Dario Cravero
Per fare il punto sull'assetto attuale del ser-vizio sanitario ed indicare linee orientative per un programma futuro, è doveroso ed essenziale richiamarsi a tre fattori:
la riforma ospedaliera, ormai in atto dal 1969;
il progetto di riforma sanitaria, approvato dal governo e presentato al Parlamento nel lu-glio 1974;
la conversione in legge del decreto legge 8-7-1974 recante norme per l'estinzione dei de-biti degli Enti mutualistici nei confronti degli Enti ospedalieri, il finanziamento della spesa ospedaliera e l'avvio della riforma sanitaria.
Ignorare alcuni di questi tre momenti, sorvo-larli o tenerli in poco conto, sarebbe ricondurre il discorso a pura accademia, disancorata dalla realtà oggettiva.
— La legge di riforma ospedaliera, antici-patrice di una realtà sociale in « fieri », stabilisce già, fra l'altro, all'art. 2 che gli ospedali « ... par-tecipano alla difesa attiva della salute in
coordi-namento con le attività delle altre istituzioni sanitarie locali... » possono, inoltre, istituire,
an-che fuori della sede dell'ospedale, ambulatori, centri per la^cura e la prevenzione di malattie so-ciali e del lavoro, centri per il ricupero funzionale.
Il legislatore intende quindi l'ospedale non già come presidio a se stante, avulso dal resto dell'as-sistenza, i cui rapporti con l'esterno sono a senso unico, ma come entità che mette le sue strutture, necessariamente più affinate, a disposizione di tutti, con una perfetta osmosi intra ed extra moenia.
— Il progetto di riforma sanitaria approva-to dal Governo e presentaapprova-to al Parlamenapprova-to nel luglio 1974, dichiara il superamento dell'assicu-razione contro la malattia, sancendo il principio della tutela della salute.
Non privilegia più il solo momento curativo, ma pone sul suo stesso piano la prevenzione ed il ricupero funzionale, valorizzando la difesa dell'in-tegrità psico-fisica dell'individuo ed additando i mezzi per ricuperarla, qualora perduta, sino al completo reinserimento del soggetto nella vita sociale.
Armonizza l'insieme delle prestazioni, ora qualitativamente e quantitativamente difformi, e pare indicare nell'unità sanitaria locale (USL) lo strumento idoneo per realizzare la globalità degli interventi a livello periferico.
Assegna all'USL gli ospedali e le strutture di base (art. 11) ma con il successivo art. 12, sta-bilisce che « presidi sanitari ospedalieri ed extra ospedalieri che, per finalità specifiche perseguite e per le loro caratteristiche tecniche e speciali-stiche, sono individuati dalla legge regionale come riferibili a comprensori la cui estensione comprenda il territorio di più USL, sono trasferiti alle Regioni nelle quali sono ubicati ».
— Il decreto legge 8 luglio 1974 n. 264, convertito in legge dal Parlamento il 10-8-1974, vieta l'istituzione di nuove divisioni, sezioni e servizi ospedalieri, quando questi non rispondano a specifiche inderogabili esigenze di assistenza sanitaria delle comunità locali che non possano essere soddisfatte mediante utilizzazione di ana-loghe strutture esistenti in ospedali limitrofi. Vieta altresì agli enti mutualistici, con le stesse preci-sazioni, l'istituzione di nuove strutture o servizi sanitari.
