Per ovviare a questi inconvenienti e per porre fine ai contrasti, che si erano ravvivati tra gli ufficiali regi e i feudatari, il braccio militare nel
Il 22 marzo 1446 il re acconsentì al progetto del braccio, che gli ven- ven-ne esposto da Pietro Bancelles, inviatogli dai consiglieri di Cagliari con
altri incarichi, e indirizzò al marchese di Oristano, Antonio Cubello, e al conte di Quirra, Iacopo Carroz, una lettera nella quale concedeva ai due il permesso dí congregare i feudatari dell'isola. Prevedendo poi che gli uf-ficiali regi avrebbero potuto intralciare il buon andamento della riunione, alla cui attuazione il viceré si era dimostrato sin da principio sfavorevole, ordinò agli stessi, pena diecimila fiorini d'oro di multa e la privazione dell'ufficio, di astenersi da ogni atto contrario alla riunione stessa 209.
de Montecateno, Salvatore d'Arborea, i due Carroz, Luigi Aragall, Giovanni de Doni, Simo-ne Roig, Ferdinando Pardo, Pietro Joffre, Francesco Tomich, Angelo Cano, Serafino de Montanyana, Francesco Saba, Gonario Gambella, Raimondo Zatrilla, Pietro de Ferreres, Ia-copo Manca, Giovanni Meloni e dall'arcivescovo di Cagliari. Per il valore del ducato cfr. la nota 254.
zos ACA, Cancelleria, reg. 2629, cc. 207v., 208v. e ASC, AAR, regg. BH 1 e BH 2; [vedi anche A. MATTONE, Gli Statuti sassaresi cit., p. 438; B. ANATRA, La Sardegna cit., p. 171].
2" ACA, Cancelleria, reg. 2629, cc. 9v., 10 e ASC, AAR, reg. K 5, c. 124.
207 ACA, Cancelleria, reg. 2629, cc. 10, 14v.
208 Per il valore del ducato vedi quanto detto alla nota 254.
[Il gigliato, nome dato alla moneta d'argento, o grosso di Carlo II d'Angiò, fu coniato a Napoli nel 1302; lo coniò anche Alfonso il Magnanimo; nel 1460 valeva 2 soldi barcellone-si, cfr. R. CIFERRI, Repertorio alfabetico di numismatica medioevale e moderna, principalmente ita-liana, I, Pavia, 1963, p. 408].
209 Cfr. ATTI, Riunione 1446, pp. 165-166.
[La riunione dello stamento militare del 1446 — unitamente a quella del 1452 — co-
Questa ebbe inizio il 24 maggio e si tenne ad Oristano 21°. Un nota-io, Pietro Baster, stese un pubblico strumento per quanto riguardava il donativo da offrire al re e i feudatari redassero le varie richieste. Alla riunione intervennero personalmente, oltre Antonio e Salvatore Cubel-lo, Cristoforo Cortill, Raimondo Zatrilla, Salvatore Guiso, Francesco To-mich; Iacopo e Nicolò Carroz, Gerardo de Doni, Margherita Sant Just, Filippo Aragall, Manuele de Santa Pace, Galcerando Torello si fecero rappresentare dal mercante e notaio Simone Roig; Francesco Gilberto de Centelles si fece rappresentare dal cognato Salvatore Cubello; Gu-glielmo Raimondo de Montecateno dal suo procuratore Dalmazzo taca-rera, capitano altresì di Monreale e di Marmilla, e Antonio de Sena dal suo procuratore Bernardo de Vinat; Salvatore Guiso, barone di Orosei, curò anche gli interessi di Ignazio de Guinara, conte di Orani; mentre gli interessi di Iacopo Pardo e di Pietro Joffre furono curati da Pietro Sal-zet, che aveva partecipato al Parlamento del 1421 come sindaco di Ca-gliari; e quelli di Angelo de Marongio da Mariano de Marongio. Furono assenti il viceré, Francesco de Erill, il procuratore regio, Iacopo de Beso-ra, che aveva nell'isola un largo feudo, contrari alla riunione e in aperta lotta con i feudatari, e Giovanni Manca 211.
