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4. MIZUKO KUYŌ 水子供養 DAL DOPOGUERRA A OGG

4.1. IL CULTO OGG

4.2.3. Monaci: adeguamento alle richieste dei fedel

In seguito ai cambiamenti che si registrarono nella società giapponese a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’atteggiamento dell’ambiente buddhista cambiò. Durante gli anni del na- zionalismo e dello sforzo bellico, la tradizione religiosa buddhista dovette adeguarsi alle direttive imposte dalle autorità al governo in materia di famiglia e di incentivazione dell’aumento del numero della popolazione. Per questo motivo, la tolleranza nei confronti del ricorso all’aborto registrata du- rante il periodo Tokugawa venne cancellata durante i periodi Meiji, Taishō e la prima parte del peri- odo Shōwa. Successivamente alla sconfitta del Paese, tuttavia, la politica nazionalista e la politica pronatale che avevano costituito i capisaldi dell’operato dei governi antecedenti persero le basi ideo- logiche sulle quali si erano fondate. In conseguenza a ciò, anche l’ambiente buddhista si liberò dai vincoli che lo avevano legato durante i periodi precedenti. I processi di inurbamento e di globalizza- zione ebbero delle forti ripercussioni sulla struttura della famiglia giapponese, che da patriarcale, ge- rarchica e allargata diventò mononucleare, e sulla figura della donna all’interno della società. Ques’ultima cominciò ad acquisire un’indipendenza sempre maggiore nell’ambiente scolastico, lavo- rativo e sociale. Tuttavia, non sempre le autorità seppero rispondere in misura adeguata al cambia- mento del ruolo femminile e alle nuove esigenze delle donne giapponesi. Come si è visto, uno degli esempi più evidenti dell’incapacità di adeguarsi ai tempi è rappresentato dal problema dell’aborto.

155 Brooks sostiene che la popolarità che Jizō ha avuto negli ultimi decenni all’interno della società giapponese come

figura centrale nei riti per le anime dei bambini abortiti, non sia stata altro che la risposta alla rapida diffusione dell’aborto nel Paese a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Egli, in quanto figura di compassione, ha aiu- tato le madri a cercare sollievo dai sentimenti di colpa derivanti da un aborto e dai sentimenti di rancore associati allo spirito sofferente nel mondo dell’aldilà. Vedi BROOKS, Anne Page, “Mizuko Kuyō and Japanese Buddhism”, p. 131.

156 Elizabeth G. HARRISON, Midori IGETA, “Women’s Responses to Child Loss in Japan: The Case of Mizuko Kuyō”,

Davanti alla politica inadeguata nei confronti della contraccezione e dell’interruzione volontaria della gravidanza e davanti all’improvvisa impennata del numero degli aborti, il mondo religioso tentò di elaborare una risposta al nuovo fenomeno e lo fece dando vita al mizuko kuyō. L’atteggia- mento che prevalse all’interno del clero buddhista fu, dunque, quello di adeguarsi alle richieste dei fedeli dando la possibilità alle madri che avevano scelto di abortire di trovare un mezzo per control- lare lo spirito del mizuko e salvaguardare loro stesse e il resto della famiglia. Uno dei motivi per i quali gli ambienti buddhisti in Giappone decisero di adeguarsi alle nuove richieste fu la paura di perdere i fedeli, i quali se non avessero trovato nel tempio di appartenenza una risposta alle loro ne- cessità avrebbero iniziato a guardarsi intorno in cerca di un luogo più adatto ai loro bisogni157.

Fin dal passato della storia del Paese l’ambiente monastico buddhista ha manifestato, nei con- fronti dell’aborto un atteggiamento piuttosto ambiguo. Da una parte il Primo Precetto del Buddhi- smo recita “Non uccidere, anzi mantieni e tutela ogni forma di vita”, imponendo di conseguenza ai fedeli di astenersi dall’uccidere.