Riepilogando si evince:
a) che l'ospedale deve svolgere funzioni di
prevenzione, cura e riabilitazione intra ed extra muraria, nell'ambito dell'USL, o in collabora-zione con la medesima, se l'ospedale ha dimen-sioni e qualificazioni superiori. Lo stesso si può dire per strutture extra ospedaliere di carattere intercomprensoriale le quali, al pari degli
ospe-dali con alte specializzazioni, acquisteranno le funzioni di « corti d'appello della salute ».
b) Che il divieto, se pur contingente, ad
isti-tuire nuove strutture intra ed extra ospedaliere qualora eguale offerta di prestazione possa essere fornita in presidi limitrofi, vanifica una rigida autonomia operativa dei vari enti deputati all'assi-stenza sanitaria, favorendo invece, una osmosi fra le varie strutture, in attesa dell'abolizione delle multiformi personalità giuridiche.
c) Che la globalità dell'intervento sanitario è logico cercarla, in senso assoluto, solo nella dimensione regionale, pur già trovandola, par-zialmente, nella sfera di competenza della mag-gior parte delle USL.
* * =s
Ritengo opportuno analizzare ora temi più spe-cifici, sui quali a mio giudizio, è utile focalizzare l'attenzione, limitandomi tuttavia ad indicare, in base alle premesse, delle linee orientative.
Ospedali per acuti.
La programmazione regionale deve muoversi su tre strade, naturalmente convergenti verso una finalità unica.
1. Individuare per ogni branca principale e specialità, i campi di competenza, la patologia di confine, l'indice di spedalità e quindi di posti-letto necessari in senso assoluto per la branca stessa, le dimensioni minime e massime dell'unità operativa ottimale.
2. Ricavare, con un processo di sintesi, i mo-delli dell'ospedale tipo, nei suoi vari aspetti, dimensioni e strutture.
3. Confrontare quelli che potremmo definire modelli ideali con la fotografia del reale, indi-viduando divergenze e convergenze e suggerendo strumenti opportuni per la pianificazione dell'in-tervento.
— Dall'esame del punto uno si può trarre una prima considerazione: esistono delle branche di base, come la medicina generale, la chirurgia generale, l'ostetricia e la pediatria; esistono delle specialità di routine o livelli intermedi (ortope-dia-traumatologia, otorinolaringoiatria, oculistica,
urologia, neurologia) che, pur essendo gemma-zione lontana della branca principale, tuttavia, col passar del tempo, hanno assunto veste e con-figurazione propria e, pertanto, salvo casi ecce-zionali, l'offerta di prestazione che esse fornisco-no, non può essere affidata alla branca matrice; vi sono infine delle specialità di livelli superiori che si dedicano, se pur più a fondo e con parti-colari specifiche competenze, a settori della me-dicina generale e della chirurgia generale.
Ritengo quindi che la patologia compresa nel 2° gruppo (livelli intermedi) deve essere tutta as-segnata a delle specialità e l'indice posti-letto/ popolazione integralmente rapportato alla do-manda specifica.
Per quanto si riferisce invece ai livelli supe-riori, alla specialità deve soltanto assegnarsi la patologia della fascia alta, lasciando alla branca madre tutto il resto: per fare un esempio, una semplice albuminuria non dovrà essere di compe-tenza della nefrologia, ma della medicina ge-nerale.
In tal modo, le super specialità, dotate di co-stose attrezzature, potranno rivolgersi ad un gruppo di popolazione minore, ma abbisognevole di cure più affinate ed appropriate; le branche principali invece potranno spaziare più compiu-tamente nel loro campo, fornendo servizi eguali in tutti i nosocomi, indipendentemente dalle sedi e da una supposta gerarchia di valori. Gerarchia di valori che non ha più ritenuto valida il legi-slatore, contemplando una idoneità nazionale unica per ogni qualifica e per ogni tipo di ospe-dale ed un punteggio di carriera eguale per ser-vizi prestati in qualsiasi ospedale, indipendente-mente dall'etichetta di classificazione.
Sarà quindi utile aumentare il parametro posti-letto/popolazione relativo alle branche principali, ridimensionarlo per quanto si riferisce alle spe-cialità di livello superiore.
— Dall'esame del punto due si evince che le dimensioni minime dell'ospedale di base, patibili con una sufficiente organizzazione, com-prendono divisioni rispettivamente di medicina generale, di chirurgia generale, di ostetricia e gi-necologia, di pediatria più servizi di base e si riferiscono ad un bacino di utenza di 50.000 abi-tanti, comprensorio minimo dell'USL.
