Che si possa affermare che a Tenda — di Augusto dier le tende il nome — , come dice il secentesco poeta G. B. Cotta, credo sia da dubi-tare, tanto più che già Augusto si accampò nel-l ' o p p i d u m tendarum. È tuttavia certo che già con i romani il luogo acquistò una sua importanza, se giuridicamente esso dipendeva direttamente da Roma, pur facendo parte dell'Albiiipi
Inte-mellium.
Se consideriamo la sua posizione possiamo dar-cene ragione, in quanto la strada che passa per il colle è ubicata in modo da condizionare il pas-saggio verso il mare dalla Padania. Senza dubbio il passaggio del colle era stato utilizzato dai fenici nel loro commercio verso l'interno, partendo da Marsiglia, se essi attribuivano al dio Melkhart l'apertura della diffìcile via, detta poi Erculea, la cui escavazione serviva insieme per la ricerca di metalli di cui i fenici erano ricercatori accaniti. In seguito vi penetrarono i greci, ma i primi abi-tatori di tutta la fascia sud occidentale d'Europa fino alla Catalogna, sappiamo ch'erano i liguri, e precisamente quei liguri che i romani defini-rono montani, ad essi sottomessi nel 153 a. C.
I romani posero il portarium pubblicum a Pederea (Borgo S. Dalmazzo), dove veniva pagata la
qua-drigesima galliarum (il quarto del valore della
merce trasportata), mentre pensavano alla siste-mazione della via delle Alpi Marittime, come è evidente nell'indicazione del Ligure saltus
proxi-mum etruscum mare.
Col procedere della storia, in tale zona vanno sempre più complicandosi e incrociandosi diffe-renti interessi: provenzali, angioini, savoini, fran-cesi, e quel passo oltre che importanza strategica, ne acquistava una commerciale sempre più note-vole per i pedaggi che su di esso venivano esatti dal padrone di turno, specialmente sul sale della Provenza verso il Piemonte.
Grimaldi, Angioini, Lascaris si succedettero nella signoria del luogo, e si può dire che l'im-presa di Carlo d'Angiò nel napoletano contro Manfredi (1265) è legata proprio al passaggio per il colle di Tenda di 40.000 cavalieri. Ma dieci anni dopo, le angherie dei provenzali indurranno i tendaschi, unendosi ai genovesi, a cacciare gli Angioini; per cui sull'antica contea di Ventimi-glia, si formarono alcune piccole contee, tra cui quella di Tenda, del Maro, del Prelà ecc. La contea di Nizza nel 1388, stanca delle continue
lotte, si dà ai Savoia, mentre Anna, l'ultima dei Lascaris, sposerà il Gran Bastardo di Savoia, Renato.
Ora per i Savoia il passaggio diretto dal Pie-monte a Nizza, diventa importante problema di comunicazione e di commercio, non solo perché esosi erano i pedaggi fatti pagare per la traver-sata del colle, ma per il brigantaggio largamente favorito dai Lascaris. Problema già fortemente sentito da Amedeo V i l i , che si serviva dell'imper-via strada di Nizza, Val Vesubia-colle delle Fine-stre-Entraque-Valdieri-Cuneo, la cosiddetta via Marenga, per non pagare quei forti pedaggi.
Ma per quel passo di Tenda si precipitarono anche, come già si erano precipitati i saraceni nel 900, e prima ancora le eresie nestoriane di Clau-dio Ispano, ed eutichiane, le nuove eresie del XIII secolo dei Poveri di Lione, o Sabatati, dei Fraticelli, degli Albigesi, dei Catari, e nel XVI sec. più invadente e più politicamente pericolosa, quella dei calvinisti, che si diffuse nelle valli cu-neesi con la compiacenza dei francesi e il favo-reggiamento di Onorato HI Lascaris-Savoia. Di questo stato di cose si preoccupava Emanuele Fi-liberto prima ancora di rientrare in possesso dei suoi Stati, e guatava la possibilità di divenire pa-drone delle piccole contee di Tenda, del Maro, del Pralé, inserendosi nelle contese familiari tra
I t o r n a n t i della strada del Colle di Tenda.
