Nell’ambito della giurisprudenza di Strasburgo relativa al contenzioso sull’allontanamento degli stranieri, si è posto il problema di capire quale sia l’approccio che la Corte o la Commissione devono avere nel caso in cui lo Stato di rinvio sia membro del Consiglio d’Europa.88
Su questo punto la Commissione, l’organo che almeno inizialmente si è trovato a dover affrontare tale questione, ha ritenuto di non poter dare rilevanza alla mera circostanza che lo Stato di rinvio facesse parte del Consiglio d’Europa, quando questa non fosse accompagnata dalla ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia è opportuno evidenziare come attualmente il problema di trovarsi di fronte ad uno Stato che sia membro del Consiglio d’Europa ma non della Convenzione sia più teorico che reale dal momento che vi è essenzialmente coincidenza tra gli Stati parte dell’uno e dell’altra e che in concreto l’aver aderito alla Convenzione sia considerato ormai un requisito per poter entrare a far parte del Consiglio d’Europa.
La questione successiva riguardava se attribuire rilevanza al sol fatto che fosse stata ratificata la Convenzione o piuttosto anche alla scelta dello Stato di riferimento di sottoscrivere l’articolo 25 della stessa, relativo alla possibilità per l’individuo di adire personalmente la Commissione o la Corte.
88 Sul punto si vedano Karagiannis S. “Expulsion des étrangers et mauvais traitements imputables à l’état de destination ou à des particuliers”, cit., p. 58 e ss. e Fornerod A.
“L’article 3 de la Convention européenne des droits de l’homme et l’éloignement forcé
Si deve notare che attualmente, dopo l’entrata in vigore del protocollo numero 11 che ha modificato tra l’altro l’articolo 25 a cui oggi corrisponde l’articolo 34, non vi è più la facoltatività per gli Stati di sottoscrivere tale norma, per cui il problema a cui si fa qui riferimento non ha in concreto più rilevanza.
Il ragionamento delle Commissione presenta tuttavia un certo interesse e per tale ragione merita di essere qui esposto.
Prima della riforma, in mancanza di tale sottoscrizione, benchè lo Stato fosse vincolato alla Convenzione non si consentiva all’individuo di poterne invocare la violazione.
Su questo punto la Commissione si era pronunciata in una decisione del 1983, Kemal Altun contro Repubblica federale tedesca89, affermando di “dare una certa importanza al fatto che il ricorrente non avrebbe disposto nei confronti della Turchia del ricorso individuale enunciato come clausola facoltativa dall’articolo 25 della Convenzione.”90
La Commissione nel fare questa affermazione aveva dimostrato di dare una significativa importanza al fatto che lo Stato avesse accettato o meno l’operatività del ricorso individuale in quanto quest’ultimo, benchè sia uno strumento cui l’individuo può ricorrere solo dopo aver subito la presunta violazione, costituisce una garanzia contro la commissione di atti contrari all’articolo 3.
Secondo la Commissione quindi la possibilità per lo Stato di essere condannato per la violazione della Convenzione rappresenta un forte
89 Ricorso n°10308/83.
90 Ovviamente la Commissione giungeva a ritenere integrata la violazione dell’articolo 3,
oltre che sulla base di tale considerazione, in ragione della credibilità del ricorrente e della constatazione di un rischio reale di essere sottoposto a trattamenti inumani o
deterrente a commettere atti che potrebbero essere considerati illegittimi alla luce della stessa.
Si tratta di capire a questo punto in cosa consista effettivamente il vantaggio che lo Stato di rinvio sia parte della Convenzione e in quanto tale sia sottoposto al controllo della Commissione e della Corte in conseguenza del ricorso individuale esperibile davanti a tali organi.
Sul punto vi è stata una significativa evoluzione segnata in particolare dal distacco della Corte dall’impostazione che la Commissione aveva assunto in diversi casi risalenti.
Secondo la Commissione infatti, nei casi in cui lo Stato contro cui il ricorso era stato presentato fosse membro del Consiglio d’Europa, avrebbe operato una presunzione per cui l’individuo non sarebbe stato sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti una volta espulso.
Tuttavia, affinchè una tale presunzione potesse operare, si riteneva fosse necessario aver verificato, da parte dello Stato che realizzava l’espulsione, che lo Stato di rinvio non avesse limitato la portata dell’articolo 3 nei suoi riguardi o non ne avesse fatto oggetto di riserva.
Lo Stato di rinvio inoltre, non doveva trovarsi in una delle situazioni a cui fa riferimento l’articolo 15 (stato di guerra o altro pericolo pubblico che minacci la nazione) in quanto, nonostante l’articolo 3 in principio non sia suscettibile di deroghe nemmeno in tali circostanze, in concreto non si può dire sia sempre così, per cui, affinchè l’espulsione potesse avvenire senza che lo Stato fosse considerato responsabile della violazione del principio di non-refoulement, si richiedeva il rispetto di questa ulteriore condizione.
Per quanto riguarda l’interpretazione di tale presunzione, di cui tra l’altro si trova un esplicito riferimento nel caso Irerutagoyena contro Francia91, si
deve ritenere che si traducesse nel fatto che sullo Stato che intendeva emettere la misura di espulsione gravassero minori obblighi nell’effettuare l’indagine relativa alla verifica del rischio per l’individuo di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 in seguito all’allontanamento.
Si trattava comunque di una presunzione relativa, suscettibile quindi di essere di volta in volta superata, nonostante si rilevasse come in concreto dipendesse dalla Commissione o dalla Corte determinare la portata dell’onere della prova gravante su chi intendesse ridurre la portata della stessa.
La Corte nelle sue sentenze, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione nelle vecchie decisioni, ha affermato invece che lo Stato che emette la misura di allontanamento non è esonerato dall’obbligo di verificare che nello Stato di rinvio l’individuo non correrà il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nemmeno quando il paese di destinazione sia parte della Convenzione.
In sostanza la Corte ha operato un ridimensionamento che ha portato a riallineare gli obblighi che incombono sugli Stati quando il paese di rinvio sia membro della Convenzione europea dei diritti dell’uomo rispetto a quando non lo sia.
91 Ricorso n°32829/96. Nella decisione di tale caso del 1998, la Commissione infatti
ritenne di poter affermare, in ragione del fatto che la Spagna fosse membro della Convenzione e che avesse riconosciuto il diritto al ricorso individuale che “il existe une
Il discorso fin qui svolto presenta degli elementi di interesse anche in rapporto al sistema creato nell’ambito dell’Unione Europea relativo alla determinazione dello Stato competente ad esaminare le domande d’asilo ,c.d “Sistema Dublino”, tuttavia essendo questa tematica oggetto specifico dei capitoli successivi del presente elaborato rinvio a quelle sedi la sua trattazione.