Non-injury is the distinguishing mark of Dhamma’ (Miln. 185). [...] Taking the first precept rules out the

intentional killing of any living being, human or otherwise.158

Dall’altra parte, tuttavia, esso non ha mai criticato apertamente l’aborto né preso una posizione con- divisa da tutte le scuole e le sette religiose buddhiste presenti nel Paese sulla questione. Da questa considerazione emerge che, se a livello teorico l’ambiente monastico buddhista ha considerato l’aborto come l’uccisione di un essere umano e, di conseguenza, una scelta contraria all’insegna- mento del Primo Precetto, a livello pratico ha preferito assumere una posizione intermedia, confron- tandosi con la realtà in cui è quotidianamente immerso e avvicinandosi a quelli che sono i bisogni dei fedeli159.La linea di condotta prescelta è stata quella di non lasciare sole le madri che si trovano a dover affrontare la tristezza per aver volontariamente respinto un proprio figlio. In un saggio di LaFleur viene riportato un passo di un’intervista in cui un monaco espone la posizione generalmen- te condivisa dal clero buddhista:

Oh, of course, Buddhism teaches that we are not to take the lives of the others! The scriptures are very clear about that – as well as that babies in wombs are life. But, yes, if it is the question of abortion in to- day’s society we are really in a dilemma. It’s really a problem, isn’t it? We cannot say it is absolutely wrong. Women who have to get abortions go through a tremendous amount of pain and stress. We have

157 Vedi William R. LAFLEUR, Liquid Life. Abortion and Buddhism in Japan, p. 163

158 Peter HARVEY, An Introduction to Buddhist Ethics, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, cit., p. 69. 159 vedi Anne Page BROOKS, “’Mizuko Kuyō’ and Japanese Buddhism”, p. 137. “The only (ambiguous) position taken

by the Buddhist clergy was spelt out during an international conference (World Buddhist Conference) in response to a declaration which descibe Japan as an ‘abortion paradise’. It would appear that while in theory the monks condemn a- bortion, they find themselves more or less compelled to accept it as an inescapable evil.”, Muriel JOLIVET, Japan: The

to show compassion for them in that, don’t we? Still, we also need to feel sorry for the aborted infants, too.160

In seguito alla rapida diffusione del mizuko kuyō, tuttavia, cominciarono a aumentare le critiche nei confronti dei templi buddhisti che si erano adeguati al nuovo fenomeno. Mosse da diversi am- bienti, queste critiche avevano come principale obiettivo quello di denunciare l’atteggiamento dei monaci di voler strumentalizzare i sentimenti di dolore e di colpa delle madri per garantirsi una per- petua frequentazione ai riti del tempio da parte dei fedeli coinvolti e una conseguente fonte sicura di entrate. Quando le critiche cominciarono a essere mosse da settori sempre più numerosi della socie- tà, il mondo buddhista iniziò a porsi delle domande in merito al fenomeno.

Japanese Buddhism, especially those in the older, mainline denominations, have been worried by such criticisms. That worry stems, in part, from the fact that Buddhists have no clear “position” on these mat- ters.161

Nel momento in cui le accuse contro il mizuko kuyō cominciarono a farsi pressanti, il fatto di non avere una posizione chiara in merito all’aborto e alla stessa natura dei riti per la pacificazione delle anime dei feti abortiti, giocò a loro sfavore, in quanto risulta molto difficile rispondere a un attacco esterno se all’interno del gruppo esistono idee diverse e altrettanto diversi atteggiamenti nei con- fronti di uno stesso fenomeno.

The question of curses in connection with mizuko kuyō, and the problem that criticism of abortion tends to focus and apply pressure on women, are two problems that remain even if one admits that participation in memorial rites offers some healing. One of the reasons for the problems is that a religious basis or justifi- cation for mizuko kuyō has never been clearly delineated. Both issues are dependant on the explanation of when human life begins and ends; as long as this point is not clarified, the issues surrounding mizuko kuyō will never be resolved.162

Il dibattito in corso non ruota attorno al problema della moralità dell’aborto. Al contrario, esso verte principalmente sul concetto di tatari, l’azione maligna e vendicativa legata alle anime dei feti abor- titi e allo sfruttamento e alla commercializzazione del dolore provato dalle madri163. E’ importante

sottolineare il fatto che il dibattito non ha coinvolto solamente ambienti esterni al mondo religioso. Al contrario si sono espressi sulla questione anche alcuni esponenti del clero buddhista.

160 William R. LAFLEUR, “Abortion in Japan: Towards a ‘Middle Way’ for the West?”, cit., p. 70. 161 William R.LAFLEUR, Liquid Life. Abortion and Buddhism in Japan, cit., p. 163.

