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Raccogliendo i materiali necessari alla stesura di questa tesi mi sono resa conto della necessità di approfondire le mie conoscenze sulla realtà lampedusana. Questo mi avrebbe permesso di avere uno sguardo più ampio e soggettivo su quella che è la situazione dell’isola raccontata dai media nazionali.

Nel luglio 2013 ho avuto la possibilità di partecipare ad un programma di volontariato creato dall’associazione romana InMigrazione, nata nel 2012 dall’esperienza di professionisti nel campo delle migrazioni quali psicologi, antropologi, insegnati, mediatori culturali e linguistici. Tutti i soggetti coinvolti sono accomunati dalla voglia di unire le proprie conoscenze e di sperimentare nuovi modi di lavorare all’integrazione sociale degli stranieri presenti sul territorio nazionale in quanto “convinti che nel sociale

non possano e non debbano esistere copyright. Per questo mettiamo in rete i nostri saperi nella certezza che solo dalla condivisione e dallo scambio di esperienze si può collettivamente crescere.109”.

Il campo di volontariato prevedeva il supporto logistico alle attività del LampedusainFestival e una formazione sul campo in merito alle molteplici realtà dell’isola. Si è svolto tra il 18 e il 25 luglio 2013, iniziando esattamente dieci giorni dopo la visita di Papa Francesco ai migranti e agli abitanti di Lampedusa. L’esperienza si è incentrata sul supporto alla manifestazione cinematografica, completamente basata sulle migrazioni. Questa permanenza è stata indispensabile sia per entrare a contatto con la comunità civile impegnata in queste attività, sia per visionare film e documentari dal grande spessore formativo. Gli incontri organizzati con abitanti, migranti e operatori del CPSA di Lampedusa sono stati fondamentali per comprendere i diversi punti di vista sulle dinamiche dell’isola degli ultimi anni.

Durante i primi giorni di permanenza sull’isola eravamo al corrente dello sbarco avvenuto poco prima del nostro arrivo di circa duecento migranti originari del Corno d’Africa. Sabato 24 luglio, nel primo pomeriggio, abbiamo assistito alla loro ordinata manifestazione contro il rilevamento delle impronte digitali. Le donne e gli uomini scesi per le vie di Lampedusa chiedevano di evitare la procedura d’identificazione poiché, essendo tutti potenziali rifugiati e sapendo perfettamente le condizioni destinate ai richiedenti asilo in Italia, preferivano essere “schedati” in un altro paese europeo, dove                                                                                                                          

le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo sarebbero state sicuramente migliori. Senza rendercene immediatamente conto stavamo assistendo ad una manifestazione contro la Convenzione di Dublino che prevede che la fase di riconoscimento dello status di rifugiato venga esaminata dalla Commissione territoriale del paese europeo in cui il migrante ha fatto ingresso la prima volta.

I migranti hanno manifestato il loro dissenso in modo molto civile e tranquillo, passando per il centro città e vicino alle spiagge più affollate di turisti. Le forze dell’ordine che seguivano il gruppo erano molto poche (3 poliziotti e il commissario), molte persone facenti parte dell’associazione Askavusa si sono unite al corteo che ha terminato la manifestazione sul sagrato della chiesa. I ragazzi e le ragazze, per lo più eritrei e somali, hanno pregato e hanno passato la notte davanti la chiesa in attesa di qualche risposta in merito alle loro richieste. Nel frattempo molti cittadini preoccupati per la manifestazione che era avvenuta nel pomeriggio, esprimevano al sindaco Giusi Nicolini il loro timore di disordini simili a quelli avvenuti nel 2011, in particolare gli albergatori e coloro che lavorano nel settore turistico erano impensieriti da un’eventuale ritorsione di questi avvenimenti sulla stagione turistica.

I media nazionali, i pochi che ne hanno dato notizia, hanno parlato di un corteo carico

di tensioni110 e di possibili scontri quando invece tutto si è svolto nella massima tranquillità, tanto che in piazza a “sorvegliare” i migranti è rimasto solo il Commissario di Polizia, insieme ai volontari del LampedusainFestival e di Askavusa.

