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La “clausola di sovranità” secondo la Corte europea e nella prassi degli Stati membr

Nel documento Non-refoulement e "Sistema Dublino" (pagine 172-177)

Un aspetto centrale della decisione del caso M.S.S. contro Belgio e Grecia riguarda l’interpretazione della Corte in merito alla funzione che nell’ambito del “Sistema Dublino” svolge la “clausola di sovranità”.182

La questione è emersa nell’ambito della risposta all’argomento sollevato da alcuni Stati intervenienti (in particolare l’Olanda) sulla possibile applicazione al caso di specie del principio di tutela equivalente tra il sistema della Convenzione europea e quello dell’Unione, affermato per la prima volta nel noto caso Bosphorus.

Per giustificare la non applicabilità di tale principio, i giudici di Strasburgo si sono basati infatti sull’esistenza di tale clausola all’interno del regolamento “Dublino II”.

La “clausola di sovranità”, come noto, inserita nel complesso dei rigidi criteri di determinazione della competenza per l’esame di una domanda di asilo, rappresenta uno dei pochi elementi di discrezionalità presenti nel regolamento “Dublino” e, nel concedere agli Stati la possibilità di procedere all’esame di una domanda di asilo anche quando non risultino formalmente competenti, non pone alcun tipo di condizione, attribuendo quindi una libertà assoluta di ricorrere alla sua applicazione.

La presente clausola, che con la riforma del 2013 ha subito solo un cambiamento di collocazione, era contenuta nell’articolo 3 par. 2 del regolamento “Dublino II”, corrispondente all’attuale articolo 17 par. 1, e prevede che “In deroga al paragrafo 1, ciascuno Stato membro può

182 A tal proposito si veda Marchegiani M. “Sistema di Dublino e tutela dei diritti fondamentali: il rilievo della clausola di sovranità nella giurisprudenza europea

esaminare una domanda d'asilo presentata da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento. In tale ipotesi, detto Stato membro diventa lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Eventualmente, esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente asilo.”

Proprio l’esistenza di tale previsione discrezionale ha condotto la Corte a ritenere che, di fronte al regolamento “Dublino II” gli Stati sono liberi di dare o meno attuazione ai criteri di competenza in esso contenuti e che di conseguenza non possa essere invocato il principio di tutela equivalente che opera solo in presenza di condotte statali totalmente vincolate alle disposizioni di un atto comunitario.

In sostanza la Corte ha ritenuto che le autorità belghe, verificati concretamente i rischi cui il ricorrente sarebbe andato incontro se fosse stato trasferito verso la Grecia, avrebbero potuto adottare una condotta conforme agli obblighi imposti dalla Convenzione, senza per questo violare la normativa comunitaria, proprio ricorrendo alla clausola di sovranità che gli avrebbe consentito di assumere la competenza per l’esame della domanda del ricorrente e nello stesso tempo di non infrangere l’obbligo di non-refoulement ex articolo 3.

Il ragionamento così sviluppato dalla Corte di Strasburgo assume una rilevanza centrale nella valutazione della compatibilità della normativa comunitaria sulla determinazione della competenza per l’esame delle domande di asilo rispetto alla Convenzione europea.

La clausola di sovranità diventa infatti lo strumento che consente all’intero sistema di non porsi apertamente in contrasto con la Convenzione di Roma e di garantire un coordinamento tra gli obblighi convenzionali e la normativa europea in materia di asilo.

La circostanza infatti che uno Stato membro possa liberamente decidere di ricorrere a tale disposizione, non solo consente di imputare direttamente ad esso la responsabilità della sua condotta, essendo questa il frutto di una libera scelta, ma anche di garantire che, sempre nel rispetto del regolamento, non si trovi a violare i diritti sanciti dalla Convenzione, quando il sistema non sia in grado di funzionare correttamente.

L’intento manifestato in tale pronuncia è evidentemente quello di evitare un aperto contrasto tra i due sistemi in esame, individuando come via d’uscita il ricorso ad una previsione alla quale, a fronte della vaghezza della sua formulazione, viene data una specifica funzione.

Tuttavia la soluzione prospettata dalla Corte presenta dei limiti dai quali è chiaramente desumibile la sua natura temporanea e il fatto che, mettendo sostanzialmente in discussione i cardini su cui il “Sistema Dublino” si fonda, sia stata elaborata nell’attesa che il legislatore comunitario provvedesse ad una riforma organica dello stesso.

