La comunitarizzazione della disciplina sui criteri per determinare la competenza ad esaminare una domanda di asilo è avvenuta tramite il Regolamento del Consiglio 343/2003 conosciuto anche come “Dublino
II” in ragione della sua continuità rispetto all’omonima Convenzione.
Nonostante il regolamento, come anticipato, non abbia modificato in modo significativo le previsioni della Convenzione è opportuno mettere in risalto gli elementi di novità in esso contenuti.141
Un aspetto preliminare da considerare nel mettere a confronto i due atti in esame é la mancanza del riferimento, nel preambolo a Dublino II, all’obiettivo di garantire che una domanda di asilo venga esaminata da parte di un solo Stato membro, come invece esplicitamente previsto nella Convenzione.
Per quanto riguarda il contenuto vero e proprio del regolamento, uno dei primi profili in relazione ai quali esso ha sicuramente innovato rispetto alla precedente normativa, attiene alla maggiore rilevanza data
141 Sul regolamento “Dublino II” Adinolfi A. ”Il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria: verso un sistema comune di europeo?”, cit., p.
671 e ss., Dubolino D. “L’identificazione dello Stato competente all’esame della
domanda di asilo: dalla Convenzione di Dublino al nuovo Regolamento“, cit. p. 833 e
ss., Brandl U. “Distribution of asylum seekers in Europe? Dublin II Regulation
determining the responsability for examining an asylum application” in The emergence
of a european asylum policy a cura di C. Urbano de Sousa e De Bruycker P. 2003, pp. 33-69 e Nicol QC A. “From Dublin Convention to Dublin Regulation: a progressive
all’obiettivo della riunificazione familiare, che fino ad allora non era stato adeguatamente tenuto in considerazione, soprattutto quando ad essere coinvolto nella procedura sia un minore non accompagnato.
Infatti, nel caso in cui il richiedente asilo sia un minore, il regolamento prevede che lo Stato competente sia quello nel quale si trova legalmente un suo familare, senza richiedere l’ulteriore condizione, che invece continua a valere per tutti gli altri richiedenti asilo, che al familiare sia stato già riconosciuto lo status di rifugiato o sia almeno pendente la relativa procedura.
Si ha inoltre un’estensione della nozione di familiare che include non solo il coniuge e i figli minori del richiedente asilo, a carico dello stesso e non sposati, ma anche i genitori o il tutore del richiedente asilo minore non coniugato e il partner non coniugato con il quale intrattenga una relazione stabile, purchè la legislazione o la prassi dello Stato membro coinvolto assimili le coppie di fatto a quelle coniugate nell’ambito della legislazione sugli stranieri.
Rilevanza all’unità familiare viene data anche nella clausola umanitaria che nella sua riformulazione all’articolo 15 del regolamento, prevede la possibilità per uno Stato di esaminare una domanda e di procedere al ricongiungimento familiare anche quando non sarebbe competente sulla base dei criteri sopra esposti.
Nel riprodurre poi la clausola di sovranità viene eliminata la condizione del consenso del richiedente asilo ai fini dell’operatività della stessa, ritenendolo implicito nel fatto che il soggetto si sia rivolto allo Stato che poi ricorre all’utilizzo di tale clausola per affermare l’esistenza della sua competenza; senonchèsi è notato come tale assunto sia in contraddizione evidente con un sistema che si fonda sull’attribuire rilevanza del tutto
residuale alla scelta dello Stato al quale presentare la domanda, dalla quale quindi non dovrebbe potersi implicitamente dedurre un consenso al fatto che quello Stato pur non essendo competente proceda all’esame della stessa.142
Com’è già stato rilevato, uno dei profili più problematici della Convenzione di Dublino riguardava la difficoltà nell’acquisizione delle prove giustificative dell’applicazione dei criteri di determinazione della competenza e specialmente per l’identificazione dello Stato responsabile dell’accesso illegale di uno straniero nel territorio europeo.
Proprio nel tentativo di superare tale ostacolo, il regolamento interviene sul regime probatorio, stabilendo che al fine di provare quale sia lo Stato competente sia sufficiente fornire prove indiziarie purchè “coerenti,
verificabili e sufficientemente particolareggiate.”