La chiesa di Lampedusa si trova nelle immediate vicinanze dell’inizio di Via Roma, la via principale di Lampedusa dove ci sono negozi, bar e ristoranti che la sera diventano l’attrazione principale per turisti e paesani. Sabato 20 in un solo kilometro di strada si sono affiancate tre realtà molto diverse tra loro. Da una parte i ragazzi eritrei e somali protestavano per rivendicare il diritto a muoversi liberamente in Europa, rifiutando il rilevamento delle impronte digitali. Poco più in là la via del divertimento, colma di turisti ignari o indifferenti alla manifestazione e alle proteste iniziate già nel pomeriggio. Dalla parte opposta rispetto alla chiesa gli spettatori guardavano rapiti i film proiettati all’interno della rassegna LampedusainFestival, incentrato proprio sulle migrazioni.

                                                                                                                         

110Si rimanda al link:

http://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2013/07/20/news/lampedusa_profughi_in_rivolta_no_alle_i mpronte_digitali-63375459/  (link  consultabile  al  13  gennaio  2013)  

Manifestazione del 24 luglio 2013. Foto di Gaia Morozzo

All’inaugurazione del LampedusaInFestival il sindaco Giusi Nicolini ha dichiarato la sua volontà di conferire la cittadinanza onoraria a Dagmawi Yimer, cittadino etiope sbarcato a Lampedusa nel 2006, dopo un lungo viaggio in fuga dalla sua terra. Dagmawi è ora un regista affermato di film indipendenti in Italia, dove vive con la moglie e la figlia. I film di “Dag” raccontano le realtà che i migranti si trovano ad affrontare una volta arrivati in Italia, il suo primo film è stato “Come un uomo sulla

terra” dove, oltre ad essere regista, è anche protagonista. Nel documentario vengono

intervistati alcuni migranti giunti in Italia che raccontano la loro storia e i motivi che li hanno spinti a fuggire dalle loro terre. L’ultimo documentario di Dag, uscito recentemente, è “Va’ pensiero” nel quale dà voce ai protagonisti di due fatti di cronaca avvenuti a Milano e a Firenze: due momenti di estrema violenza nei confronti dei migranti da parte di italiani xenofobi e razzisti.

Durante la permanenza sull’isola ho avuto modo di incontrare anche Anour, ragazzo marocchino giunto in Italia nel 1999, rimasto irregolare per tre anni, dopo anni di lavoro come “operatore sociale” nei vari centri d’Italia, ora è mediatore culturale di UNHCR presso il CPSA dell’isola.

Ho conosciuto inoltre Mahamad Aman, un ragazzo eritreo arrivato sull’isola nel 2008 e ora mediatore linguistico e culturale presso il Centro di Lampedusa. Proprio nei giorni della mia permanenza sull’isola è giunto, su un’imbarcazione precaria recuperata dalla Guardia Costiera al largo, il fratello di Mahamad. I due non si vedevano da più di otto anni.

Una delle prime persone incontrate a Lampedusa è stata Paola La Rosa, avvocatessa palermitana residente a Lampedusa da alcuni anni dove gestisce, con il marito, un B&B a Cala Pisana. Paola è tra le cittadine maggiormente attive nel sociale e , in questi anni, ha offerto il suo supporto ai migranti in arrivo ma anche alla popolazione di Lampedusa, al cui riguardo ci spiega: “manca tutto per i ragazzi, non esistono attività sportive se

non il calcio, che ovviamente le bambine non fanno, manca una biblioteca111 e forse solo ora si inizia a muovere qualcosa, il desalinatore non basta a sopperire il fabbisogno di tutta l’isola ed inoltre è molto datato, così bisogna pagare le navi che trasportano acqua potabile e questo per Lampedusa ha costi altissimi.”

Raccontando la situazione sull’isola nel 2011, Paola tiene a sottolineare le differenze nel gestire gli arrivi dei migranti da parte dell’amministrazione locale precedente, ovvero quella del 2011, e quella di oggi. Nel 2011 il Sindaco Bernardino de Rubeis

“permetteva la spettacolarizzazione degli arrivi, con il passaggio delle ambulanze e delle forze dell’ordine nel centro cittadino a sirene spiegate” mentre l’amministrazione

di Giusi Nicolini ha fatto la scelta di proibire l’utilizzo delle sirene durante le normali procedure messe in atto per gli sbarchi e ha indicato un percorso alternativo per il trasporto dei migranti al CPSA, questo “non per tenere lontano dagli occhi dei cittadini

quanto accade ma per evitare allarmismi ingiustificati fra la comunità.”

