritorneremo in seguito su questo concetto per evidenziarne piuttosto il carattere di fissità, per la capacità cioè di condensare in un punctum temporis 97 Roselyne Dupont-Roc et Jean Lallot, notes de lecture à La Poétique, op. cit., p. 149.

98 Si veda a questo proposito: Amedeo Quondam, «Ut pictura poesis». Classicismo e imitazione, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, Milano, 1987, 553- 558.

un'immagine densa di temporalità.