Per quanto riguarda la disciplina procedurale, il regolamento si limita a modificare alcuni termini della stessa nel tentativo di ridurre la durata spesso eccessiva della procedura: in particolare si prevede che lo Stato al quale sia presentata la domanda abbia un termine di tre mesi, non più sei, per effettuare una richiesta di presa in carico ad un un altro Stato, decorso inutilmente il quale viene considerato automaticamente competente; lo Stato poi al quale è rivolta la richiesta ha un termine a sua volta di due mesi per decidere nel merito, riducibile ad un mese in casi di urgenza, decorso il quale senza che si sia pronunciato, assume automaticamente la competenza.
142 Il problema si è posto in particolare nelle situazioni in cui lo Stato nel quale veniva
presentata la domanda decideva di procedere egli stesso al suo esame, in forza della clausola di sovranità, per poi dichiararla infondata ritenendo che il paese di origine del richiedente asilo si potesse considerare sicuro quando invece lo Stato che avrebbe avuto la competenza non lo considerava tale.
Non è previsto invece alcun termine per la ripresa in carico di un richiedente asilo da parte di uno Stato che abbia già iniziato o addirittura completato l’esame della relativa domanda, esonerando così tutti gli altri Stati dal dover dare avvio ad una nuova procedura.
L’unico caso in cui il regolamento ha esteso un termine rispetto a quanto previsto nella Convenzione, è quello del trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato considerato competente, che si prevede debba avvenire entro sei mesi prorogabili fino a diciotto.
Una delle novità più significative del presente regolamento è rappresentata poi dall’introduzione di una norma che da rilevanza alle domande di asilo presentate nelle aree internazionali degli aeroporti, con la corrispondente attribuzione della competenza allo Stato nel quale questi si trovano.
Mediante tale previsione infatti si pone implicitamente fine ad una prassi costante degli Stati, consistente nel ritenere che gli individui che si trovino in tali aree non si possano considerare soggetti alla loro giurisdizione e conseguentemente di non essere obbligati ad esaminarne le domande di asilo.
Al di là delle differenze di contenuto esistenti tra i due atti, va ribadito come, mediante il regolamento del 2003, la disciplina in esame abbia fatto un significativo salto qualitativo passando dall’essere contenuta in un trattato, frutto di una semplice cooperazione intergovernativa, al diventare oggetto di un atto comunitario attuativo delle competenze dell’Unione indicate nell’articolo 63 del Trattato sulla Comunità Europea come modificato da quello di Amsterdam.
Una delle importanti conseguenze di tale evoluzione è stata il sorgere della giurisdizione della Corte di Giustizia in tale materia, come era previsto nel
vecchio articolo 68143 del Trattato in relazione a tutto il suo titolo IV, che
tuttavia limitava la possibilità di deferire una questione alla Corte di Giustizia solo al giudice nazionale contro la cui decisione non sia previsto alcun altro rimedio giurisdizionale.
Infine è opportuno ricordare che strettamente connesso al funzionamento del regolamento in esame vi è quello istitutivo del sistema Eurodac, adottato nel 2000 e cioè prima ancora dell’adozione del regolamento Dublino II e durante la vigenza della precedente Convenzione, al fine di renderne più efficace l’operatività.
Con tale regolamento infatti si diede vita ad un sistema di raccolta delle impronte digitali dei richiedenti asilo, acquisite dagli Stati membri, mediante il quale si è reso possibile verificare più facilmente quale sia lo Stato responsabile dell’ingresso di un dato soggetto, che infatti corrisponde a quello nel quale per primo sia stata effettuata tale rilevazione, nonchè gestire ancora meglio il fenomeno delle domande di asilo multiple.
143 “L'articolo 234 si applica al presente titolo nelle seguenti circostanze e alle seguenti condizioni: quando é sollevata, in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, una questione concernente l'interpretazione del presente titolo oppure la validità o l'interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul presente titolo, tale giurisdizione,qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su tale punto, domandaalla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione.”