L’avvocatessa racconta anche del 20 settembre 2011, rammaricandosi per la violenza che alcuni lampedusani hanno usato contro i ragazzi tunisini dopo l’incendio del centro, precisando che in più occasioni le istituzioni italiane non hanno di certo contribuito a rasserenare gli animi dei cittadini permettendo tra le altre cose il sovraffollamento del

                                                                                                                         

111  Nell’autunno del 2013 il Comune di Lampedusa ha lanciato un appello internazionale affinché si

riuscisse tramite donazioni a costituire una biblioteca per i ragazzi sull’isola di Lampedusa. All’appello hanno risposto in tantissimi e sono stati raccolti molti più libri di quanto si potesse prevedere, i prossimi passi da compiere sono la restaurazione dell’immobile che ospiterà la biblioteca e la formazione del personale che poi dovrà procedere alla catalogazione dei libri raccolti. (informazioni reperite sul sito di Ibby Italia: http://www.bibliotecasalaborsa.it/ragazzi/ibby/eventi-u.php?u=24039 )

Centro, i ritardi nei trasferimenti e ignorando le precarie condizioni di “accoglienza” in cui il CPSA versava da mesi.

Il ricordo del 2011 è ancora molto vivo all’interno della comunità lampedusana. Quell’anno è una ferita ancora aperta, i cittadini si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni nonostante le innumerevoli promesse fatte e non mantenute dai politici di passaggio sull’isola. I disagi, in quei primi mesi dell’anno, erano dovuti anche al fatto che i flussi fossero insolitamente molto consistenti, soprattutto se paragonati al biennio precedente, mentre le strutture rimasero inizialmente chiuse e poi risultarono essere sovraffollate. In una lunga intervista rilasciata a Marta Bellingreri nel luglio 2013 il Sindaco Giusi Nicolini affronta così il ricordo di quel periodo:

«Come tutti i miei concittadini ho vissuto quello che è accaduto nel febbraio e marzo 2011 come una profonda ingiustizia. Credevamo di sognare e invece era terribilmente vero. […]In pochi giorni erano più di mille. Il quinto giorno li hanno portati tutti al campo sportivo ed era una scena che sapeva di deportazione. Il ministro diceva che il centro doveva rimanere chiuso. Il giorno dopo lo hanno aperto ma era la misura minima. I migranti erano diventati cinquemila. Avevano interrotto i trasferimenti in Sicilia e negli altri centri del Paese. […] Lampedusa intera, non il Centro di Imbriacola o Loran, divenne un immenso campo profughi, un Unico Centro di identificazione ed espulsione. In quel momento sono arrivati i giornalisti. Nonostante le denunce, nonostante l’allerta, solo quando sono arrivate le organizzazioni umanitarie e i giornalisti non ci siamo più sentiti soli. Abbiamo capito che non eravamo più soli e che si sarebbe rivelato al mondo quello che stava succedendo.112»

                                                                                                                         

112  Giusi  Nicolini  con  Marta  Bellngreri,  Lampedusa.  Conversazioni  su  isole,  politica,  migranti.,  Edizioni  

Nell’ottobre 2013 due gravi tragedie hanno colpito Lampedusa e l’Italia intera. Il 3 e l’11 ottobre due imbarcazioni carche di migranti, principalmente siriani e originari dei paesi del Corno d’Africa sono naufragate al largo di Lampedusa provocando la morte di circa 550 persone. Cittadini, forze dell’ordine e Guardia Costiera hanno collaborato per recuperare i corpi dei migranti rimasti vittime del violento incidente. Le immagini che i media nazionali hanno riportato in quei giorni, in cui sono state mostrate distese di corpi senza vita, hanno commosso e indignato gran parte della popolazione italiana e della classe politica. Le morti in mare, il cui numero purtroppo aumenta di anno in anno, sono in gran parte attribuibili alle politiche restrittive sull’immigrazione della Fortezza Europa. Dopo questa ennesima tragedia, organizzazioni, associazioni umanitarie, studiosi, attivisti europei e nord africani hanno deciso di collaborare per riscrivere i diritti che dovrebbero avere gli individui e che invece sono negate dalle logiche securitarie cui hanno aderito tutti i paesi dell’UE.

Il portale web meltingpot europa113 ha aperto una piattaforma online per dare la

possibilità a tutti di contribuire alla stesura della Carta di Lampedusa, con il fine di costruire “un diritto alla vita che metta al primo posto le persone, la loro dignità, i loro

desideri e le loro speranze, un diritto che nessuna istituzione oggi riesce a garantire, un diritto da difendere e conquistare, un diritto di tutti e per tutti”. La Carta di Lampedusa

è un patto costituente partito dal basso e quindi non promosso dai governi per affermare che tutti gli individui hanno diritto alla libertà di movimento senza condizionamenti o impedimenti.

