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CAPITOLO 2. ARTI E MESTIERI ATTRAVERSO LE FONTI BIBLIOGRAFICHE E

2.5. CUCINE, TAVERNE E LOCANDE

2.5.2 Acquaviteri e caffettieri

Venezia era la città che faceva da cerniera tra Occidente ed Oriente ed era sempre stata al centro di traffici commerciali di qualsiasi prodotto. Tra le tante novità introdotte a Venezia ci fu anche il caffè che inizialmente era costoso e venduto nelle farmacie come medicinale, solo poi venne apprezzato come bevanda aromatica e cominciò ad essere commercializzato nei locali236.

La corporazione dei caffettieri dipendeva però dagli acquaviteri (che si occupavano della vendita di ghiaccio e acquavite). I locali in cui si consumava tale bevanda, inizialmente semplici ed austeri, subirono con il passare del tempo un'evoluzione che li portò ad essere sempre più ambienti caldi e raffinati; nei caffè venivano servite anche bevande rinfrescanti, cioccolata in tazza, liquori e sorbetti uniti ad una grande varietà di dolci: il consumo di caffè raggiunse dei livelli incredibili e si diffuse a tutti i ceti sociali, infatti in questi ambienti uomini e donne di tutte le estrazioni sociali erano soliti passare del tempo237.

2.5.3 Bastioneri

C'erano diverse denominazioni per indicare le osterie e “bastioni238” era una di queste. Gli osti239

ufficialmente si riunirono in corporazione nel 1355 e avevano come patrono San Giovanni Battista. Essi svolgevano le loro assemblee nella chiesa di San Matteo a Rialto dove avevano un proprio altare, la sede dell'arte venne stabilita nel 1488 in un piccolo stabile in zona S. Cassiano, adiacente alla chiesa omonima. La magistratura competente per questa corporazione erano gli Ufficiali della Giustizia Nuova che tutelavano sia l'arte che il consumatore.

Gli osti sceglievano il vino dai mercanti da vin e contrattavano il prezzo, poi con dei campioni per l’assaggio andavano dai Giustizieri. Se l’affare risultava conveniente per lo Stato, la magistratura lo acquistava direttamente dai mercanti da vin e lo vendeva a prezzo superiore agli osti, imponendo loro il prezzo al consumatore stabilito per legge.

Il vino proveniva sia dalle isole della laguna, sia dalla città stessa (vigne a San Francesco e a Cannaregio), che da territori italiani ed esteri. Il centro dove avveniva lo scarico e l'immagazzinamento del vino era Rialto lungo la riva che attualmente prende il nome da questo prodotto. C'erano poi anche dei mercati all'ingrosso in altre zone della città o la vendita poteva essere effettuata anche sulle barche (peateri).

236 Le prime notizie del caffè a Venezia risalgono alla fine del '500 mentre il primo locale inteso come luogo di vendita e ritrovo per il consumo di tale bevanda risale al 1683 in Piazza San Marco sotto le Procuratie Nuove

237 MARANGONI 1974, pp. 137-138-139-140

238 I bastioni erano locali più o meno grandi in cui si vendeva vino al minuto; c'erano poi anche samarchi o samarchetti che erano bettole di basso rango o le caneve che erano cantine o depositi di vino.

239 TIGLER 2000, p. 9 nota 13: Gli Osti sono scolpiti in altorilievo alla base della colonna del Todaro in Piazzetta San Marco

Le misurazioni e i recipienti per il vino erano i più svariati come capienza e qualità e dovevano avere il bollo di garanzia per evitare frodi. Per le grandi quantità c'erano botti ed anfore mentre per le piccole gotti (bicchieri) e boccali (che servivano anche per gli assaggi). Ovvio che, visti gli eccessi nel consumo di vino, c'erano molte leggi e ordinanze che regolavano i comportamenti e i rapporti tra avventori e osti. Nelle taverne era severamente proibito il gioco, era interdetto l'ingresso a ladri e alle meretrici (ma la danza e la piacevole compagnia delle popolane garantiva intrattenimento ai clienti). Inoltre questi ambienti diventarono anche luoghi di scambio di idee e veicolo di cultura tra intellettuali, politici, viaggiatori italiani e stranieri. Molte normative invece riguardavano la gestione e la vendita del prodotto sia all'ingrosso che al minuto (trasporto, conservazione, prezzi, controlli, contrabbando)240.