Come primo atto i feudatari presenti elessero due ambasciatori da inviare presso il re per presentargli le richieste e per trattare il pagamen-to del donativo: furono eletti il conte di Orani, Ignazio de Guinara, no-bile catalano, e Pietro Joffre. Quest'ultimo, fratello di Matteo, canonico prima dell'arcidiocesi dí Cagliari e arcivescovo poi della stessa 212, era procuratore della Chiesa cagliaritana 213; godeva a Cagliari — dove era
stituisce un episodio isolato nella vita dell'istituto parlamentare sardo. La nobiltà feudale chiese ed ottenne dal re il privilegio di riunirsi in Parlamento di propria iniziativa. L'auto-consapevolezza del ceto nobiliare si manifestava, dunque, in tutta la sua ampiezza; con que-sto diritto la feudalità ribadiva la propria preminenza sociale ed istituzionale e strappava al sovrano — in un momento di debolezza della Corona — una delle sue prerogative più im-portanti: quella di convocare i Parlamenti. Questo privilegio rimase, però, sempre sulla car-ta: il Parlamento non si sarebbe mai riunito di propria iniziativa; cfr. in proposito A. MA-RONGIU, Les réunions particulières de l'estament militaire en Sardaigne, in «Archivio Storico Sar-do di Sassari», n. 9 (1983), pp. 167-178; A. MATTONE, Problemi di storia cit., p. 165; B. ANA-TRA, Corona e ceti privilegiati cit., pp. 20-21; La Sardegna cit., pp. 360 ss. Nel XVI e nel XVII secolo vi sarebbero stati altri tentativi, peraltro falliti, di convocazione separata del braccio militare, specie dei membri del Capo di Sassari, cfr. A. MATTONE, Centralismo monarchico cit., pp. 134-135].
210 ACA, Cancelleria, reg. 2631, c. 73.
211 Cfr. ATTI, Riunione 1446, Donativo, pp. 167-170; [J. MATEU IBAR5, Los virreyes cit., I, p. 127].
212 D. SCANO, Codice diplomatico cit., II, doc. 54 e p. 59.
213 D. SCANO, Codice diplomatico cit., II, doc. 72.
stato consigliere nel 1421, vicario nel 1436 — di una larga influenza e aveva militato con un seguito di suoi cavalieri nella campagna contro Nicolò Doria 214. Come responsabili poi del donativo e come coordina-tori delle varie richieste vennero eletti Antonio e Salvatore Cubello, Si-mone Roig e lo stesso Pietro Joffre; sotto la pena di cinquemila ducati d'oro, i quattro dovevano provvedere a tassare i feudatari, tanto gli inter-venuti alla riunione quanto i non interinter-venuti, tanto chi avesse aderito quanto chi non avesse aderito, per la tassa che a loro sembrasse oppor-tuna e proporzionata, considerate le rendite di ciascun feudatario. Il pro-curatore di Guglielmo Raimondo de Montecateno non aderì 215, tuttavia fu costretto a sottoscrivere le deliberazioni prese dalla maggioranza.
Come prima richiesta i feudatari, date le condizioni di miseria in cui l'isola versava, proposero che in Sardegna non potessero essere più esat-te, anche dai successori di Alfonso, collette o tasse di carattere straordi-nario: venne fatta eccezione dal re per i donativi relativi ai matrimoni e alle incoronazioni 216. Proposero poi, poiché la lontananza del re aveva dato modo agli ufficiali regi di commettere vari abusi — tra i quali quel-lo di impedire la partenza delle persone che dall'isola desideravano re-carsi presso il re — e questi avevano provocato vari contrasti tra gli uffi-ciali stessi e i feudatari, che venisse concesso un privilegio perpetuo per il quale i tre bracci potessero riunirsi, insieme o separatamente, senza istanza al re e senza intralci da parte dei rappresentanti dell'autorità re-gia 217 e che di conseguenza venisse concesso il privilegio al marchese di Oristano, al conte di Quirra e a Francesco de Centelles di riunire il braccio militare nei casi necessari 218. Il re aderì alle tre richieste ma, poiché era suo potere far eccezioni o limitazioni, al placet aggiunse l'ob-bligo per i tre bracci di riunirsi soltanto di giorno e nel Castello di Ca-gliari, alla presenza del governatore o del procuratore regio. La limitazio-ne del re era dovuta al fatto che le riunioni notturlimitazio-ne avrebbero potuto portare, se avessero degenerato, a un turbamento dell'ordine pubbli-co 219 e la presenza di un rappresentante dell'autorità regia sarebbe stata utile a limitare le richieste dovute semplicemente a questioni di parte.