fratelli Lascaris-Savoia, e tra lo zio Onorato e la mite Renata d'Urfé. Divenuto arbitro della situa-zione, si fece cedere le tre contee parte con denari e parte con la cessione di altri feudi in Piemonte, ed allo stesso modo s'impadroni di Oneglia. Egli divenne cosi padrone della via del mare, incu-rante delle proteste spagnole, genovesi, francesi, i quali ultimi dopo la pace di Cateau Cambrésis si vedevano cosi del tutto estromessi dal Piemonte. Tale via aveva già annoverato molti passaggi importanti: quello di Carlo V i l i di Francia di-retto alla conquista del milanese, chiamato da Ludovico il Moro; quello spettacolare dell'impe-ratore Carlo V nel 1536 diretto al Convegno di Nizza per tentare di derimere la questione Stato Sabaudo-Francia, con l'intervento anche del papa Paolo ili e di Francesco I di Francia. Nel 1713 vedrà passare parte delle milizie di Vittorio Ame-deo II, e nel 1809 i mesti passaggi di Pio VII prigioniero di Napoleone. Ma chi lo attraversò di più fu Carlo Emanuele I, il figlio di Emanuele Filiberto, che dal sentiero fece ricavare, per quan-to possibile, una vera strada, percorrendola su-bito, nel 1591 per tentare l'impresa di Provenza. Strada di difficilissima costruzione sia per
rag-giungere il passo, sia per le gole di Saorgio, sia per l'indole selvaggia degli abitanti, come ci dice il Cibrario nelle Storie del Conte Rosso, —
homi-nes quodammodo sicut apri bestiales feroces •—
(derivando la definizione da un antico manoscrit-to del XIV secolo).
Ma ciò che caratterizza per me il grandioso progetto di Carlo Emanuele I, è lo spirito dichia-rato con cui egli concepì il dispendioso lavoro, e che potrebbe essere di monito per tanti capi di Stato moderni. Una lapide messa presso la salita del Tenda, e stupidamente distrutta, diceva: « Per il bene pubblico del suo Stato di qua dai monti e a vantaggio d'Italia e di tutto il mondo, tagliati col ferro e col fuoco i precipizi imprati-cabili ch'erano dall'una e dall'altra parte delle Alpi Marittime, il Signore Carlo Emanuele I, duca di Savoia, padre della patria, padre dei poveri, in pace e in terra felicissimo, di propria iniziativa e a proprie spese, col suo ingegno, questa opera compi ».
Nel 1614 Carlo Emanuele si è fatto iniziatore di una grande idea: traforare la cima del colle per accorciare la via e renderla più agevole: si iniziò il foro, di cui la montagna porta ancora
la traccia, che poi per l'eccesso di spesa e di dif-ficoltà, fu abbandonato per allora. Ma l'opera ebbe risonanza.
La via del monte Tenda, o Cornio, o Cornius (forse dal vescovo Cornelius che attraverso ad essa trovò scampo dalla persecuzione romana), fu resa in parte carreggiabile da Carlo Emanuele II per ragioni commerciali, mentre Vittorio Ame-deo II se ne servirà per il trasporto di truppe. Relativa a questo periodo abbiamo una gustosa relazione della traversata dal viaggiatore e novel-liere inglese Tobias Smollet, a dorso di mulo; egli a La Cà (convento e stazione di posta co-struita da Carlo Emanuele I), assoldò alcuni uomini per fare nel ghiaccio gradini per i muli; poi dovette scendere dalla cavalcatura, e percor-rere il tratto di monte fino al passo a piedi, sor-retto da una parte e dall'altra da due coulants. La discesa dice di averla compita su veloci leze guidate dai due coulants. Da Limone, stazione di muli, anche di duemila muli, in cinque ore giunse a Cuneo.
