Uno degli aspetti rispetto ai quali si è verificata un’importante evoluzione della giurisprudenza di Starsburgo, in relazione alla tutela dell’articolo 3
dal refoulement, è sicuramente quello relativo all’estensione dell’applicazione di tale principio alle ipotesi in cui il potenziale trattamento inumano o degradante venga commesso, nello Stato di rinvio, non dalle autorità statali ma da privati.94
Lo Stato verso il quale l’individuo viene allontanato non si configura in tal caso come autore diretto del trattamento contrario all’articolo 3 ma sarà necessario verificare la sua incapacità a garantire la protezione contro le possibili future violazioni.
Tale evoluzione si inserisce nel contesto più ampio dell’affermazione di una dottrina d’origine tedesca, la “Drittwirkung”, secondo la quale la tutela dei diritti umani deve essere garantita non solo nei confronti delle attività imputabili allo Stato ma anche a quelle riconducibili ai privati. Questa impostazione coinvolge ovviamente anche i diritti sanciti all’interno della Convenzione e per riferirvisi si utilizza anche l’espressione della “efficacia orizzontale” degli stessi.
Per arrivare ad accogliere tale interpretazione estensiva della tutela dei diritti umani nel contesto della Convenzione e, in particolare in relazione all’articolo 3 della stessa, è stato necessario un lungo cammino giurisprudenziale che ha visto la sua conclusione con la sentenza H.L.R. contro Francia del 1997.
Una serie di ostacoli sono emersi nel corso di tale evoluzione, primo fra tutti la difficoltà di ammettere che la responsabilità dello Stato che emette
94 Sul punto Karagiannis S. “Expulsion des étrangers et mauvais traitements imputables à l’état de destination ou à des particuliers“, cit., p. 66 e ss., Fornerod A. “L’article 3 de la Convention européenne des droits de l’homme et l’éloignement forcé des étrangers: illustrations récentes”, cit., p. 320 e ss. e Borelli. S. “Allontanamento degli stranieri dal
la misura di allontanamento possa essere innescata da comportamenti imputabili a privati.
L’operatività infatti del principio di non-refoulement in seno all’articolo 3 si fonda già su una costruzione complessa, quella della protezione “par
ricochet”, in forza della quale si imputa allo Stato membro la violazione
della norma della Convenzione, non perchè questa sia direttamente a lui riconducibile, ma per il fatto di averla resa possibile mediante la misura di allontanamento.
La responsabilità dello Stato è già quindi indiretta e lo sarebbe doppiamente laddove si ritenesse di potergli imputare anche violazioni commesse da parte di soggetti sui quali non ha alcun controllo.
Nonostante tali difficoltà, la Corte e la Commissione, passando per varie tappe, sono riuscite ad affermare tale principio ponendo tuttavia dei limiti all’operatività dello stesso.
Uno dei primi casi nei quali è emerso l’aspetto qui considerato è quello relativo alla sentanza Chalal contro Regno Unito del 1996 a cui si è già fatto riferimento in altra sede.
Nonostante la Corte non abbia fatto la differenza tra comportamenti imputabili allo Stato e quelli riconducibili a privati, ha riconosciuto, nel caso di specie, che il Governo non avesse avuto un controllo totale degli atti commessi da “alcuni membri delle forza di sicurezza”, ammettendo quindi che la responsabilità si possa configurare anche quando il comportamento lesivo sia riferibile a soggetti non totalmente sotto il controllo dello Stato di appartenenza.
Per quanto riguarda la Commissione assumono una certa rilevanza le considerazioni fatte in occasione di due decisioni: la X. contro Regno
Unito del 198095 e la Kemal Altun contro Repubblica Federale Tedesca del
1983.96
Nel primo caso la Commissione nel dichiarare la richiesta irricevibile per l’insufficienza delle prove apportate, ha osservato come non fosse necessario valutare la questione se si potesse o meno tenere in considerazione il pericolo di violazione dell’articolo 3 proveniente da
“gruppi autonomi” e non dalle autorità pubbliche.
Benchè quindi l’organo di Starsburgo non abbia affrontato nel merito la questione, in considerazione del fatto che comunque le prove non sarebbero state sufficienti, ha posto le basi affinchè questa potesse essere risolta in futuro.
Nel secondo caso le affermazioni della Commissione sono state più esplicite ma senza alcun effetto diretto sulla decisione, che riguardava una misura di estradizione.