Per sindacare l'operato del viceré e del governatore i feudatari chie-
214 P. TOLA, Codex cit., 2, p. 14. Sul vicariato di Pietro Joffre cfr. ASC, AAR, reg. K 5, c. 84.
215 Cfr. ATTI, Riunione 1446, Donativo, pp. 169-170.
216 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 1, p. 178 e ASC, AAR, regg. BH 1 e BH 2.
217 Ibidem, capp. 2, 26, pp. 178-179, 187-188.
218 Ibidem, cap. 3, pp. 179-180.
219 Cfr. A. MARONGIU, I parlamenti di Sardegna cit., p. 77.
sero che questi fossero controllati e che durassero in carica solo per un quinquennio e che, dopo i cinque anni o lasciando prima l'ufficio, fosse-ro obbligati a tener «tavola» nel castello di Cagliari per cinquanta giorni con sindacatura di una persona di Cagliari, una di Sassari e una di Al-ghero e di due feudatari, eletti dal re nello stesso anno in cui la «tavola»
doveva esser tenuta. I sindacatori delle «tavole» dovevano prestar giura-mento in mano del procuratore regio e del veghiere di Cagliari 22°. Per le cause civili poi, poiché non erano state osservate, specie nel Logudoro, le deliberazioni prese nel Parlamento del 1421, che fissavano il tempo delle tre istanze, proposero gravi multe per gli ufficiali che non le portas-sero a termine nel tempo stabilito. Pietro IV aveva deliberato che le per-sone preposte alla giustizia venissero pagate ogni quattro mesi e aveva ordinato che non prendessero salari dalle parti litiganti, ma la disposizio-ne non era stata rispettata e la situaziodisposizio-ne era stata presa inutilmente in esame nel Parlamento del 1421. I feudatari proposero così che le dispo-sizioni di re Pietro venissero in parte confermate, che gli assessori non prendessero salari dalle parti e avessero un solo salario per tipo di causa da pagarsi in tre terzi: uno all'atto della contestazione della lite, uno alla pubblicazione del processo, uno alla sentenza. Si pensava in questo mo-do che le cause non avessero more 221 e si chiedeva altresì, in relazione a queste, che non venissero fatte esecuzioni di beni prima che si conosces-se l'esito dell'appello di parte, come spesso accadeva; che gli ufficiali regi non prendessero alcun diritto sulle esecuzioni e che non falsificassero gli atti; che le lettere di giustizia venissero firmate dagli assessori, pena in caso contrario la nullità di esse 222.
Circa le lettere degli ufficiali regi irroganti pene per inadempimenti di atti da parte dei feudatari sí stabiliva che la prima lettera fosse soltan-to monisoltan-toria, che la seconda stabilisse una pena pecuniaria e che la ter-za, firmata dall'assessore, duplicasse la prima pena, contrariamente a quanto era avvenuto sino ad allora: già con la prima lettera venivano, in-fatti inflitte pene molto gravi, che potevano essere inflitte soltanto dal re 223. Poiché, infine, gli ufficiali regi e il viceré percepivano per le caval-cate nell'interno dell'isola salari abbastanza elevati, chiesero che venisse fissato per tali cavalcate un salario determinato 224.
220 Cfr. ATTI, Riunione 1446, capp. 4, 5, 24, pp. 180-181, 187; vedi anche quanto detto alla nota 101.
221 Ibidem, capp. 6, 7, pp. 181-182.
222 Ibidem, capp. 8, 9, 10, 26, pp. 182, 187-188.
223 Ibidem, cap. 13, p. 183.
224 Ibidem, cap. 10, p. 182.
Salari abbastanza elevati prendevano altresì lo scrivano del gover-natore e i suol giurati. Anche questi salari vennero limitati e fissati nelle seguenti misure: per lo scrivano, il notaio, che si recavano fuori Cagliari su istanza di parte per un inventario o una stima oltre il diritto della scrittura effettuata e il salario di cavalcata, ventiquattro soldi cagliaritani al giorno come diritto di pedaggio; per i loro sostituti o giurati, oltre lo stesso diritto, dodici soldi giornalieri; per l' algutzir di Cagliari, incaricato delle esecuzioni delle sentenze e dei sequestri, venti soldi giornalieri;
per il suo sostituto o giurato quindici soldi giornalieri; per gli uscieri (porters), incaricati dell'ordine durante le udienze, latori inoltre delle in-giunzioni, l'indennità prevista era quella fissata dal Parlamento del 1421.