Fig. 2.109. (a sinistra) Interno di un'osteria (da URBAN 1989, p. 15)

Fig. 2.110. (a destra) Clienti presso l'Osteria “Alla Giusta” (da Grevembroch) (da URBAN 1989, p. 55)

2.5.4 Malvasiotti

Il vino commerciato a Venezia era di due tipologie “vino terragno” (proveniente dalla terraferma) e “vino navigato” (di importazione estera). A proposito di quest'ultima tipologia l'arte dei Malvasiotti si occupava della rivendita al dettaglio delle “malvasie” e di altri vini pregiati esteri (specialmente provenienti dalla parte centrale e orientale del Mar Mediterraneo), essi ebbero un propria sede nel 240 MARANGONI 1974, pp. 141-142-143-144 e GOTTARDO 1996, pp. 21-38-39

1572 ed il loro patrono era San Giovanni Battista. Gli esercizi di commercio dei malvasiotti erano molto diffusi in città e questo lo si evince anche dalla toponomastica attuale.

Fig. 2.111. F. Maggiotto e G. Volpato, La Mensa Paesana, acquaforte. Venezia, Museo Correr, Gabinetto disegni e stampe (da CAVAZZANA ROMANELLI 2006, fig. 5)

La frequentazione in termini di clientela di questi locali era più selezionata e raffinata rispetto alle normali osterie o taverne e il loro numero era limitato241; essi commerciavano dalla misura di un

secchio in giù e per legge era stabilita in 100 passi (173 metri) la distanza minima tra un'attività e un'altra242. Erano un sodalizio molto potente e ricco e le erano riconosciuti molti privilegi tra cui la

possibilità di vendere all'ingrosso ed avere l'egemonia sul “vino navigato”. Questa situazione, che poteva permanere grazie alle condizioni politiche del periodo medievale dove vigeva una tutela da parte dello Stato nei confronti delle corporazioni, provocò sempre più contrasti con i mercanti di vino levantini e con il cambiamento della politica economica della Serenissima a metà del '700 tale arte fu dapprima sciolta e poi ripristinata con diritti ridimensionati243.

2.5.5 Cameranti

Nel corso del Medioevo, Venezia ebbe una capacità ricettiva in termini di ospitalità che non era seconda nemmeno a Roma244. Di solito la città lagunare era tappa dei pellegrini verso la Terrasanta e

molti venivano ospitati in conventi o palazzi a seconda del proprio lignaggio. Lo sviluppo della capacità e della qualità ricettiva della città si sviluppò di concerto con la propria crescita economica 241 Arrivarono al numero di 56 e tale rimase fino alla fine della Serenissima

242 CALABI-GALEAZZO 2015, p. 169: un secchio come unità di misura era pari a circa 10,7 litri; questi vini provenienti dalla Spagna, dalla Sicilia, da Cipro e dalla Grecia erano e più costosi rispetto ai vini provenienti dalla terraferma

