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Emanuele Battisteììi

Nel documento Cronache Economiche. N.009-010, Anno 1974 (pagine 63-66)

Nessun economista, che non fosse stato schiavo di orientamenti politici faziosi, ammise mai che la trasformazione della mezzadria in proprietà coltivatrice, o in affittanza coltivatrice, dovesse avvenire per rivoluzione anziché per evoluzione.

L'aver tuttavia, in Italia, operato in senso op-posto alla tesi dell'evoluzione — la quale non è di natura soltanto biologica ma anche economico-sociale — ha portato l'agricoltura nazionale a diminuire lo stuolo delle aziende mezzadrili — nelle quali era il luogo economico del bestiame bovino da carne — senza peraltro accrescere nu-mericamente e in ampiezza le aziende familiari sia di proprietà che di locazione. Non è detto che la Cassa per la proprietà coltivatrice non continui a formare aziende familiari autonome. Ma sono per lo più aziende assegnate a elementi che dissi-mulano l'intenzione di farne basi di residenza e di integrazione economica. Diversamente non si spiegherebbe la fioritura progressiva di aziende

a part time (a mezzo tempo); aziende nelle quali

l'impresa economica familiare è fondamental-mente immedesimata nella occupazione industria-le, o nelle attività terziarie (servizi).

Nelle aziende a part time vengono per lo più curate le colture più redditive (ortense, viticole, frutticole), negligendo gli allevamenti che sono — in fatto di assistenza e di lavoro — impegna-tivi, a meno che non siano allevamenti avicoli o cunicoli, ai quali è normalmente dedicata l'atti-vità degli elementi liberi e minorili della famiglia.

Ma non sono soltanto le aziende di tal genere le protagoniste della smobilitazione zootecnica na-zionale. Anche molte aziende monocolturali ne sono contaminate alla maniera delle aziende pret-tamente risicole, o di quelle floreali della cimo-sa ligure che non ebbero mai ad allevare bestia-me. E lo sono per il subentrato rinvilìo mercan-tile della carne e dei prodotti latteo-caseari, non-ché per la riluttanza del personale estraneo o no alla famiglia coltivatrice ad operare sull'asse zootecnico.

Se il patrimonio bovino s'è ridotto, e a ricosti-tuirlo e a incrementarlo non è un'impresa da improvvisazione, altrettanto s'è ridotto il

perso-nale qualificato di stalla. Qualificare il persoperso-nale generico superstite non è un'operazione di adde-stramento facile e sollecita. Si prenda a conferma la mungitura. È pur vero — osserva un grande allevatore, A. Castoldi — che ora è affidata a mungitrici meccaniche od elettroniche, ma la mungitura non è mai completa. Prima di appli-care i poppatoi meccanici è necessario massag-giare le mammelle e i quarti lattiferi. Poi, quan-do il compito dei poppatoi è ultimato, è tassati-vamente necessario completare la munzione dei capezzoli, facendola a mano, giacché il latte resi-duato nei quarti lattiferi sovente si coagula, e coagulandosi provoca l'insorgere della mastite: deleterio processo infiammatorio della mammella frequentemente incurabile e che pertanto abbre-via la carriera economica dell'animale.

Data questa scorbutica situazione — aggra-vata dalla latitante manodopera — difficilmente il problema dell'approvvigionamento protidico della nazione (carne, latte e conseguente formag-gio, uova) potrà essere agrariamente e sollecita-mente risolto all'insegna dell'indipendenza dal-l'estero, o, quanto meno, all'insegna del drastico decremento della importazione. La quale dissan-gua — come è noto — la bilancia valutaria per un importo annuo medio di circa 3 mila miliardi, e, di questo passo, se non di più, cui se ne aggiun-gono altrettanti per l'importazione di legnarne, e altrettanti ancora per l'importazione di prodotti energetici (petrolio greggio).

Sebbene sia possibile automizzare i servizi di stalla (gli impianti Harveslore ne sono una con-ferma, ma purtroppo sono mollo costosi come spesa d'impianto), tuttavia oggi la manodopera preferisce l'officina alla stalla; l'occupazione in-dustriale o terziaria, che tollera l'assenteismo, a quella quotidiana e tassativa della zootecnia; il controllo delle catene di montaggio al controllo delle vitali esigenze animali (foraggiamenti, me-dicazioni, parti, ecc.). A meno di una resipiscenza della mentalità dei lavoratori, di una lunga reces-sione industriale e di terzi servizi, l'agricoltura si dibatterà nella penuria di manodopera, nonostan-te l'ausilio della meccanizzazione, e la

manodo-pera stessa sarà sempre riluttante a dedicarsi a un settore che l'impegna da mattina a sera, sia nei giorni feriali che in quelli festivi, sia nelle gior-nate inclementi che in quelle solatie. Non c'è maggiorazione di salario che la possa sedurre; non c'è prospettiva economica che possa indurre il nucleo familiare a potenziare i grandi alleva-menti.