I contravventori dovevano essere puniti con la privazione dell'ufficio e con un anno di carcere 225. Sí limitava così una parte degli abusi, che gli ufficiali commettevano nel corso delle cause o nella compilazione delle scritture o, nell'interno, a danno delle persone costrette a ricorrere alla giustizia.
Ma le richieste fondamentali miravano a rafforzare il prestigio dei feudatari, il quale aveva subìto una certa diminuzione. La richiesta di un'amnistia per tutti i feudatari con esclusione soltanto del crimine di lesa maestà 226; la riconferma agli stessi della completa giurisdizione ci-vile e criminale 227; il rispetto della procedura dei processi segreti (proces de cambra) che dovevano essere condotti direttamente dal re o da perso-na da lui avente mandato e che erano stati avocati dal viceré 228; la ri-conferma dei feudi concessi dal re di Sicilia Martino, da Pietro Torellas e dal re Ferdinando I furono le richieste principali intese a rafforzare tale prestigio 229.
225 Ibidem, capp. 11-12, pp. 182-183.
226 Ibidem, cap. 23, pp. 186-187.
227 Ibidem, capp. 15, 18, pp. 184-185.
228 Ibidem, cap. 16, p. 184.
229 Ibidem, cap. 17, p. 184. Nel periodo dell'interregno (1410-1412) Pietro Torrellas, luogotenente in Sardegna, aveva concesso alle persone che avevano militato con Martino il Giovane, re di Sicilia, molti feudi, tra questi il castello dell'Acquafredda, che era stato dato a Pietro Otger, già segretario del regno di Sicilia: ACA, Cancelleria, reg. 2784, cc. 119 bis, 123.
[Secondo B. ANATRA, La Sardegna cit., p. 171, i capitoli chiesti nel 1446 (e rinnovati nel 1452), il meccanismo del donativo, la deputazione di quattro commissari addetti alla riscos-sione, la composizione stessa dello stamento militare, evidenziano il ruolo preminente che, non la nobiltà nel suo insieme, ma i signori feudali svolgevano nell'isola alla metà del XV secolo: potere politico, capacità contrattuale e liquidità finanziara sono l'espressione coe-rente della forza del baronaggio sardo].
A queste si associavano altre richieste: si proponeva che ogni feuda-tario lasciasse tanto liberi i vassalli, sempre che questi avessero pagato il dret, da potersi spostare da una villa all'altra o da un feudo all'altro, in modo da poter popolare le zone disabitate 230. Si proponeva, altresì, che a ogni feudatario venisse restituito il pieno dominio, anche economico, del feudo 2" e che, data la povertà della popolazione dell'isola, ai feuda-tari non venisse fatto obbligo da parte degli ufficiali regi di dare o pre-stare cavalli né di sopportare spese di alcun genere quando questi si muovevano nell'interno dell'isola con il loro seguito 232.
Furono, infine, fatte delle proposte relative alla stabilizzazione della moneta 233. A Sassari e ad Alghero correvano due monete diverse e, poiché il re già dal 1444 aveva concesso ai mercanti la libertà di com-mercio tra le due città 234, ciò generava molti intralci e alcune confusioni.
A Sassari il visconte di Narbona aveva coniato sue monete che, dietro ordine di Alfonso, nel 1421 erano state ritirate e rimesse in circolazione con il marchio d'Aragona 235. La lega poí della moneta minuta (argento e rame), che si batteva nella zecca di Cagliari, era stata diminuita in con-fronto a quella della moneta coniata nella zecca di Iglesias. A Sassari cir-colavano così le vecchie monete del visconte, mentre ad Alghero e nel resto dell'isola si avevano le monete aragonesi del vecchio e del nuovo
230 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 19, p. 185.
[«Con questo atto — osserva B. ANATRA, La Sardegna cit., p. 172 — si scioglievano gli ultimi vincoli del servaggio medioevale e si mettevano in condizione i feudatari più potenti di esercitare la propria forza di attrazione, fatta di deterrente fisico — ma anche di allettan-ti franchigie — su un tessuto demografico estremamente allentato e perciò molto appeallettan-tito».