Debbo tuttavia precisare che tale tipo di ospe-dale dovrebbe essere riservalo ai casi limite, di aree e popolazione particolarmente sparse.
Il modello ideale di ospedale dovrebbe invece comprendere livelli di base e livelli intermedi e riferirsi ad un bacino di 100.000-120.000 utenti: si potrebbe in tale modo curare l'80-85% della patologia umana. L'USL, di conseguenza, dovreb-be identificarsi in tali dimensioni tipo, pur con-tando su distretti sanitari di 10.000 abitanti, che la legge istituisce per la medicina ed i servizi di primo intervento.
Per quanto si riferisce ai livelli superiori, essi dovrebbero essere coagulati in dipartimenti d'or-gano, secondo l'art. 10 del D.P.R. n. 128 e con-centrati (uno o più dipartimenti) in ospedali della regione che possano prestare contemporanea-mente funzioni di base e di livelli intermedi per l'USL.
L'attuale classificazione degli ospedali in zo-nale, provinciale e regiozo-nale, mentre porta in-vece ad un'assurda gerarchizzazione, favorisce una corsa all'etichetta, segno più di clientela che di vera qualificazione.
Ritengo inoltre che, pur essendo conveniente dislocare i presidi anche a seconda della loro più o meno facile accessibilità, il subordinare rigida-mente ad essa le scelte programmatone, sarebbe il più della volte rinunciare all'efficienza a van-taggio della comodità.
— La fotografia del reale permette di evi-denziare delle carenze che, per i livelli superiori possono essere anche conseguenza della giovane età di alcune alte specializzazioni e attribuibili perciò al fatto che alcune di esse hanno solo su-perato lo stadio sperimentale, mentre ciò non può dirsi per le strutture di base: mi sembra sufficiente richiamare l'attenzione sulla mancanza di circa sei-settecento letti per ostetricia.
Dal confronto infine tra il reale e l'ideale, rife-rito alle zone ospedaliere, qualora si registrino divergenze sull'ipotesi di piano si potrà procedere in uno dei seguenti modi:
a) se più ospedali viciniori concorrono in
totale a soddisfare la domanda, si tenterà la via della fusione o della concentrazione di presidi vari, eliminando i doppioni ed istituendo l'ospe-dale tipo;
b) se nel comprensorio vi sono invece pic-cole entità ospedaliere con strutture deficitarie rispetto al minimo compatibile sopra citato e la domanda è già soddisfatta qualitativamente e quantitativamente, detti micro enti dovranno
ces-sare di esistere con presidi per acuti per trasfor-marsi in presidi per lungo degenti.
Un discorso a parte si deve fare per l'emodia-lisi, la tisiologia, la geriatria.
Emodialisi.
Un conto è parlare di nefropatico, se pur allo stadio critico, che necessita di diagnosi e cure affinate in ambiente super specializzato, un conto è parlare di emodializzato, ossia di paziente la cui malattia è allo stadio terminale, il suo rene non funziona più ed egli rimane in vita solo se con frequenza bi-trisettimanale si procede a quello che viene volgarizzato come « lavaggio del sangue ». Il primo paziente deve essere assistito in unità di alta specializzazione, necessariamente poche nella regione per i criteri su esposti, il secondo paziente deve essere trattato in ambiente idoneo, ma vicino alla propria abitazione, per dargli modo di poter fare, se pur a regime ridotto, qual-che attività sociale e lavorativa.
Quindi il servizio di emodialisi, aggregato ad una divisione di medicina generale, deve diven-tare un servizio di base, non per « motivazioni di mercato » ma perché è indispensabile che sia cosi.
Tisiologia.