Vittorio Amedeo III compie un ulteriore sforzo rendendola tutta carrozzabile, tra il 1779 e il 1782, ed ecco l'inglese Arthur Young lasciarcene gli elogi, definendola impresa utilissima e princi-pesca, capace di descrivere giri prodigiosi per pas-sare sulle montagne più ripide, orride e sublimi (l'aggettivazione è già tipicamente romantica) e testimonia del nuovo tentativo reale di praticare nella montagna un traforo, che anche questa volta purtroppo venne interrotto dopo 80 trabucchi (cir-ca 240 metri), nonostante tutta la buona volontà dell'ingegner Bottino. Tutte le spese di miglioria della strada vennero questa volta ripartite tra le città e i paesi che più ne beneficiavano, e tra Li-mone e Tenda vennero imposte tariffe di transito:
su portantina in estate lire tre, ed in inverno quat-tro; per ogni mulo da sella lire due e dieci, e tre e dieci. Durante l'inverno incaricati ad hoc dove-vano battere la neve con otto coppie di muli che s'incontravano alla sommità del colle. La strada reale da Torino a Ponte Varo misurava 247,57 chilometri.
Questi grandiosi lavori erano stati eseguiti an-che in vista del rapporto di studi geografico-eco-nomici condotti dal Robilant nel 1774, per capta-re il commercio della Lombardia con la Francia meridionale, sottraendolo a Genova, e avrebbe voluto, lo studioso, far affiancare la strada da un canale a conche, da Cuneo a Savigliano a Carma-gnola.
Ma, ahimé, tosto che la strada fu sistemata, le note della Marsigliese si misero a risonare di valle in valle, di monte in monte. La Savoia è invasa dai giacobini, il nizzardo occupato dal ge-nerale Massena; il re rinforza le difese naturali di Saorgio, della Val Roja, del passo del Frosso, di Briga, di Tenda, e si fanno affluire truppe per la più estenuante guerra delle Alpi, per quattro lunghi anni, eroicamente e fedelmente combat-tuta da milizie regolari e montanari, fra i monti Ortighea, Capelet, Raus, Authio, Breglio, e pei bivacchi invernali. Si resiste fino al '96, quando si affaccia travolgente Napoleone precipitandosi dal Col di Cadibona, ad impedire la congiunzione tra piemontesi e austriaci alleati, e vincendoli se-paratamente impone la dolorosissima pace di Cherasco: aprile 1796.
L'antica contea diviene Dipartimento delle Alpi Marittime.
Poi anche l'idolo napoleonico cade e s'infran-ge: il Congresso di Vienna riconsegna ai Savoia le antiche contee, ma sul colle del Cornio era rimasta traccia del nuovo tentativo di escava-zione della galleria ideata da Carlo Emanuele I e proseguita per 160 metri dall'ingegner Ferrua per ordine di Napoleone.
La famosa ormai galleria troverà sostenitori in Carlo Alberto e nell'ingegner Moglino nel 1849, ma non altrettanto potenti finanziatori, nelle strette di quell'anno infausto; però nel Piemonte già si stavano tracciando altre vie di comunica-zione, e altri trafori di ben maggiore portata s'ideavano e i mezzi tecnici e meccanici con cui realizzarli. Intanto dopo l'unione di Genova al Piemonte, la via del mare si era di molto abbre-viata, anche in quella direzione si era dovuto pensare a costruire una strada reale, a cui aveva dato il via Carlo Felice, e in seguito una linea ferrata.Tuttavia non bisognava trascurare l'impor-tanza economico-commerciale che la strada Cu-neo-mare rappresentava per i prodotti della « pro-vincia granda », che trovavano il loro sbocco nel nizzardo ed in Provenza: bisognava pensare ai 350 miriagrammi di formaggi cuneesi, ai lattici-ni delle sue 122.000 pecore, dei suoi 50.160 mon-toni, dei suoi 12.500 bovini; ai suoi 5600 vitelli; ai suoi 8228 maiali; al suo olio di noce, alle sue castagne, ai suoi cereali, alla sua canapa, ai pro-dotti delle sue miniere, delle sue cave.
Perciò gli ingegneri Florio e Delfino di Cuneo ebbero l'incarico di riprendere lo studio del fa-moso traforo, che doveva risultare di metri 3200
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