La crisi demografica, che in Sardegna aveva indotto l'aristocrazia feudale a chiedere la libertà di movimento per i vassalli sardi, in Catalogna spingeva, invece, í signori feudali alla chiusura sino all'estremo della guerra civile — in parte evitata da Alfonso V, ma non dal suo successore Giovanni II — originata dal movimento di rivendicazione della propria li-bertà portato avanti dai contadini remenps, che rivendicavano la propria autonomia contro
«prelats e altres ecclesiastiques persones, barons, cavallers, ciutadans, burgesos», cfr. S. SOBREQUÉS VIDAL, Las origines de la revolución catalana del siglo XV Cortes de Barcelona de 1454-1458, in
«Estudios de Historia Moderna», II (1952), pp. 1-96; M. GOLOBARDES VILA, Els Remengs, Peralada, 1973, I, pp. 183 ss.; S. SOBREQUÉS VIDAL, J. SOBREQUÉS CALLICÓ, La guerra civil Ca-talana del segle XV, I, Barcelona, 1973, pp. 11-127; J. VICENS VIVES, Historia de las Remensas en el siglo XV, Barcelona, 1978, pp. 56 ss].
231 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 20, pp. 185-186. Nel novembre del 1449 il re aveva, ad esempio, ordinato a Salvatore Guiso, barone di Orosei, di non intralciare nel feudo il commercio: ACA, Cancelleria, reg. 2634, cc. 54, 54v.
232 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 25, p. 187.
233 Ibidem, capp. 21, 22, p. 186.
234 P. TOLA, Codex cit, 1, sec. XV, doc. 29.
235 ACA, Cancelleria, reg. 2672, cc. 60, 61. [Vedi, anche, quanto detto alla nota 174].
conio non corrispondenti fra loro. Si stabilì che fossero chiamati a con-siglio alcuni esperti per la risoluzione del caso e che la questione fosse esaminata anche in una speciale riunione dei tre bracci, da effettuarsi nel Castello di Cagliari.
Poiché, infine, il bestiame trovato a pascolare abusivamente nei sal-ti dei feudatari veniva ucciso, e ciò recava un grande danno al patrimo-nio dell'isola, si proponeva al re che egli desse disposizioni perché ve-nisse osservato a tale proposito quanto stabilito dalla Carta de logu 236.
Il 29 maggio 1448 il re, dopo aver ascoltato la lettura delle richieste, fattagli dagli ambasciatori inviatigli dai feudatari, e dopo aver fatto alcu-ne eccezioni, approvò le deliberazioni prese dal braccio militare. Pochi giorni dopo stabilì che gli ambasciatori avessero per tutto il periodo della loro missione un salario 237 e indirizzò una lettera al procuratore regio dell'isola, Iacopo de Bersora, perché provvedesse alla riscossione della prima rata del donativo 238.
Questo, fissato in diecimila ducati, si doveva ottenere attraverso una contribuzione di ciascun feudatario in base all'ultimo comparti-mento fatto nell'isola e in base alle tasse che ciascun feudatario pagava.
Se un feudatario non avesse pagato la tassa dell'ultimo compartimento, avrebbe dovuto contribuire secondo il compartimento precedente e, se non avesse mai pagato tasse, avrebbe dovuto contribuire secondo una rata fissata dai quattro «trattatori» eletti nella riunione di Oristano del maggio 1446. In questa era stato stabilito che i feudatari avrebbero pa-gato i diecimila ducati con il cambio e il ricambio, ammontante, per ef-fettuare il pagamento in moneta corrente a Napoli, a tremilaseicento ducati, in due rate, la prima di cinquemiladuecento ducati entro due mesi dalla presentazione della lettera di cambio, la seconda entro sei mesi a partire dalla presentazione della stessa lettera 239. Se i feudatari non avessero pagato, i capitoli stilati nella riunione del braccio sarebbe-ro stati logicamente nulli 240. Ma, mentre in un primo tempo i feudatari avevano accettato di pagare oltre il donativo la percentuale abbastanza elevata del cambio e del ricambio, in un secondo tempo, ricevuta la let-tera, si erano rifiutati. Il re aveva scritto così al procuratore regio, ma inutilmente.
236 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 14, pp. 183-184. I capitoli della Carta de logu che in-teressano sono il 112 e il 194.
237 ACA, Cancelleria, reg. 2632, c. 131.
238 ACA, Cancelleria, reg. 2632, c. 150.
239 Cfr. ATTI, Riunione 1446, cap. 28, pp. 188-189.
240 Ibidem, cap. 29, pp. 189-190.