Il primo aspetto da valutare riguarda l’aver concepito la “clausola di

sovranità” come idonea ad attribuire agli Stati una discrezionalità

assoluta: è evidente infatti che, in conformità al principio di “effetto utile”, anche il ricorso ad una simile previsione deve avvenire nel rispetto delle norme poste a fondamento dell’Unione.

Se tra queste indubbiamente un ruolo centrale è svolto dai principi a tutela dei diritti umani, nella definizione dei quali tuttavia l’ordinamento europeo si pone essenzialmente in continuità con il sistema di Strasburgo,

il problema si pone soprattutto in relazione al principio di mutua fiducia che costituisce anch’esso un principio fondamentale183, ma la cui

attuazione è evidentemente minata dall’interpretazione che la Corte ha dato della clausola di sovranità.

L’individuazione del ricorso a tale disposizione come il metodo che consente di tenere una condotta compatibile tanto con il regolamento quanto con la Convenzione, presenta infatti il limite di porsi in contraddizione con il principio-cardine dell’Unione, e in particolare del “Sistema Dublino”, e cioè la fiducia reciproca tra gli Stati, da cui discende la presunzione secondo la quale questi garantiscono un livello uniforme di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, il cui superamento è peraltro affermato nella medesima sentenza.

Alla luce di tali considerazioni appare chiaro il significato della complessiva posizione assunta dalla Corte europea: prendendo atto del sostanziale fallimento del “Sistema Dublino”, il quale presuppone un’uniformità normativa tra gli Stati al momento inesistente, ha proceduto a fornire gli strumenti per garantire una più equa attuazione dello stesso, tramite la redistribuzione della responsabilità e l’imposizione agli Stati dell’obbligo di verificare in concreto le condizioni esistenti nel paese di destinazione. Inoltre, per evitare medio tempore di doverlo considerare totalmente in contrasto con gli obblighi che gli stessi Stati hanno contratto mediante l’adesione alla Convenzione, ha dato vita ad un ragionamento che, mettendo in discussione lo stesso principio su cui tutta la normativa si fonda, nasconde (non troppo) dietro le righe la necessità di una riforma complessiva della stessa.

183 Costituisce infatti parte nel diritto primario dell’Unione, essendo enunciato nel

Il richiamo da parte della Corte alla clausola di sovranità, indipendentemente dal significato sostanziale che le è stato attribuito, ha inoltre condotto ad un ulteriore risultato, a cui si è già fatto accenno, e cioè quello di averne definito i contorni, piuttosto vaghi ed incerti nella sua formulazione letterale.

Quanto affermato è testimoniato dall’utilizzo differenziato che gli Stati hanno fatto di tale previsione, riscontrato dalla stessa Commissione Europea nell’ambito di un rapporto avente ad oggetto la valutazione del “Sistema Dublino”.184

In particolare la Commissione prende atto delle interpretazioni divergenti nell’applicazione della “clausola di sovranità” e di come gli Stati membri ricorrano alla stessa per ragioni differenti “ranging from humanitarian to

purely pratical”.

Taluni Stati si sono serviti infatti di tale disposizione per garantire un più celere rigetto delle domande infondate, altri invece per garantire una maggiore tutela ad alcune categorie di richiedenti asilo particolarmente vulnerabili e cioè anziani o malati.

Viene inoltre evidenziata la mancanza di indicazioni sulle precise circostanze in presenza delle quali sia possibile ricorrere alla stessa, sulla possibilità che sia il richiedente asilo a domandarne l’applicazione e sull’esistenza di un termine per la presentazione della richiesta da uno Stato ad un altro.

In relazione poi alla specifica situazione della Grecia si può notare come già prima della prouncia della Corte taluni Stati avessero proceduto alla sospensione dei trasferimenti verso tale paese ricorrendo alla “clausola di

sovranità”; alcuni mediante l’adozione di istruzioni generali nell’ambito

della gestione della politica sull’asilo, altri sulla base di una valutazione condotta caso per caso nel contesto di decisioni giurisdizionali.185

Dopo la pronuncia del 2011, tuttavia, il numero degli Stati che ha interrotto i trasferimenti, non solo verso la Grecia ma anche verso altri Stati membri considerati “a rischio”, è aumentato, a dimostrazione dell’impatto che la sentenza ha avuto sui meccanismi alla base del funzionamento del “Sistema Dublino”.

3.5 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea e il “Sistema

Nel documento Non-refoulement e "Sistema Dublino" (pagine 172-177)

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