Quest'ultimo è mentalmente lontano dall'opi-nione del barone austriaco Wolf Helmhard von Hohberg, vissuto nel XVII secolo, secondo il quale solo la zootecnia è una sicura fonte di ric-chezza agricola. « Per unanime riconoscimento di tutti coloro che si occupano di economia — egli scriveva — la via migliore per arricchire rapida-mente è individuabile in un allevamento di bovini ben condotto ». L'affermarlo oggi — ammesso che la situazione mercantile del bestiame inviti ad allevarlo — è come fare una serenata inutile alla ruralità. Serenate del genere non suscitano più echi e consensi.

Il declino zootecnico nazionale va soppesato, oltre che nelle ripercussioni valutarie, anche nelle ripercussioni agronomiche, per carenza di stal-latico o letame.

Ovunque si indicano i mezzi con i quali rein-tegrare le scorte uniche dei terreni sottratti al beneficio delle periodiche letamazioni. L'accenno è ai sovesci.

Ma oltre ai sovesci ci sarebbero altri mezzi di reintegrazione umica dei terreni. L'argomento ap-partiene all'industria di utilizzazione dei sotto-prodotti agricoli, alle imprese di raccolta e sele-zione dei rifiuti urbani: l'una e le altre potrebbero fabbricare fertilizzanti organici, come possono esserlo gli umofosfati, le melme di fogna, dalle quali, ad esempio, gli USA traggono la milor-ganite.

A questo punto taluni potrebbero domandare: Ma è proprio necessario mantenere integra, o quasi, la dotazione umica del terreno? O è suffi-ciente — all'opposto e al limite — reintegrarne la fertilità con i concimi minerali di nuova edi-zione, alcuni dei quali pur essendo solubili non sono dilavabili; altri sono ipersolubili al punto di poter surrogare gli escrementi liquidi di cui si sostanzia la pratica della fertirrigazione, e per-tanto idonei soprattutto alle concimazioni delle piante arboree da frutto, da legno, irrigabili alla maniera degli agrumi, cioè ad immersione o a conca?

Alle due pertinenti domande gioverà

rispon-dere, prima di accennare alle varie soluzioni che l'industria chimica di valorizzazione dei ricuperi organici potrebbe avocare a sé, nell'interesse suo e dell'agricoltura affamata come è ora questa di materiali umici, la produzione gratuita dei quali essendosi ridotta e minacciando di ridursi ulte-riormente per colpa della defezione zootecnica, cioè bovina, suina, ovina ed equina. Gli equini sono ormai da un ventennio praticamente usciti dalla scena agricola, sostituiti dai trattori e dai motocoltori. Il settore equino a indirizzo econo-mico (produzione di carne) è troppo sparuto per-ché possa essere preso in considerazione.

1) Aprite un trattato qualunque di chimica agraria o di agronomia e troverete nella voce de-dicata all'humus i motivi validi e vari che ne inquadrano l'importanza e gli conferiscono un potere di eccitazione della vitalità dei terreni che lo rinserrano nelle pieghe.

Si afferma che la quarta millesima parte del-l'energia solare che arriva sulla Terra viene utiliz-zata dai vegetali ed elaborata in produzioni utili, e, in parte, restituita al terreno, che li ospita, in humus, torba, carboni (GOLA). Soprattutto resti-tuita in ricchissimo humus, « che i giardinieri, ad esempio, ben conoscono e apprezzano con il nome di terra di bosco, o di terra eccellente », di terra nera, di lievito terroso.

La sua composizione chimica è indefinita e imprecisa, ma la sua derivazione è nota. Sue pro-genitrici sono le sostanze organiche degli esseri viventi (vegetali e animali) che giungono al ter-reno e che, per l'azione concorde di bacteri, ifo-miceti, funghi superiori, si trasformano in umina e in acido umico, dal quale, per salificazione, derivano gli umofosfati. I quali favoriscono la liberazione del fosforo dai pericoli dell'insolubi-lizzazione; costituiscono una fonte di azoto, di potassio, di calcio e di zolfo e, contenendo il 54-64% di carbonio, anche una fonte di energia alimentare per i bacteri fissatori di azoto (siano essi liberi che uniti in matrimonio con le radici delle specie leguminose), nonché per quelli depu-tati all'infradiciamento e alla putrefazione dei re-sidui fogliari e radicali che le colture lasciano a ricordo di sé.

A parte le sue importanti funzioni nutritive — scriveva Ugo Pratolongo in « Chimica vege-tale e agraria », Hoepli, Milano — l'humus è un prezioso regolatore del chimismo colloidale e del-l'economia idrica del terreno, atto a conferirgli

e a conservargli il quadro di flocculazione che è essenziale per la sua lavorabilità, nonché per la sua permeabilità all'aria e all'acqua. Si deve a tali sue importanti funzioni la sua virtù di cementare le particelle dei terreni eccessivamente sciolti, e di temperare la tenacità di quelli troppo compatti, ostili e sottili, e talmente ermetici che fanno nor-malmente scodella all'acqua e vi si spappolano, perdendo cosi la struttura soffice, glomerulare, cui è legata la loro attitudine a produrre.