I posti-letto necessari per la tisiologia, secon-do il parametro che noi riteniamo valisecon-do dello 0,40 %0, sono sufficienti ed anzi, se analizziamo il parametro che noi riteniamo valido dello 0,40 per mille, sono sufficienti ed anzi, se analizziamo gli indici di occupazione di alcuni sanatori, ve-diamo come a volte sia maggiore la disponibilità, che la domanda.
Tuttavia dobbiamo registrare parimenti un aumento continuo di malattie bronco-polmonari aspecifiche dovute ad agenti morbigeni presenti nel suolo e nell'aria e dovuti ai gas di combu-stione. Essendo quindi le specialità bronco-pneu-mologia e tisiologia complementari l'una dell'al-tra, riteniamo che la bilancia attualmente sia in pareggio.
Geriatria.
Si deve anzitutto differenziare quello che è il problema del lungodegente, giovane o anziano, da quello che è il problema geriatrico, intendendo per quest'ultimo, l'insieme delle malattie
specifi-che dell'età avanzata, oppure generali con evolu-zione differente data l'età anziana e con possibi-lità di complicazioni.
Mentre potrebbe ipotizzarsi l'istituzione di un gerontocomio nella regione, dotato di tutte le di-visioni, sezioni e servizi necessari, o destinato agli ultra sessantacinquenni, penso che negli ospedali generali sia logico, anche per fattori socio-umani e per non creare dei disadattati, che l'anziano ven-ga curato a fianco dell'adulto e del giovane, affetti dalla stessa malattia, nella stessa corsia, istituen-do solo in alcuni ospedali delle divisioni geriatri-che con compito di prevenzione, di cura per parti-colari forme debilitanti, di ricupero di funzioni che l'età di per se stessa rende precarie.
Ospedale per lungodegenti.
Occorre per chiarezza separare i lungodegenti, problema sanitario, dai cronici dagli anziani e dagli handicappati, problema che interessa pili da vicino l'assistenza e la sicurezza sociale.
Per lungodegenti occorre intendere quei lati, già acuti i quali pur essendo ancora dei ma-lati, non necessitano più di cure intensive né pro-gressive.
Possono essere più o meno degli autosufficienti, sono comunque dei pazienti che, nella maggio-ranza dei casi debbono essere recuperati e riabi-litati.
Se pur il rapporto letti/popolazione è, secondo questi criteri, assai più basso di quello standard stabilito dalla circolare ministeriale, è pur vero che nel Piemonte necessitano circa mille posti-letto per lungodegenti.
Questi letti li dividerei in due gruppi: 1) un gruppo di letti, organizzato a divi-sioni di 50-60 posti ciascuna, da istituirsi negli ospedali generali di una certa consistenza e di-mensione, nel quale trasferire pazienti in fase di « intervallo » tra un intervento e l'altro o pa-zienti che necessitano di cure ridotte, ma da farsi nello stesso ambiente ospedaliero ove essi sono stati già prima curati.
2) Dei veri e propri ospedali per lungode-genti (e per questo possono essere usate le infer-merie o gli enti ospedalieri non corrispondenti ai requisiti minimi di ospedale di base) ove si dia particolarmente impulso ai centri di ricupero fun-zionale visto in senso estensivo, ossia riferiti alla riabilitazione dei vari apparati.
Pronto soccorso.
Il pronto soccorso non è solo ospedaliero, ma inizia al momento della chiamata, continua con l'arrivo dell'autoambulanza e il trasporto del pa-ziente nel luogo idoneo e termina con la cura e il ricovero del malato.
Il malato urgente inoltre è per lo più un malato polispecialistico e quindi le prestazioni da for-nire debbono essere pluridisciplinari.
Ciò chiarito, ne consegue che la polverizzazio-ne di pronti soccorsi in tutti gli ospedali, come vorrebbe l'art. 13 del D.P.R. 128, è inutile ed inefficiente.
