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CAPITOLO 2. ARTI E MESTIERI ATTRAVERSO LE FONTI BIBLIOGRAFICHE E

2.9 TESSUTI

2.9.9 La tintura

L'arte tintoria in epoca antica ha avuto delle importanti innovazioni grazie all'apporto prima dei Bizantini e poi degli Arabi397. In Europa nel primo Medioevo si cercò trascrivere le ricette per

ottenere molte tipologie di colorazioni in opere di carattere tecnologico inerenti a questa lavorazione398. Fino al XII secolo però l'ammaestramento degli apprendisti artigiani non avveniva

mediante manoscritti ma ancora per trasmissione orale.

Dunque l'arte tintoria in questo periodo trova fondamento in primis su un patrimonio di cultura tecnica parzialmente proveniente dal passato e un reciproco scambio di nozioni tecniche tra artigiani che portarono ad un arricchimento dei processi e all'introduzione di nuove materie coloranti.

Alla fine del X secolo si svilupparono in Italia molte industrie seriche che portarono ad una diffusione dei processi di tessitura e tintura; questo processo si ampliò ulteriormente con le Crociate e i commerci stimolati dalle Repubbliche Marinare che portarono nella penisola grandi quantità di seta e molte sostanze propedeutiche alla sua colorazione. In questo panorama di grande fervore di questa arte era inevitabile che si affinassero le pratiche di tintura.

Nel XIII secolo erano molti i centri lanieri in Italia e in molte città era fiorente l'arte della seta: questa situazione portò la tintura ad avere un ruolo importante e i tintori italiani ad essere considerati i migliori399.

Nel contesto veneziano la tintura delle stoffe aveva una tradizione antichissima: il primo statuto risale infatti al 1243400 ed è uno dei più antichi regolamenti autonomi di una professione giunto fino

a noi. L'arte dei tintori divenne molto fiorente perché serviva sia per la seta che per la lana che nel '400 ebbero una grandissimo sviluppo401.

Un altro regolamento sulla tintura è lo Statuto dei Tintori di Lucca del 1255 in cui si notano numerose analogie con quello dei tintori veneziani e questo può far supporre che ci dovesse essere uno scambio di notizie e confronti tra i tintori delle varie città.

Come descritto precedentemente a causa di contrasti intestini nella città di Lucca, molti tintori emigrarono verso alcune città italiane, tra cui anche Venezia che ne trasse un cospicuo vantaggio402.

397 Infatti alcuni nomi di tessuti (per esempio baldacchina e damasco) e di sostanze coloranti (zafferano e kermes) hanno origine araba

398 L'arte della tintura è stata sempre connessa a quella della pittura perché le sostanze coloranti venivano utilizzate per dipingere e per decorare anche i manoscritti

399 BRUNELLO 1968, pp. 127-139

400 Che poi fu completamente riformato nel 1305 ed in cui viene citato l'indaco esotico come colorante per tingere di turchino le materie tessili

401 ARTI E MESTIERI NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA 1980, p. 33, INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, p. 44 e MANNO 1995, p. 67 e DAVANZO POLI 1988, p. 55: le sostanze utilizzate per la tintura dei panni potevano essere di natura animale o vegetale ed erano tutte accuratamente descritte nella mariegola dell'arte e tra queste c'era anche il "chermes” (che permetteva di ottenere il famoso rosso veneziano)

A Venezia i tintori venivano suddivisi in tintori dell'arte minore o comuni o tintori dell'arte maggiore. Alle categorie inferiori appartenevano quelli che tingevano in nero e in colori semplici e opachi come bruni e grigi mentre nelle categorie superiori si trovavano gli abili tintori di robbia, di guado, di kermes403 o di altri coloranti vivaci e di difficile applicazione404. Con l'era moderna si

cominciarono ad utilizzare macine mosse da cavalli o dalla forza idraulica o dal vento, per polverizzare il guado405 o le materie vegetali contenenti tannino406.

Di questo periodo particolarmente importante come trattato il "Plitcho de l'arte dei Tintori" di Giovanventura Rosetti407, stampato a Venezia nel 1540.

Il Plitcho è suddiviso in 4 parti di cui le prime due riguardavano principalmente le procedure di tintura della lana, del cotone e del lino in filato e in tessuto. La terza era inerente la tintura della seta e l'ultima la tintura del cuoio e delle pelli.

Le ricette sono molto dettagliate e suggeriscono per esempio per la tintura del colore rosso su lino e cotone di utilizzare il legno brasil o verzino mentre per la lana e la seta le più adoperate erano il kermes o la robbia. Per quanto riguarda invece l'azzurro si utilizzava il guado408 e l'indaco, per il

nero c'erano molte ricette basate su combinazioni di sali di ferro con l’acido tannico contenuto nella corteccia di molti alberi (castagno, leccio, faggio, quercia comune) oppure nelle noci di galla o nel sommaco. I gialli erano fatti con l'erba gualda (Reseda) o con varie tipologie di ginestra o dallo zafferano409.

