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Capitolo 2 Accordi bilaterali, Primavera araba e flussi migrator

2.2 Accordi tra Italia e Libia

Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 dall’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e da Muhammar Gheddafi a capo della Repubblica Socialista Popolare di Libia ha dichiarato la fine di una negoziazione tra i due paesi durata per anni29. Quando Gheddafi prese il potere nel 1969 i rapporti con l’Italia si raffreddarono molto dopo che fu emessa un’ordinanza per gli italiani di lasciare il paese e le loro terre vennero confiscate dallo Stato. Nel 1986 gli Stati Uniti bombardarono le città libiche di Bengasi e di Tripoli e la Libia rispose lanciando un missile nelle acque prossime a Lampedusa, questo fu il momento storico in cui i due paesi furono più lontani da una possibile ripresa dei loro rapporti. Gli USA dichiararono alla Libia di essere un paese sostenitore del terrorismo internazionale e l’accusarono di essere i mandanti della strage di Lockerbie, la Libia venne quindi sottoposta a sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e fu soggetta ad embargo che venne revocato completamente nel 200430 dopo che nel 2003 la Libia si è impegnata davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a «non partecipare direttamente o indirettamente alla commissione di atti di terrorismo internazionale e ha dichiarato altresì di rinunciare al programma per la costruzione di armi di distruzione di massa»31.

                                                                                                                         

28  Harraga letteralmente significa in arabo “colui che brucia” e viene usato per indicare le persone che

“bruciano la frontiera” ovvero le persone che rischiano la vita su un imbarcazione per attraversare il mar Mediterraneo.

29 Servizio studi e servizio affari internazionali del Senato della Repubblica, XVI Legislatura, n. 108,

Gennaio 2009, a cura di Natalino Ronzitti.

30http://archiviostorico.corriere.it/2004/settembre/23/Europa_revoca_totale_dell_embargo_co_9_0409230

17.shtml (link consultabile al 10 gennaio 2014)

31 Servizio studi e servizio affari internazionali del Senato della Repubblica, XVI Legislatura, n. 108,

Nel 1998 l’Italia e la Libia hanno ripreso i rapporti32 stipulando una serie di accordi bilaterali come l’accordo sul turismo, la convenzione consolare, l’accordo sulla promozione e protezione degli investimenti e l’accordo di cooperazione culturale. Il documento politico più importante per il consolidamento dei rapporti tra i due paesi è il Comunicato Congiunto firmato da Lamberto Dini all’epoca Ministro degli Affari Esteri. Nel 2008, quando fu firmato il Trattato, molti aspetti regolamentati dal Comunicato Congiunto del 1998 furono ripresi e in più vennero poste due questioni rilevanti che precedentemente non erano mai state del tutto risolte: il problema dei debiti che il governo libico doveva alle imprese italiane che hanno costruito opere nel paese e il problema del contrasto all’immigrazione irregolare. Per quanto riguarda la questione immigrazione prima del Trattato del 2008 l’Italia e la Libia avevano sottoscritto i due Protocolli del dicembre 2007 che prevedevano soltanto una sorveglianza congiunta delle frontiere.

Nell’enunciazione dei principi contenuti nel Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia e Libia fanno continuamente riferimento alla Carta delle Nazioni Unite ovvero il divieto di ricorso alla minaccia e all’uso della forza, il principio di non ingerenza negli affari interni, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Proprio riguardo ai diritti umani l’articolo 6 del Trattato impegna le parti ad agire conformemente alle proprie leggi e ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Questo articolo è molto importante poiché la normativa libica non è all’avanguardia in materia di diritti umani, anzi è indicata da molte organizzazioni umanitarie come tra le peggiori del bacino mediterraneo. La collaborazione tra i due paesi riguarda vari settori: culturale-scientifico, economico-industriale, energetico, difesa, non proliferazione-disarmo e, il più importante e maggiormente criticato, la lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina. Negli ultimi anni (dai primi anni 2000) le ondate migratorie provenienti dalla Libia e dirette verso l’Italia sono state più significative, per questo l’Italia ha previsto un pattugliamento marittimo delle frontiere con equipaggi misti mettendo a disposizione mezzi come le motovedette e dotando le frontiere terrestri libiche di un sistema di telerilevamento, dato poi in gestione ad alcune società italiane. I migranti provenienti dalla Libia sono per la maggior parte originari dei paesi sub-sahariani e del Corno d’Africa dove non vigono sistemi democratici bensì dittature feroci e guerre civili.

