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CAPITOLO 2. ARTI E MESTIERI ATTRAVERSO LE FONTI BIBLIOGRAFICHE E

2.2 ARTE DEI METALLI PREZIOSI

2.2.2 L'arte degli Oresi (Orefici)

La presenza degli orefici a Venezia è documentata sin dall'inizio dell'XI secolo ma solo nel '300 si unirono ai “giogielieri” e ai “diamanteri”. La corporazione degli orefici ottenne il riconoscimento giuridico dallo stato veneziano nel 1233 con conseguente ratificazione del capitolare da parte delle magistrature competenti. Il fatto che l'arte degli Orefici sia rappresentata nel capitello dedicato ai mestieri sul porticato inferiore di Palazzo Ducale, ci dà un'idea dell'importanza di tale corporazione nel panorama delle Arti riconosciute e disciplinate dalla Serenissima, infatti in alcune manifestazioni pubbliche civili e religiose aveva sempre posizioni di grande prestigio143.

Nel 1331, al fine di rendere più agevole la sorveglianza sull'arte, venne deliberato che gli “oresi” potessero avere bottega solo nella zona di Rialto (nella Ruga che ne porta attualmente il nome), e nella Spadaria di S. Marco144; l'unica eccezione era un solo negozio per sestiere a servizio e

comodità del popolo ma in seguito si diffusero in tutta la città.

A Venezia, per quanto riguarda i metalli preziosi che arrivavano in città, una determinata quantità “era, per legge, destinata allo Stato (nei secoli XIV-XV corrispondeva a circa ¼ del totale)”145, la

quantità rimanente, dopo alcuni pareri di competenza da parte degli esperti della Zecca, poteva essere venduto a privati. Quest'arte dipendeva in primis dal “Consiglio dei X” e poi da altre magistrature specifiche (per la sorveglianza tecnica riguardante la buona qualità delle materie prime e del prodotto finito dipendeva dalle “Magistrature della Zecca”). Il sigillo di qualità del prodotto finito era San Marco in forma di leone in “moleca”, accanto al sigillo dell'artista.

142 MANNO 1995, p. 81 143 BOSISIO 1963, pp. 5-6

144 Dove sembra probabile ipotizzare vi fossero botteghe per la decorazione di tali armi bianche 145 ARTI E MESTIERI IN VENEZIA 1991, p. 45

Dal punto di vista dei controlli interni alla corporazione, a partire dal 1516, sedici confratelli a ciò deputati (toccadori), ogni settimana scambievolmente svolgevano delle visite alle botteghe, testando a campione oro e argento, per constatare la regolarità delle bollature e reprimere le frodi.

Fig. 2.68. Insegna degli Oresi, probabilmente risalente al XVII sec.. Rispetto allo schema rappresentativo presente in molte insegne di Arti, questa risulta piuttosto anomala perché non riporta gli stemmi delle Magistrature e nemmeno la raffigurazione delle fasi lavorative del mestiere ma solo l'immagine di Sant'Antonio Abate, protettore dell'Arte, con oggetti prodotti dagli orefici, quali candelabri, aspersori, piatti, posate, fibbie e gioielli. (LE INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, p. 65)

Fig. 2.69. XXI Capitello del colonnato inferiore di Palazzo Ducale. AURIFICES, l'orafo, vestito in giubba e con la testa coperta da un copricapo tipico dell'epoca. Con un martello lavora una lastra per trarne un oggetto prezioso.

La corporazione degli orefici e dei gioiellieri era formata da artigiani che potevano realizzare una molteplicità di manufatti. Il garzonato (a cui potevano accedere apprendisti dai 7 ai 18 anni in genere veneziani ma anche sudditi della Terraferma e anche forestieri, visto che si trattava di un'arte “aperta”) durava da quattro a cinque anni dopodiché l'artigiano diventava direttamente lavorante e dopo altri due anni, se voleva passare al grado di capomastro, doveva superare delle prove in base alla specializzazione: la prova era molto selettiva e, se aveva esito positivo, ci si poteva fregiare del titolo di capomaestro (senza il quale non era permesso aprire bottega in nessuna parte della città e nemmeno lavorare autonomamente in privato)146.

Per entrare a far parte della corporazione era anche obbligatorio dimostrare di essere capaci nel valutare la qualità della lega in oro e argento delle verghe semilavorate.

Il mestiere dell'orafo era inoltre vietato agli ebrei ai quali era interdetto il commercio di ori, argenti e gemme, come pure a qualunque privato che intendeva farlo in Ghetto. L'attività era remunerativa e la scuola degli oresi era annoverata fra le più ricche della città: la produzione era molto fiorente sia per l'esportazione sia per il consumo interno.