243 CAVAZZANA ROMANELLI 2006, pp. 402-404-408-409-410

e politica. La maggior parte delle osterie e locande erano concentrate a Rialto e San Marco e spesso appartenevano a patrizi, ad alcuni funzionari statali o a monasteri. A Venezia queste strutture ricettive non erano considerate meramente rivendite di vino bensì locali in cui si poteva ottenere vitto e alloggio (quindi erano a tutti gli effetti degli alberghi). Queste locande erano costituite in genere da un luogo al pian terreno (pepian) aperto al pubblico in cui veniva svolta la vendita del vino, la cucina e il luogo dove consumare i pasti (dove c'era anche la stufa d'inverno) mentre ai piani superiori c'erano le stanze da letto. Il governo sovrintendeva sull'apertura delle locande e forniva all'oste o albergatore la licenza per esercitare. La locanda era contraddistinta dall'insegna e i proprietari dovevano pagare allo Stato una tassa detta “dell'albergaria”. Tra le norme che regolavano questa attività c'era la tenuta di un registro delle presenze, il rispetto degli orari specie notturni ed il divieto di assumere donne di età inferiore ai 30 anni. In molti casi gli stranieri furono colpiti dall'ospitalità veneziana perché molti alberghi e locande erano molto curati nell'arredamento e raffinatezza degli ambienti245.

Fig. 2.112. (a sinistra) Vecchie insegne dell'Osteria alla Luna e al Sole (da GOTTARDO 1996, p. 37) Fig. 2.113. (a destra) Allegoria sugli osti in un'incisione (da GOTTARDO 1996, p. 40)

245 MARANGONI 1974, pp. 145-146-147-148-149-150, URBAN 1989, pp. 5-8-10-18 e CALABI-GALEAZZO 2015, pp. 213-214

2.5.6 Mercanti di Vino

La corporazione dei mercanti di vino ebbe la sua mariegola nel 1505 e chiunque poteva farne parte perché non era previsto dallo statuto alcun garzonato né tanto meno la figura del lavorante; bastava pagare una tassa di ingresso nell'arte. Essi non commerciavano il vino in botteghe246 ma avevano

degli stazi a San Marco e a Rialto (nell'attuale Riva del Vin) dove era consentita loro la vendita al dettaglio247 mentre quella all'ingrosso avveniva a San Luca e alla Giudecca248. Quest'arte era tenuta

sotto controllo da parte dello Stato attraverso la magistratura degli Offiziali al Dazio del Vin, che appunto riscuotevano l'imposta per conto del governo. Il prezzo del vino era calmierato ed era vietato annacquarlo o manipolarlo.

Inizialmente la corporazione si riuniva in assemblea presso la chiesa di San Silvestro ma verso la seconda parte del XVI secolo stabilirono la loro sede in un edificio costruito in adiacenza alla chiesa stessa. Lo stabile, che esiste tuttora, al piano terra aveva una sala che veniva usata come cappella della Chiesa di San Silvestro, mentre al primo piano c'era la Sala Capitolare decorata da numerose tele tra cui un soffitto attribuito a Gaspare Diziani. I patroni di quest'arte erano la SS. Croce e i Santi Girolamo e Giorgio, anche se secondo alcuni al posto di quest'ultimo c'era San Adriano.

Nel 1609 i mercanti di vino si unirono alla corporazione dei portatori e travasatori (che si radunavano nella chiesa di San Bartolomeo dove avevano un altare)249.

Fig. 2.114. Interno di una rivendita di vino (da URBAN 1989, p. 39 ) 246 Come invece facevano bastioneri, osti e malvasiotti

247 Esclusivamente in questi luoghi

248 Dove le botti venivano fatte rotolare dalla barca tramite assi di legno

249 INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, pp. 24-25, GRAMIGNA-PERISSA 1981, pp. 94-95 e ARTI E MESTIERI NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA 1980, p. 107

Fig. 2.115. Scuola dei Mercanti da Vin. Esterno (sopra) e interno della Sala Capitolare (sotto) (da GRAMIGNA- PERISSA 1981, p. 95)

Fig. 2.116. Mercanti di vino. Uno sta riempiendo di vino una brocca mentre un cliente effettua un assaggio; sullo sfondo due garzoni trasportano un recipiente di vino. Arcone dei mestieri, Portale maggiore della Basilica di San Marco (da TIGLER 1995, p. 564)

2.6. SAPONE