162 KOMATSU Kayoko, “Mizuko kuyō and New Age. Concepts of Reincarnation”, cit., p. 266.

163 Vedi Massimo RAVERI, Itinerari nel sacro. L’esperienza religiosa giapponese, pp. 242-243. “[...] the problem as

perceived by most Buddhists has not been over the morality of abortion per se as over the propriety and morality of ta-

tari, the notion that the spirit of an aborted fetus is causing harm to its parents or siblings still in this world. For istance,

in July 1987 an entire issue of Daihōrin, an interdenominational Buddhist periodical, was devoted to discussions of tata- ri”, William R.LAFLEUR, Liquid Life. Abortion and Buddhism in Japan, cit., p. 163.

[...] almost all the Buddhist writers about tatari in the pages of Daihōrin repudiate those temple – like Purple Cloud [Shiunzan Jizō-ji] – that use the fear of tatari to coerce and cajole people. There is, they suggest – a wide deviation away from the Buddhist tradition in this kind of thing.164

Le critiche avanzate da questo gruppo di monaci buddhisti si muovono principalmente in due dire- zioni. La prima condanna l’idea del “trasferimento dei meriti”, ekō 廻向, alla base del concetto del

tatari. Quello di ekō è uno dei concetti alla base della tradizione religiosa buddhista; esso consiste

nella credenza che, per mezzo delle preghiere e dei riti, i vivi operino un trasferimento di meriti nei confronti dell’anima del defunto, in modo da aiutarlo lungo il percorso verso il raggiungimento del- l’illuminazione. Nel mizuko kuyō il concetto di ekō viene capovolto: l’anima del feto abortito ha una profonda influenza sulla condizione terrena dei vivi e sul loro destino. Nel primo caso il trasferi- mento dei meriti ha una funzione positiva mentre nel secondo caso assume una valenza totalmente negativa, in quanto il tatari porta nei vivi sentimenti di angoscia e di dolore165. I monaci che critica- no i riti legati alle anime dei mizuko non riconoscono alcuna caratteristica buddhista in questo nuo- vo tipo di trasferimento dei meriti e, pertanto, negano l’appartenenza del nuovo culto alla loro tradi- zione religiosa. La seconda linea di pensiero è costituita da coloro che condannano il mizuko kuyō in quanto percepito come mera forma di commercializzazione di un aspetto religioso. Accusano i tem- pli, come ad esempio lo Shiunza Jizō-ji di Chichibu, di sfruttare i riti in memoria delle anime dei fe- ti abortiti e di generare un’idea di colpa e di vendetta dello spirito sui vivi per fini prettamente eco- nomici166. L’idea che una persona possa risolvere i problemi legati all’azione vendicativa di uno spirito rancoroso per mezzo di un compenso economico è considerata in contraddizione con la compassione propria della tradizione religiosa buddhista167.

Il problema, dunque, non è rappresentato dalla moralità della decisione di abortire o dalla crea- zione di una nuova categoria di spiriti inquieti e rancorosi. Nella tradizione religiosa dell’arcipelago, la credenza nell’esistenza di un gruppo di anime che, morte di morte violenta, ingiusta o prematura, sono diventate infelici e vendicative, è profondamente radicata. Ancora oggi questo aspetto ha mol- ta presa sulla popolazione giapponese. Inoltre, l’aborto è così diffuso e radicato nella cultura e nella vita della società giapponese che il mondo buddhista, per non allontanarsi da quella che è la nuova realtà del Paese e dalle necessità dei fedeli, ha deciso di tenere un atteggiamento di tacita tolleranza verso la pratica. Gli aspetti che alcuni ambienti criticano ad altri esponenti della tradizione buddhi- sta è l’inopportuna creazione di un discorso che impedisce alle donne di liberarsi dall’azione com- messa, percepita come una colpa, al fine di garantirsi la perpetua frequentazione del tempio delle persone coinvolte e una facile e redditizia fonte di guadagno.

164 William R.LAFLEUR, Liquid Life. Abortion and Buddhism in Japan, cit., p. 176.

165 Vedi Massimo RAVERI, Itinerari nel sacro. L’esperienza religiosa giapponese, pp. 242-243. 166 ibidem.

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