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2. INFANTICIDIO E ABORTO NEL PERIODO TOKUGAWA 徳川 (1600-1868)

2.2.3. Monaci: una posizione intermedia

Per lungo tempo si è parlato dell’epoca Tokugawa come di un periodo monolitico e statico della storia del Giappone. Nel momento in cui l’elite intellettuale dovette trovare ragione per il profondo

99 Vedi Anne Page BROOKS, “Mizuko Kuyō and Japanese Buddhism”, p. 129; William R. LAFLEUR, Liquid Life. Abor-

tion and Buddhism in Japan, p. 51.

100 Helen HARDACRE, Marketing the Menacing Fetus in Japan, cit., p. 29-30.

Fig. 25-26-27: statue di Jizō bosatsu in Giappone

cambiamento portato dalla riapertura del Paese all’inizio del periodo Meiji, lo strumento più facile a loro disposizione fu quello di prendere le distanze dall’immediato passato bollando quest’ultimo come un periodo buio, negativo. La nuova classe dirigente dunque, per giustificare il proprio dina- mismo e dare forza alle trasformazioni che la realtà politica e sociale del Paese si trovava ad affron- tare, classificò l’intero periodo storico precedente come feudale (inteso nel senso europeo del termi- ne, ovvero nell’accezione di oscuro, statico). Per lungo tempo l’immaginario che vede tutto il peri- odo Edo come immobile e piatto ha profondamente condizionato sia le teorie degli studiosi giappo- nesi sia di quelli occidentali. La realtà dei fatti, tuttavia, fu assai diversa. La società Tokugawa fu tutt’altro che statica, e quella che è stata definita dagli studiosi “pax Tokugawa” è in realtà un’invenzione101. Il Giappone durante questa fase storica non può essere definito come un Paese in pace: per i Tokugawa, infatti, fu molto difficile mantenere un equilibrio interno, le crisi economiche furono ricorrenti, e il profondo disagio sociale si manifestò sotto forma di numerose rivolte popola- ri102.

Durante questo periodo anche la tradizione religiosa buddhista attraversò una fase critica.

For generations, both Japanese and Western scholars have depicted the religion in these centuries as ha- ving entered an era of sharp decline. Though the first expression of this view can be traced back to the Tokugawa period itself, modern Japanese scholarship has generally agreed that, while limited activity could be seen in such areas as sectarian scholarship, clerical discipline, and apologetics, Tokugawa Bud- dhism generally was a formalized, lifeless religion led by a degenerate clergy. [...] it must be acknowle- dged that the established view is not without some basis in fact. In the Tokugawa period Buddhism did indeed lose the dominant position it had maintained in Japanese religious and intellectual history shortly after its introduction into the country in the sixth century. [...] In addition, Buddhism faced internal pro- blems that eroded its religious integrity, problems of a marked decline in discipline within the clergy and of an entrenched and divisive sectarianism.103

In seguito alla riunificazione del Paese, la famiglia Tokugawa tentò di affermare la sua autorità su ogni aspetto della vita dei giapponesi, e le politiche attuate per riuscire in questo scopo non rispar- miarono nemmeno la sfera religiosa. Oltre ad espellere dal Paese i missionari cristiani e a dichiarare illegale qualsiasi forma di aderenza alla nuova religione portata nell’arcipelago dagli europei, essi adottarono anche una serie di misure nei confronti del clero buddhista. La loro politica fu volta a in- debolire la potenza dei grandi monasteri e a favorire e radicare nel Paese il sistema che prende il

101 Lezione del 16 febbraio 2011 del corso di Storia del pensiero del Giappone moderno e contemporaneo, professor

Massimo Raveri.

102 Sulla storia del periodo Tokugawa vedi Kennet G. HENSHALL, Storia del Giappone, pp. 81-110.

103Wm. Theodore DE BARY, Carol GLUCK, Arthur E. TIEDEMANN, Sources of Japanese Tradition. 1600 to 2000, vol. 2,

nome di danka 檀家 (famiglia che porta offerte a un tempio buddhista)104. Secondo questo sistema, le famiglie che vivevano in un determinato territorio, appartenevano al tempio buddhista locale, e- rano cioè suoi “parrocchiani”, e avevano l’obbligo di registrarsi presso di esso. Questo sistema, ol- tre a permettere alla classe dirigente di avere un quadro più completo in merito ai dati anagrafici del Paese, rendeva possibile anche un controllo più stretto su tutta la popolazione e ne impediva l’adesione alla fede cristiana. I parrocchiani infatti, oltre all’obbligo di registrare la loro presenza in un determinato territorio, avevano anche il dovere di partecipare alla vita religiosa del tempio bud- dhista locale. Il controllo da parte del bakufu si fece sempre più ingerente, tanto da far affermare ad alcuni studiosi che l’azione restrittiva del governo e i nuovi regolamenti imposti alle varie sette bud- dhiste portarono la religione a uno stato di impotenza105.

Government policy also accentuated the already highly sectarian character of Japanese Buddhism. Stimu- lating this development was the bakufu's decree that each sect organize its temples along strict hierarchi- cal lines. In this arrangement, known as the main temple/branch temple (honmatsu) [本末] system, each sect had a relatively few main temples (honji) [本寺] under which other temples associated with the sect were ranked as branch temples (matsuji) [末寺]. The government recognized the special authority of the main temples in the management of the affairs of its branches, and by itself keeping a close watch over the main temples, it was able to exercise its control over the entire temple system.106

Tuttavia, come afferma Del Campana, dire che l’intero sistema della tradizione buddhista venne schiacciato dall’intervento del potere politico, sembra essere una considerazione piuttosto riduttiva. Essa deriva dal fatto che la forte influenza politica ed economica di cui i monasteri buddhisti aveva- no goduto nei secoli precedenti venne non annullata ma profondamente ridotta dalle azioni della famiglia Tokugawa. La drastica perdita di rilevanza all’interno dei vertici della società giapponese fu una delle cause che contribuì ad accelerare la crisi che investì questa tradizione religiosa durante tutto il periodo Edo.