Soltanto nei terreni lungamente associati a foreste, nei prati sortumosi, l'accumulo di humus è controproducente, cioè si ritorce in povertà. Ma è sufficiente neutralizzarne l'acidità con massicce calcitazioni per mineralizzarlo, ricondurlo cioè in parte ad elementi salini solubili.

Gli sforzi secolari, anzi millenari, che gli agri-coltori in ogni tempo hanno compiuto per arric-chire di sostanza organica i terreni hanno una spiegazione e una giustificazione nel fatto che quelli umicamente ricchi, e quindi microrganica-mente vivi, sono giudicati eccellenti, sensibili alle concimazioni minerali quali che siano.

% 2) Gli elementi minerali delle concimazioni chimiche, per solubili che siano, corrono il rischio di insolubilizzarsi quante volte non si frapponga un diaframma umico f r a il fosforo da un lato, il ferro e l'alluminio dall'altro; quante volte l'asfis-sia — per insufficiente porosità — dello strato attivo favorisca la denitrificazione dei concimi azotati.

Quindi, le concimazioni chimiche (Azorit, Fertidro, ecc.), pur tanto necessarie, da sole non bastano.

Questo lungo discorso di esaltazione doverosa dell'humus è di attualità soltanto perché la lati-tanza del bestiame nella pluralità ormai delle aziende ne diminuisce o impedisce la fonte nor-male di reintegrazione, individuabile nei rifiuti organici solidi e liquidi del bestiame stesso.

Una surrogazione letamica è peraltro identifi-cabile nel sovescio, ma è una surrogazione incom-pleta, perché la massa verde degli erbai non è un veicolo di sostanze ormonali, bacteriche, enzima-tiche, alla stregua del letame.

Un'altra surrogazione, la quale, più che leta-mica è organica, è individuabile nei concimi com-posti derivati dalla scarnificazione solforica o fo-sforica dei residui dei macelli e delle industrie conserviere.

Negli USA la gamma di concimi del genere è

foltissima e la loro produzione ha carattere in-dustriale. In Italia il numero dei tipi in commer-cio è limitato, cosi come lo è il loro credito com-merciale, imputabile più che altro al metodo arti-gianale di produzione.

Preferibile è il trattamento dei materiali orga-nici di ricupero con l'acido fosforico, anziché solforico, ottenendosene fosfati organici, i quali hanno una diffusibilità verticale nel terreno senza analogia possibile nei fosfati inorganici (fosforiti, perfosfati, scorie Thomas, ecc.). Questi ultimi, come è noto, non penetrano oltre il solco dell'ara-tro e condannano pertanto alla fame fosfatica le piante a radici prevalentemente profonde.

Materiali organici di ricupero usabili allo sco-po sono il sangue essiccato, gli scarti di carne, gli intestini, le carcasse di animali morti, gli scarti essiccati di pesce, i panelli di semi oleosi negati alla utilizzazione mangimistica.

Però è molto ridotta la disponibilità dei mate-riali di rifiuto dei macelli, giacché maggiore è la quantità di carne macellata che l'importazione riversa sui mercati rispetto a quella ricavabile da-gli allevamenti nazionali, i quali nel 1973 sono diminuiti considerevolmente. Si dice che siano stati smantellati, solamente l'anno scorso, più di

100.000 allevamenti per un totale di 1 milione di bovini. Sono venuti conseguentemente a mancare circa 10 milioni di quintali di latte e non meno di 300.000 vitelli.

Lo smantellamento purtroppo continua. Lo ar-resterebbero soltanto una ripresa mercantile dav-vero euforica del bestiame e dei prodotti latteo-caseari, e una disponibilità di manodopera tale da poter riabilitare alla produzione ordinaria tanto le aziende ora costrette alla oligocoltura cereali-cola che le stalle ora deserte.

Ma fino a quando la manodopera rurale si farà montare la testa dalle seduzioni illusorie della città sarà vano sperare di poterla legare alla sacra maternità della terra.

La fame nel mondo è una fame protidica. Po-trebbero rimuoverla i buoni legumi (semi opu-lenti di leguminose) — come fave, fagioli, piselli, ceci, ecc. — se non fossero scrigni di proteine grezze, cioè di inagevole digeribilità, e se la pro-duzione nazionale non fosse tanto modesta. Quin-di, tutto considerato, le proteine preferibili sono quelle immedesimate nelle carni e quelle che co-stituiscono l'architettura chimica del latte, delle uova, per non accennare alla selvaggina e al pesce.

Condizioni per un ritorno

Nel documento Cronache Economiche. N.009-010, Anno 1974 (pagine 63-66)