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L’accertamento della situazione di carenza sistemica nello Stato di destinazione e il rapporto tra le due Cort

Nel documento Non-refoulement e "Sistema Dublino" (pagine 183-188)

L’affermazione da parte delle Corte di Giustizia della superabilità della presunzione alla base del funzionamento del regolamento “Dublino II” è condizionata quindi all’esistenza di situazioni di particolare gravità: si premura infatti di affermare che non ogni violazione può condurre ad un tale risultato, ma che gli Stati membri “non possono ignorare che le

carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo costituiscono motivi seri e comprovati di

credere che il richiedente asilo corra un rischio di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta.”

Rispetto all’accertamento di una tale carenza sistemica190, cui anche i

giudici di Strasburgo fanno riferimento, si può individuare un ulteriore elemento di differenziazione nell’impostazione seguita dalle due Corti; mentre infatti nella sentenza relativa al caso M.S.S. la Corte europea ha imposto agli Stati di procedere ad una verifica concreta della condizione esistente nello Stato di destinazione in presenza di una tale situazione critica, la Corte di Giustizia, con una formulazione molto meno incisiva, ha affermato l’operatività del divieto di trasferimento solo quando lo Stato interessato non possa ignorare l’esistenza di una tale situazione, escludendo quindi in principio l’obbligo di indagare concretamente sui sistemi di asilo degli altri Stati membri.

Al di là di tale differenza nell’impostazione adottata dai due organi giurisdizionali, i risultati pratici cui essi sono pervenuti non presentano grandi divergenze ed essenzialmente nella giurisprudenza di entrambe risulta piuttosto problematica la determinazione dei confini di tale nozione dalla quale dipende la possibilità di ritenere lesivi del principio di non-

refoulement i trasferimenti dei richiedenti asilo da uno Stato membro

dell’Unione ad un altro.

In relazione alla sentenza della Corte di Giustizia si può notare come in essa non sia individuabile alcun criterio cui affidarsi per la determinazione di quando una data situazione si possa configurare come “carenza

sistemica”, essendosi essenzialmente affidata a quanto era stato affermato

190 Sulle difficoltà dell’accertamento della presenza di una situazione di carenza

sistemica si veda Marchegiani M. “Sistema di Dublino e tutela dei diritti fondamentali: il

dalla Corte europea nella precedente sentenza che a sua volta aveva dato rilevanza assoluta, nel prendere la propria decisione, alla valutazioni elaborate dall’UNHCR.

La Corte di Strasburgo infatti, pur avendo superato la presunzione di sicurezza, al fine di impedire il funzionamento del “Sistema Dublino” richiede l’esistenza di prove significative delle lacune in merito alla tutela dei diritti fondamentali presenti in uno Stato membro, che essenzialmente sono fatte corrispondere alle informazioni delle organizzazioni non governative e soprattutto proprio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

A testimoniare tale tendenza vi sono alcune pronunce successive di tale Corte nelle quali, in assenza di dati univoci in relazione alle condizioni esistenti in Stati membri differenti dalla Grecia, questa, ha rifiutato di riconoscere la violazione dell’articolo 3 mediante il rinvio verso gli stessi.191

Da quanto evidenziato è possibile considerare allora in parte depotenziata la tutela offerta dalla Corte europea nei casi che non riguardino la ormai ben nota situazione greca; si può dire infatti che la Corte si sia servita delle circostanze eclatanti dello Stato ellenico per affermare i limiti del sistema europeo di asilo e in particolare di determinazione della

191 Il riferimento è ad alcune sentenze relative proprio all’Italia nelle quali la Corte pur

avendo riconosciuto le difficoltà del nostro sistema di asilo non ha ritenuto di poterle qualificare come carenze sistemiche, ad es. Mohammed Hussein contro Paesi Bassi e Italia.

Significativa è inoltre la sentenza Mohammed contro Austria, relativa ad un rinvio verso l’Ungheria, nella quale anche in tal caso la Corte ha rifiutato di ritenere integrata la violazione in ragione del fatto che l’UNHCR, a differenza di quanto era avvenuto con riguardo alla Grecia, non aveva adottato alcuna raccomandazione per gli Stati membri di non procedere al trasferimento dei richiedenti asilo verso il territorio ungherese.

competenza per l’esame delle domande, garantendo un potenziale strumento di accesso alla tutela dal refoulement, ma che le condizioni in concreto richieste non consentano di fornire protezione a tutti coloro che ne avrebbero i presupposti sulla base dell’articolo 3.