[...] both laxity in discipline and sectarianism were accentuated by circumstances unique to the Tokugawa period and, in particular, by policies adopted by the Tokugawa military government.107

Da una radicata ingerenza politica ed economica nella vita del Paese, tutto il clero buddhista dovette confrontarsi con l’imposizione, da parte delle autorità, di un notevole ridimensionamento della pro- pria forza. Non si può dire, tuttavia, che tale cambiamento di rotta ebbe solamente degli effetti ne-

104 Vedi Pier Paolo DEL CAMPANA, “Il buddhismo in Giappone”, p. 443.

105 Vedi SANSOM George B., Japan, a Short Cultural History, Stanford, Stanford University Press, 1952 (1 ed.: 1931),

pp. 444-497.

106 Wm. Theodore DE BARY, Carol GLUCK, Arthur E. TIEDEMANN, Sources of Japanese Tradition. 1600 to 2000, vol. 2,

cit., pp. 521-522.

gativi. Come sottolinea Del Campana, la distanza che il potere centrale pose tra sé e la sfera religio- sa buddhista, permise all’ambiente monastico di tornare a concentrare le proprie attenzioni anche verso le esigenze degli strati più bassi della società:

Al tempo stesso, occorre però osservare che proprio quelle sconfitte spinsero a un ripensamento e alla ri- scoperta della missione dei monaci e delle varie istituzioni buddhiste. Infatti fu proprio la perdita politica e finanziaria delle varie sètte, che spinse molti monaci a impegnarsi nello studio della dottrina dei loro fondatori e nell’apostolato a vantaggio dei loro fedeli.108

Può essere pertanto rintracciato in quello che Del Campana considera come un “riavvicinamen- to” del clero buddhista alla gente comune, il motivo che permise un atteggiamento tollerante da par- te dei monaci nei confronti del tema dell’aborto. Fin dal passato, in Giappone, l’ambiente monastico della tradizione religiosa buddhista ha avuto, nei confronti delle pratiche dell’aborto e dell’infantici- dio, una condotta che, agli occhi esterni, potrebbe apparire piuttosto ambigua. Se, infatti, da una parte il Primo Precetto del Buddhismo impone ai fedeli di astenersi dall’uccidere109, dall’altra parte esso non ha mai criticato apertamente il ricorso all’aborto, bensì ne ha sempre officiato i riti. Come afferma Brooks,

[...] one needs to consider the two dimensions of Japanese thinking; tatemae [建前] (“theoretical”) and

honne [本音] (”practical”). On a theoretical level, Japanese oppose abortion, but on a practical level they

realize they must face the realities of life [...].110

Da questa considerazione emerge che, se da una parte l’ambiente monastico buddhista ha considera- to l’aborto come l’uccisione di un essere umano e, di conseguenza, una scelta contraria all’insegna- mento del Primo Precetto, dall’altra parte, il clero giapponese ha assunto fin dal passato una posi- zione intermedia, avvicinandosi a quelli che erano i bisogni dei fedeli. In questo caso la linea di condotta seguita fu quella di non lasciare sole le madri che si trovavano a dover affrontare la tristez- za per aver volontariamente respinto un proprio figlio.

[...] the Buddhists for the most part took the position that abortion was what we call a “necessary evil” - although their term was a “necessary sorrow”. A common Buddhist position, in this sense comparatively [LaFleur fa un paragone col diverso atteggiamento dei confuciani, dello shintō e dei sostenitori del pen- siero kokugaku] “soft” on abortion, is expressed in the tradition of memorial rituals (kuyō) provided in ca- ses of abortion [...]. This is not to say that Buddhists had no qualms about abortion or did not recognize a

108 Pier Paolo DEL CAMPANA, “Il buddhismo in Giappone”, p. 446.

109 “Non uccidere, anzi mantieni e tutela ogni forma di vita”; “The first precept corresponds to the Hindu and Jain con-

cept of ahimsā, ‘non-injury’, and is generally regarded as the most important one: ‘Non-injury is the distinguishing mark of Dhamma’ (Miln. 185). [...] Taking the first precept rules out the intentional killing of any living being, human or otherwise.”, Peter HARVEY, An Introduction to Buddhist Ethics, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, cit., p. 69.

tension between its practice and the precept against taking life. It is merely to note that they were more flexible on this point than were the Confucians and proponents of late Kokugaku.111

Consapevoli degli insegnamenti alla base della tradizione religiosa buddhista, i monaci giapponesi preferirono ugualmente intraprendere una linea di condotta compassionevole anziché di aperta con- danna, agendo per il bene delle donne coinvolte nel ricorso alle pratiche dell’aborto e dell’infanticidio.

Il buddhismo, pur riconoscendo che l’aborto significa sopprimere una vita, affronta la questione anche con la benevolenza, la tolleranza e la compassione che lo contraddistinguono.112

[...] more or less clandestinely in the Edo period and much more openly in the second half of the twen- tieth century, Japan’s Buddhists have shown a tendancy to condone not only contraception but abortion as well.113

111 William R. LAFLEUR, “Contestation and Consensus: The Morality of Abortion in Japan”, Philosophy East and West,

40, 4, 1990, pp. 529-542, cit., p. 532.

112 Damien KEOWN, Buddhismo, Torino, Einaudi, 1999, cit., p. 106.