L'organizzazione interna della corporazione si componeva di quattro specializzazioni:

gli oresi propriamente detti, cioè argentieri e orefici, i diamanteri da duro per il taglio e la lavorazione dei diamanti, i diamanteri da tenero per le altre pietre preziose, i ligadori da falso per oro e argento di bassa lega e pietre dure ed infine i gioiellieri anche se c'erano numerose varietà di lavorazioni ed ognuna aveva una prova specifica per diventare capomaestro147.

“La lavorazione degli metalli preziosi per la produzione di oggetti di oreficeria comprendeva tre 146 BOSISIO 1963, p.7 e ARTI E MESTIERI IN VENEZIA 1991, p. 45

operazioni fondamentali: 1) predisposizione del metallo (cioè la riduzione del metallo sotto forma di verghe, lamiere, fili mediante la fusione, il getto e la laminazione); 2) produzione degli oggetti; 3) rifinitura; i metalli usati sono oro, argento, platino. Se il platino viene usato puro, l'oro e l'argento vengono generalmente lavorati in unione con altri metalli a causa della loro eccessiva duttilità”148.

Fig. 2.70. Laboratorio di oreficeria del XVI secolo: si noti la presenza di numerosi crogioli e di forni appositi per fondere il metallo (da AGRICOLA 1556) (BRUNELLO 1981, Fig. 11)

Come ricordato in precedenza, di chiara e tipica fattura veneziana, sono i “manini” che anticamente erano detti “entrecosei” (catenelle composte da minuscoli anelli in oro zecchino), la decorazione a filigrana (“opus veneciarum” o “opus veneticum”), oggetti lavorati con la tecnica dell'agemina149 e

anche la lavorazione dei diamanti.

L'oreficeria veneziana, specie nel Rinascimento, ebbe una grande fioritura anche grazie alle esportazioni; i suoi prodotti, seppur molto diffusi, erano in contrasto con le innumerevoli leggi 148 LE INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, p. 64

149 La tecnica dell'agemina, di derivazione persiana, consiste nell'incastro di piccole parti di uno o più metalli di vario colore, in sedi appositamente scavate su un oggetto di metallo diverso preventivamente preparato (in genere oro su argento), per ottenere una decorazione policroma.

contro il lusso emanate dai provveditori alle pompe. Verso la fine del XVII secolo e maggiormente all'inizio del secolo successivo, l'arte orafa a Venezia comincia la sua decadenza a causa dell'emigrazione di artigiani non solo nelle città suddite della Serenissima ma anche all'estero con conseguente calo della qualità dell'artigianato: grazie all'intervento dello Stato, ci fu la ripresa della raffinatezza dei lavori che ristabilirono il primato dell'oreficeria veneziana150.

La corporazione degli oresi (orefici) tenne inizialmente le adunanze nella chiesa di San Salvador, poi in quella di San Giovanni Elemosinario, dove potevano essere seppelliti i suoi affiliati e avevano eretto un altare. Successivamente, dopo i restauri del 1601 della chiesa di San Giacomo di Rialto151, l'altare della Scuola degli Oresi, dedicato a S. Antonio Abate, venne collocato al suo

interno. “La colonna a destra dell'altare reca incise le due date 1599 - 1955 con la scritta «Nobilis aurificum et argentariorum ARS»”152. Il diritto di sepolcro ai confratelli venne accordato nel 1601 in

occasione dei restauri.

Fig. 2.71. Veduta della facciata della Chiesa di San Giacomo di Rialto (da un'antica incisione). (BOSISIO 1963, p. 9) A differenza di tante altre arti, la scuola degli orafi ottenne tardi una sua propria sede: fino a tutto il secolo XVIII le adunanze si tenevano in locali chiesti a prestito ad altre corporazioni, finché nel 1696, durante un capitolo, venne deciso che l'arte doveva dotarsi di una sede. Vennero raccolti i fondi che consentirono l'acquisto di un fabbricato con una sala capitolare in campo Rialto Novo (presso il civico 554) dietro la chiesa di San Giovanni Elemosinario. Lo stabile venne ampliato ed 150 BOSISIO 1963, p. 8

151 La chiesa di San Giacomo si dice che risalga al V secolo d.C. ma venne ricostruita nella forma attuale tra il 1071 e il 1084. Tra il 1600 e il 1601 si avviò un radicale restauro per ordine dello Stato e in quell'occasione venne collocato al suo interno l'altare della Scuola degli Oresi

elevato e venne reso accessibile attraverso un ampio portale d'ingresso: sulla lunetta di ferro battuto di tale accesso si leggono le lettere S.O., che sono ripetute intrecciate anche sulle inferriate dei finestroni del piano superiore. Con l'invasione napoleonica la corporazione venne sciolta, l'edificio confiscato ma non distrutto: attualmente nel salone superiore è ospitato un ufficio dell'ex Magistrato alle Acque153.

Fig. 2.72. Chiesa di San Giacomo di Rialto: Statua di San Antonio abate sull'altare dell'arte. (BOSISIO 1963, p. 10)