                                                                                                                         

32 Per un approfondimento sui rapporti fra Italia e Libia si veda il libro di Emanuela Paoletti, The Migration of Power and North-South Inequalities. The case of Italy and Libya., Ed. Palgrave Macmillan,

Sia l’Italia che la Libia «sono parti del Protocollo delle Nazioni Unite (2000) contro la criminalità organizzata per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via acqua. La Libia non è invece parte della Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951»33 . Questa mancata ratifica pare essere frutto di una particolare visione ideologica secondo la quale la nozione stessa di rifugiato dovrebbe essere estranea alla cultura araba in quanto, a detta del leader libico, la fratellanza tra paesi arabi impone agli stati stessi di accogliere i fratelli provenienti da altri paesi della stessa cultura. Tra tutti i settori che il Trattato coinvolge l’unico ad essere stato immediatamente operativo è quello della lotta all’immigrazione irregolare, sono stati infatti contestualmente istituiti il Comitato di Partenariato e un Comitato dei Seguiti che hanno funzione di definire le fasi successive all’entrata in vigore, vista la complessità degli impegni previsti.

Nel 2009, proprio a causa di questi accordi bilaterali, tra Italia e Libia è stata commessa una «grave violazione dei diritti umani», come ha affermato la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo in una sentenza del 23 febbraio 2012 che condannava l’Italia a risarcire le vittime di un respingimento in mare avvenuto il 6 maggio 2009. Quel giorno un barcone con circa 200 persone a bordo, tra cui donne in stato interessante e bambini, è stato intercettato al largo di Lampedusa da una nave militare italiana. Dopo averli fatti salire sull’imbarcazione, senza identificarli né informarli sulla destinazione del viaggio, li ha riportati in Libia consegnandoli alle forze di polizia libiche. Una volta rientrati in Libia “la maggior parte è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici,

dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l'Italia a bordo di un'imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorietà e insensatezza della politica dei respingimenti".34 Di queste 200 persone 24 sono state ritrovate e

assistite dal CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati) che, tramite i suoi avvocati, ha presentato ricorso per le operazioni di respingimento da parte dell’Italia davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire le vittime per aver violato l’articolo 3 ovvero il divieto di tortura e di altri trattamenti inumani o degradanti, l’articolo 13 ovvero il diritto alla difesa e l’articolo 4

                                                                                                                         

33  Ibidem   34  

http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2012/02/23/news/l_italia_condannata_per_i_respingim enti-30366965/ 8 (link consultabile al 13 gennaio 2014)  

del Protocollo n.4 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che prevede il divieto di espulsioni collettive.

Numerose organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch, UNHCR e Amnesty International hanno denunciato le condizioni in cui versano i migranti nei centri di detenzione35 libici dove sono stipati gli immigrati ritenuti irregolari. Questi centri detentivi sono sovraffollati, in condizioni igieniche e sanitarie drammatiche e le provviste di cibo e acqua sono insufficienti a sfamare il numero di persone ospitate al loro interno. Le associazioni e le ONG riportano da anni queste barbarie e la privazione dei diritti fondamentali dei migranti nonché dei potenziali richiedenti asilo. I campi di detenzione e le carceri in Libia sono dislocati su tutto il territorio nazionale, secondo le stime di Amnesty International consistono in 17 centri di trattenimento che detengono circa 5.000 migranti. A questi si vanno ad aggiungere circa altrettanti rinchiusi nelle carceri comuni e altri 5.000 che vivono nei campi di accoglienza. La Croce Rossa Internazionale ha visitato circa 60 strutture detentive, soprattutto nei pressi dei centri abitati ma è risaputo, soprattutto tra i migranti, che quelli più duri sono nel deserto. Tra questi ci sono quelli di Kufra e Sabha, luoghi in cui i detenuti sono vittime di trattamenti crudeli e degradanti, stupri, torture e percosse. In questi centri i minori vengono rinchiusi assieme agli adulti, subendone gli stessi trattamenti. Numerose sono le testimonianze di queste umiliazioni raccontate dai migranti al momento dell’arrivo in Europa come quella di Ghedi, ragazzo somalo di 29 anni che descrive così il centro di detenzione di Kufra:

“Sono stato arrestato appena entrato in Libia e la polizia ci ha portati alla prigione di Kufra. Era una prigione davvero brutta. C’erano circa 600 persone detenute. Dormivamo tutti sul pavimento. Non c’erano materassi. C’era un bagno ogni 100 persone e ci davano il sapone una volta a settimana.

Le guardie ci picchiavano senza motivo. Ci davano sberle tutto il tempo. Una volta sono stato picchiato con il calcio di un fucile. Le guardie ci picchiavano specialmente la notte quando erano sballati per aver fumato hashish.”36

Oltre alla situazione disumana delle carceri, i migranti sono terrorizzati all’idea di vivere per strada perché, soprattutto durante e dopo la rivoluzione, sono aumentati i rastrellamenti da parte della polizia, sono aumentati gli episodi di razzismo e addirittura                                                                                                                          

35  Per un approfondimento sulle teorie sociologiche dei campi di detenzione per migranti e di campi

profughi si rimanda al testo del sociologo Federico Rahola, Zone definitivamente temporanee. I luoghi

dell’umanità in eccesso., Ed. Ombre Corte, Verona 2003.

36 Human Rights Watch, Pushed back, Pushed around. Italy’s forced return of boat migrants and asylum seekers, Libya’s Mistreatment of migrants and asylum seekers. New York, September 2009.      

le uccisioni di ragazzi neri per la strada senza alcun motivo come racconta Salih in una testimonianza raccolta dall’associazione InMigrazione di Roma:

“Meglio questo posto (il carcere) che sulla strada, almeno hai un minimo di tutela…perché in mezzo alla strada tutti hanno le armi ed è molto rischioso…non si può stare in strada, non si può passeggiare...l’unica cosa è se tu hai trovato un libico che ti fa lavorare fisso a casa sua... non si può stare… Non so adesso veramente che faremo, siamo senza speranza in questo campo non si sa nulla...e anche il viaggio, la possibilità di viaggiare in mare sta per terminare... siamo come persone senza direzione”.37

Per queste persone l’unica soluzione è tentare la via del mare, spendere gli ultimi soldi e provare ad arrivare sulle coste della Fortezza Europa perché ritengono che nulla possa essere peggio di quello che vivono in Libia.

“Non c’è differenza... lì sulla terra ferma, là nell’acqua ...morire sulla terra o morire nell’acqua è la stessa cosa. Quando vai in viaggio se non ce l’hai fatta si dice è morto nell’acqua invece sulla terra ferma nessuno sa chi ti ha ucciso...se tu anche non sei morto e volevi uscire fuori da casa ti chiedono soldi e minacciano. Questa non è una vita, non posso tornare... non c’era alcuna scelta, per forza dovevo rischiare, per questo il viaggio non ti fa paura, nessuno ha paura di provare il mare, tutti hanno il desiderio di uscire dalla Libia, nessuno ha paura del mare, la cosa peggiore è vivere in Libia, perché vivere con i libici vuol dire vivere in un incubo”. 38

L’attraversamento del mare rappresenta l’ultima speranza di salvezza per coloro che giungono in Libia, che hanno attraversato il deserto e sono poi stati detenuti ingiustamente nelle durissime carceri di quel paese. I migranti sono oltretutto consapevoli di avere poche speranze di sopravvivenza ad un viaggio su imbarcazioni improbabili, non adatte a tutte quelle ore di navigazioni con molte più persone a bordo di quante ne potrebbero trasportare. Dal 1998 ad oggi sono morte annegate più di 19.372 persone39 attraversando il mar Mediterraneo.

                                                                                                                         

37  InMigrazione  Onlus,  0021  Trappola  Libica.  Roma,  Luglio  2013.   38 Ibidem, testimonianza di Teklemariam

39http://fortresseurope.blogspot.it/ Il blog di Gabriele Del Grande che nasce come osservatorio sulle