La stesura vera e propria della Carta di Lampedusa avverrà tra il 31 gennaio e il 2 febbraio 2014 proprio sull’isola di Lampedusa.

A metà dicembre 2013 Lampedusa è stata di nuovo al centro dell’attenzione mediatica, i telegiornali italiani hanno mostrato al mondo le terribili immagini girate da un migrante all’interno del CPSA. Il video mostrava gli operatori della cooperativa LampedusAccoglienza che dopo aver fatto spogliare completamente i migranti e averli messi in fila procedevano al trattamento anti scabbia con modalità che ricordavano l’orrore dei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale.

                                                                                                                         

Conclusioni

Nel febbraio 2011 quando, a seguito dei primi consistenti arrivi dalla Tunisia sull’isola di Lampedusa, il governo italiano decretò lo “stato d’emergenza” per l’eccezionale afflusso di migranti provenienti dal Nord Africa mi chiesi se davvero ci fosse in atto un’emergenza reale o fosse solo un escamotage politico per ritardare le misure d’accoglienza e diffondere semplicemente allarmismo fra la popolazione. Con questo lavoro di tesi ho provato in parte a rispondere alle mie domande partendo da importanti considerazioni teoriche per leggere la realtà che si è profilata nel 2011.

Il filosofo Giorgio Agamben, come accennato nel capitolo 3 del presente lavoro, ha ripreso nel suo libro del 2003 Stato d’eccezione le teorie dei vari intellettuali che nel secolo scorso hanno teorizzato questo status particolare invocato dai governi di tutto il mondo in diverse situazioni114. Agamben fa particolare riferimento al Terzo Reich quando vigeva uno stato d’eccezione dichiarato e sotto il quale si sono compiuti massacri, negazione dei diritti umani più elementari e fondamentali, privando delle libertà di ogni sorta. Lo studioso riporta quindi l’attenzione sul significato che può assumere la parola eccezione/emergenza in un contesto politico ben delineato sottolineando che con la temporanea assenza di norme vi è una possibile violenza o comunque un probabile sopruso da parte delle autorità statali senza che vi sia in effetti un controllore115. Oltre ad elementi di anomia e violenza, attraverso il concetto di

emergenza vi è anche l’uso (talvolta abuso) di deroghe alle attività ordinarie di gestione

e questo appare chiaramente e in modo esplicito anche negli eventi del 2011. In Italia, negli ultimi dieci anni circa, il fenomeno migratorio diventato sicuramente più consistente rispetto al passato è spesso stato gestito con modalità straordinarie in parte, a mio parere, per una incapacità politica sia a pianificare in anticipo delle strategie di intervento, sia a trovare chiare e delineate soluzioni normative a quello che viene definito un “problema” e che non è mai stato visto come una risorsa. Il 2011 non ha fatto eccezione. L’Italia è anche stata ripresa da vari organi europei per aver invocato lo stato d’emergenza e per l’incapacità di gestire flussi di 60.000 persone arrivate nell’arco di un anno solare. In particolare il Commissario europeo agli affari interni Cecilia Malmström ha ricordato al governo italiano che in passato l’Italia è stata in grado di

                                                                                                                         

114 Giorgio Agamben, Stato d’eccezione, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003 115 Ibidem

gestire flussi ben più consistenti116. Malmström ha inoltre osservato che «l’arrivo di

25.000 migranti dalla Tunisia, la maggior parte dei quali per motivi economici, è un fenomeno importante per una piccola isola come Lampedusa e una forte pressione per l’Italia e che solo 3.000 di questi hanno fatto domanda per ricevere protezione internazionale» intendendo quindi che con tutta probabilità molti degli stranieri giunti

in Italia avrebbero cercato fortuna in altri stati europei. In effetti questo è avvenuto per i migranti tunisini che, con il permesso di soggiorno temporaneo che gli era stato dato, hanno tentato di andare nella vicina Francia dove la rete di parenti e amici era ben più estesa che nel nostro paese.