Si è affermato infatti che l’estradizione di un individuo verso uno Stato in cui possa essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti è contraria all’articolo 3 anche quando il danno non emani dalle autorità dello Stato verso il quale l’individuo viene estradato. Senonchè, proprio l’estradizione comporta la consegna diretta dell’individuo alle autorità statali per cui non è configurabile in casi come questo una violazione proveniente da privati. La sentenza decisiva della Corte, come già anticipato, è la H.L.R. contro Francia.97
Il caso riguardava un cittadino colombiano, destinatario di un provvedimento di espulsione verso il suo paese d’origine, che affermava
95 Ricorso n°8581/79. 96 Ricorso n°10308/83.
di correre il rischio di subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 ad opera di narcotrafficanti, a causa della rivelazione alle autorità francesi di alcuni nomi di soggetti coinvolti nel traffico di droga.
La Corte ha ammesso esplicitamente in tale sentenza la possibilità di applicare l’articolo 3 anche “qualora il pericolo provenga da persone o
gruppi di persone che non svolgono una pubblica funzione” e ha posto a
fondamento di tale considerazione il carattere assoluto dell’articolo in esame.
Nonostante tale affermazione, che estende in principio significativamente la portata della tutela dell’articolo 3, la Corte ha introdotto due condizioni tali da portare ad una limitazione della responsabilità dello Stato.
La prima condizione a cui si fa riferimento consiste nella previsibilità che l’espulsione esponga l’individuo a trattamenti contrari all’articolo 3.
Si può notare come tale condizione non sia specifica della fattispecie in esame, in generale infatti, per poter ritenere lo Stato responsabile a causa della misura di allontanamento, è necessario verificare che fosse in grado di ritenere probabile l’integrazione della violazione sulla base delle informazioni possedute o che avrebbe dovuto possedere.
Tuttavia, la particolarità del caso in esame, consiste sicuramente nella maggiore difficoltà a prevedere l’integrazione di trattamenti inumani o degradanti da parte di privati con la conseguenza che sarà più difficile ritenere esistente tale requisito della previsibilità.
La seconda condizione richiesta dalla Corte riguarda il rapporto intercorrente tra i privati responsabili dei comportamenti illegittimi e lo Stato di destinazione: sembra infatti non indifferente, ai fini della valutazione della responsabilità, l’esistenza di un tale collegamento.
In particolare risulterà tanto più difficile ritenere responsabile lo Stato che ha proceduto all’allontanamento, quanto minore sia il legame tra lo Stato di rinvio e i privati autori delle condotte lesive.
Al di là di tali limitazioni poste all’operatività di tale innovazione, si è fatto notare come la Corte abbia volontariamente scelto di affermare tale principio essendo configurabili delle soluzioni differenti che le avrebbero consentito di aggirare il problema, come fatto precedentemente.
In primis, il frequente richiamo da parte del ricorrente al grado di corruzione presente presso le autorità colombiane avrebbe potuto costituire un valido motivo per limitarsi a valutare la responsabilità rispetto a comportamenti di organi statali.
Secondariamente la Corte in tal caso, a differenza di come avvenuto altre volte, solo dopo aver affermato il principio per cui anche la condotta di un privato può portare all’integrazione della responsabilità ex articolo 3 si è preoccupata di verificare l’applicabilità di tale principio al caso di specie. Proprio al livello di tale seconda verifica, però, è pervenuta a ritenere non integrata la violazione dell’articolo 3 in forza del fatto che non era stata raggiunta la duplice prova relativa all’esistenza del rischio e all’incapacità dello Stato di rinvio di garantire la protezione dell’individuo.
Si pongono quindi degli ulteriori ostacoli all’effettiva operatività di tale regola consistenti nel pretendere il rispetto di un onere della prova particolarmente stringente.
Sotto il primo aspetto, la Corte richiede che in tali casi il rischio debba essere necessariamente personale, circostanza la cui prova risulta ovviamente di particolare difficoltà.
Per quanto concerne il secondo profilo, si è notato come in tal modo si ponga sullo Stato terzo un obbligo di protezione che sembra non potersi configurare nemmeno per gli Stati parte della Convenzione.
In definitiva si può concludere osservando come la Corte, con la prudenza che spesso l’ha contraddistinta, abbia cercato di ridurre l’impatto dell’innovazione di principio, inserendo una serie di elementi che ne rendono difficile l’operatività ma che sono suscettibili di essere superati nella pratica.