Fermo restando il principio che ogni ospedale a struttura minima dovrà avere la sua guardia per emergenze interne, sarà ovvio creare una rete di unità operative di pronto soccorso solo negli ospe-dali a dimensioni superiori che oltre alle branche di base possono anche dare qualche assistenza specialistica specie in traumatologia-ortopedia, otorino, oculistica ecc.
A valle di queste unità operative o micro dipar-timenti di emergenza, a cui affluirà per comple-tamento cure, l ' 8 0 % della domanda di urgenza, dovrà essere istituita una copertura con presidi ospedalieri forniti di altissime specializzazioni, veri macro-dipartimenti di emergenza.
La neurochirurgia, la cui domanda compresa la neurotraumatologia è di poco meno di 500 posti-letto per il Piemonte, troverà posto solo in questi macro-dipartimenti di emergenza, non già perché, « la centralizzazione attuale risponde solo ad esi-genze di prestigio e di potere » ma bensì perché la polverizzazione corrisponderebbe ad uno pseudo efficientismo per mancanza di personale e di mez-zi idonei, sempre che non si voglia istituire co-stosi presidi, in attesa armata del potenziale trau-matizzato.
Le autoambulanze, attrezzate per la rianima-zione e collegate ad una centrale operativa, con-sentiranno di rianimare in situ l'infortunato e di portarlo nell'ospedale adatto senza inutili soste in presidi che di pronto soccorso hanno solo la targa.
Ambulatori.
Debbono essere una struttura intermedia tra il medico generico e l'ospedale. Debbono fornire al medico generico, in breve lasso di tempo, tutti quegli esami diagnostici e quelle consulenze
spe-cialistiche che gli permettano di fare non solo il passacarte, ma di curare veramente il malato.
Debbono essere il presidio ove si eseguono tutte le prestazioni medico-chirurgiche ambulato-riali che inevitabilmente cadrebbero sull'ospedale ed, a volte, non solo ambulatoriamente. Debbono fungere da filtro al ricovero non necessario, indi-rizzando invece il malato abbisognevole di cure ospedaliere all'unità operativa nosologicamente competente, con gli esami già fatti, non più discu-tibili e rinnovabili.
Se poi vogliamo scegliere tra ambulatori in ospedale ed ambulatori extra ospedalieri, ritengo che se l'USL a dimensioni superiori e di conse-guenza l'ospedale ha livelli di base e livelli supe-riori, gli ambulatori debbono essere per lo più esterni e svolgere tutte le funzioni sopra citate a monte dell'ospedale stesso.
Se invece, per cause specifiche, l'USL deve avere dimensioni minime e di conseguenza pure l'ospedale avrà il minimo di posti compatibile con una funzionale gestione, ad evitare doppioni di strutture, sarà logico che questo ospedale svolga anche funzioni ambulatoriali, filtro per il ricovero e il trasferimento in presidi superiori.
* * *
Concludendo ritengo che l'assetto del servizio sanitario debba concretizzarsi in una serie di USL ottimali che si riferiscono ad un bacino di utenza di 100-120.000 abitanti. In queste USL, l'assi-stenza generica e preventiva di primo intervento verrà svolta in distretti di 10.000 utenti; l'assi-stenza ambulatoriale, in una serie di presidi extra ospedalieri; l'assistenza ospedaliera nell'ospedale con livelli di base e livelli intermedi.
Nell'ambito di queste USL ottimali, esisteran-no anche presidi per lungodegenti con centri di ricupero.
Nei casi limiti, invece le USL potranno rivol-gersi ad un bacino di utenza di 50.000 abitanti, con un ospedale a livello di base che svolga anche funzioni di ambulatorio.
A valle di queste USL, ma con esse stretta-mente collegate, opereranno ospedali, che fra l'al-tro erogheranno prestazioni a livelli superiori, e centri per la prevenzione e la profilassi a dimen-sioni maggiori.
Il tutto sotto l'egida della Regione, entità nella quale e solo nella quale verrà erogata l'assistenza sanitaria globale.