Oltre alla gestione in sé dei flussi migratori giunti dal Nord Africa è bene ricordare come, attraverso la dichiarazione dello stato d’emergenza, il governo italiano e tutti gli attori che sono stati coinvolti nel coordinamento abbiano ottenuto un surplus di fondi europei per l’accoglienza dei migranti. Come analizzato nel paragrafo 3 del terzo capitolo, i costi riconducibili alla cosiddetta Emergenza Nord Africa sono stati molto alti ma non sempre questo ha significato una buona condizione d’ospitalità. Questi fatti sono stati denunciati associazioni, ONG e giornalisti, la situazione dei centri d’accoglienza per i migranti era spesso deplorevole117. Oltre alle condizioni igienico-

sanitarie di bassissimo livello con situazioni al limite del decoro, spesso i veri e propri percorsi d’accoglienza e di inclusione sociale non venivano previsti. In particolar modo quando i migranti alloggiavano all’interno di alberghi o strutture di privati venivano completamente abbandonati a loro stessi senza programmi di alfabetizzazione, senza supporto giuridico, senza il supporto di un mediatore linguistico e spesso senza la possibilità di movimento poiché confinati in luoghi periferici o addirittura quasi inaccessibili118. Purtroppo in queste situazioni di difficoltà a gestire flussi molto più consistenti degli anni passati, molti albergatori, truffatori di ogni sorta e alcune cooperative spregiudicate hanno approfittato della situazione per accaparrarsi più soldi del dovuto a discapito degli stranieri.

Come ho descritto nel terzo e nel quarto capitolo i Centri di Primo Soccorso e Accoglienza, i CARA per i richiedenti asilo, i nuovi CIA (Centri d’Identificazione ed Accoglienza), le tendopoli improvvisate a Lampedusa e nel resto d’Italia per accogliere i migranti sono stati gestiti in modo arbitrario e non sempre conforme ai dettami di                                                                                                                          

116 Associazione A Buon Diritto Onlus, Lampedusa non è un’isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia. (pag.51)

117  Michele Sasso e Francesca Sironi, Scandalo Profughi, ne l’Espresso, 18 ottobre 2012   118  Ibidem.  

legge. Spesso si sono confuse le tipologie di questi luoghi decidendo, in base a quanto stava accadendo al momento, di mutare la classificazione del centro. Anche per questo motivo spesso i migranti non capivano il perché fossero trattenuti per giorni nelle strutture senza poter essere trasferiti in altri luoghi. I centri per i migranti sono spesso luoghi particolari poiché, come enuncia Federico Rahola, sono spazi confinanti. Utilizzati nella storia come strutture dove poter esiliare ed escludere i displaced people da coloro che invece hanno il privilegio di esser definiti cittadini di qualche stato119. Nel 2011, nonostante i flussi migratori fossero eterogenei, non si è fatto un distinguo adeguato alle situazioni dei singoli e i migranti sono stati lasciati troppo tempo in situazioni degradanti all’interno dei centri.

L’impressione che si ha avuto vedendo le immagini dei migranti all’interno dei centri durante l’ENA è stata proprio quella di voler segregare un’umanità scomoda a molti, in primis allo Stato che si è dovuto sobbarcare l’onere di gestire le difficoltà di queste persone anche se con molta riluttanza.

I centri “d’accoglienza” per i migranti sono spesso luoghi alienanti per le persone che vi soggiornano. I tempi di attesa per ottenere uno status giuridico che permetta di uscire da queste strutture sono spesso lunghissimi e anche il limbo che si trovano ad affrontare gli stranieri trattenuti all’interno dei CIE è devastante per la psiche di questi uomini e donne.

Analizzando gli aspetti sanitari dell’Emergenza Nord Africa ho potuto constatare che, nonostante i primissimi mesi sull’isola di Lampedusa fossero stati altamente pericolosi dal punto di vista sanitario, le misure assistenziali e mediche che i migranti hanno ricevuto sono state abbastanza complete.

L’assistenza sanitaria è stata gestita in gran parte da associazioni o organizzazioni con lunghe esperienze nel campo e anche i primissimi triage medici che vengono effettuati durante le operazioni di recupero in mare e di “sbarco” sono state sicuramente efficaci per sopperire alle difficoltà dei migranti accumulate nell’attraversamento del mare. C’è però un aspetto fondamentale di cui viene tenuto poco conto: i problemi psicologici. Come sottolineato dalla psicologa Lilian Pizzi il problema della psicologia dei migranti è spesso trattato in modo marginale in Italia e l’errore che più si tende a fare quando si lavora con gli stranieri è categorizzare i loro problemi da un punto di vista meramente