Per quanto concerne la prova dell’esistenza di una situazione di carenza sistemica, da entrambe le pronunce si può dedurre come, anche qualora il richiedente asilo non faccia valere il rischio di violazione dei propri diritti, lo Stato che emette la misura di trasferimento sarà comunque responsabile quando sapeva o avrebbe dovuto sapere l’esistenza del rischio di

refoulement; ciò appare ragionevole nel contesto di un sistema di

determinazione della competenza per l’esame delle domande di asilo nel quale il richiedente asilo svolge un ruolo del tutto marginale.192

Il fatto che non siano stati specificati i criteri sulla base dei quali ritenere esistenti i presupposti che consentono il superamento della presunzione pone poi dei problemi dovuti al fatto di assistere ad una prassi molto differenziata nel merito in ciascuno Stato membro.

Infine, mentre la Corte europea considera sufficiente per vietare il trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato formalmente competente l’accertamento della condizione di incompatibilità oggettiva di questo rispetto alle esigenze di tutela dei diritti umani, si può rilevare come la Corte di Giustizia, facendo riferimento a “motivi seri e comprovati di

credere che il richiedente asilo corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti”, sembri richiedere un’individualizzazione del

rischio tale per cui anche una situazione di carenza consistente se non

accompagnata da un’effettiva lesione dei diritti non consente di impedire il regolare funzionamento del regolamento.

Alla luce di quanto osservato appare evidente la definitiva messa in discussione della conformità del “Sistema Dublino” ai diritti fondamentali riconosciuti ai richiedenti asilo da parte di entrambe gli organi giurisdizionali che hanno assunto posizioni sostanzialmente coincidenti, nonostante per i commentatori sia stato comunque possibile individuarne le differenze.

La Corte di Giustizia in particolare, pur mostrando deferenza rispetto a quanto i giudici di Strasburgo avevano affermato precedentemente, ha adottato una posizione che si addice al ruolo da essa svolto nel contesto dell’Unione Europea.

Pur riconoscendo infatti le carenze strutturali della normativa vigente in materia di attribuzione della competenza per l’esame delle domande di asilo ha cercato si salvare la coerenza del sistema con l’indicazione di correttivi che hanno svolto un ruolo centrale nell’indurre alla riforma del regolamento “Dublino II”.

A differenza della Corte di Strasburgo, che ha sancito il totale superamento della presunzione di sicurezza tra gli Stati membri, la Corte di Giustizia, dovendo preservare il principio di mutua fiducia che costituisce la ragion d’essere dell’intero sistema, nonchè della stessa Unione, si è limitata a stabilirne il carattere relativo.

Inoltre, pur avendo riconosciuto la possibilità che il ricorso alla clausola di sovranità possa divenire un obbligo per gli Stati membri, ha subordinato tale circostanza al preventivo ricorso agli altri criteri di attribuzione della competenza quasi a volerne legittimare la funzione e il contenuto nonchè a configurare come extrema ratio l’utilizzo di tale previsione, che com’è già

stato notato, rappresenta un’eccezione al meccanismo alla base del “Sistema Dublino”, ponendosi essenzialmente in contrasto con la reciproca fiducia tra gli Stati su cui questo si fonda.

Il dialogo tra le due Corti in tale ambito è rappresentativo comunque dell’interazione generale tra i due organi, il cui coordinamento è essenziale in materia di tutela dei diritti fondamentali nel diritto dell’Unione Europea, della quale formalmente infatti rimane garante la Corte di Giustizia, avendo la Corte europea un’incidenza solo indiretta e che passa per la valutazione degli ordinamenti e delle condotte degli Stati membri, almeno fino a quando non sarà completato il processo di adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

3.7 La compatibilità del nuovo regolamento “Dublino III”

Nel documento Non-refoulement e "Sistema Dublino" (pagine 183-188)

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