Come detto in precedenza mediante la robbia410 si otteneva una colorazione rossa che però era

piuttosto opaca mentre invece, se si voleva ottenere un rosso brillante, bisognava utilizzare la cocciniglia che veniva ricavata da un insetto originario del Messico oppure un rosso molto apprezzato, più tendente al porpora, estratto dal tegumento delle murici411 appartenenti ai

gasteropodi marini, che si pescavano appunto nei pressi delle coste libanesi.

403 Il Chermes è detto vermeio "piccolo verme" ed i Veneziani conoscevano un particolare modo di produrre questo colore scarlatto mordenzandolo mediante allume e tartaro.

404 BRUNELLO 1968, p. 155

405 Il guado è una pianta da cui si ricava la colorazione blu. Il colorante si estrae dalle foglie di questa pianta raccolte durante il primo anno di vita. Dopo macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione giallo verde che agitata e ossidata produce un precipitato. Il colorante è molto solido ed era utilizzato nella tintura di molti tessuti. 406 BRUNELLO 1968, pp. 178

407 Rosetti era un "provisionato" della Serenissima ed aveva lavorato all'approvvigionamento delle materie prime all'interno dell'Arsenale, da cui la sua esperienza e competenza nel ramo delle materie coloranti e del loro impiego. 408 Come detto in precedenza il guado con la quale è possibile ottenere una ricca gradazione di azzurri. Per ottenere

alcuni colori è necessario fare prima un bagno di colore che conferisce alle fibre tessili un sottofondo di colore prima di immergerle in un ulteriore bagno per l’ottenimento del colore definitivo.

409 BRUNELLO 1968, pp. 185-193

410 La robbia invece era ricavata dalle radici di una pianta che, una volta essiccate, ridotte in polvere e sciolte in acqua, davano una soluzione capace di tingere le fibre tessili in un bel rosso.

411 Da questa famiglia di molluschi si ricava la porpora reale, secreta da una ghiandola, dal colore violaceo che veniva utilizzata per la colorazione delle stoffe

Fig. 2.161. Frontespizio del "Plictho" di Giovanventura Rosetti, Venezia 1548. (da BRUNELLO 1981, fig. 53)

Fig. 2.162. (a sinistra) Pagina del "Plictho" che ritrae tintori di panni che stanno preparando le matasse di lana e le stanno inserendo in un tino di legno.

Per colorare in giallo carico le fibre tessili veniva anche utilizzato lo scotano, sostanza colorante ricavata da legno e foglie. L’oricella infine, per descrivere brevemente i più comuni, era tratta da un lichene del bacino mediterraneo che, fatto fermentare in un bagno di urina, assumeva un colore violetto carico, degradabile a paonazzo se veniva trattata con robbia.

Ritornando alla opere concernenti l'arte della tintoria, un altro importante trattato in ambito veneziano è il "Nuovo Plico d'ogni sorta di tinture" di Gallipido Tallier del 1704 che però non differisce molto dai precedenti trattati412.

Un'opera più tarda (1741) ma sicuramente interessante è "L'arte della tintura delle lane e de' drappi di lana in grande e picciola tinta" di Jean Hellot. Egli infatti nelle pagine iniziali definisce le caratteristiche del luogo e degli strumenti per eseguire la tintura.

Egli sostiene che in primis il luogo dove si svolgono queste lavorazioni dovrà essere luminoso e spazioso e dovrà essere vicino ad acqua corrente per lavare i tessuti o le matasse prima e dopo la tintura. Il pavimento dell'ambiente dovrà essere in malta e dovrà essere servito da un sistema di condotti con buona pendenza al fine di far scolare le acque o i residui in grande quantità.

Dovranno essere presenti, oltre alle caldaie, anche dei tini in un certo numero per ognuna delle colorazioni che si andranno ad eseguire. Questi recipienti dovranno avere pareti in doghe di legno e dovranno essere opportunamente cerchiati mentre il fondo sarà il pavimento in malta e non in legno. Le matasse verranno inserite nel tino mediante delle reti al fine di non farle cadere sul fondo e verranno movimentate mediante uncini con manico in legno mentre per mescolarle si utilizzerà il rabbio413. Egli descrive poi un'altra tipologia di tino in questo caso di metallo (solitamente rame) di

forma leggermente tronco-conica attorno al quale viene costruita una muratura cilindrica rivestita esternamente di malta e rimane uno spazio tra il fondo del tino e il pavimento in cui si inseriscono le braci. Questo sistema avrà una apertura nella muratura per inserire il combustibile e un camino con o senza cappa che permetta di regolare l'intensità del fuoco. Poi si utilizzeranno vari metodi tra cui il tornio per far sì che le matasse o i tessuti siano tinte uniformemente. Infine nella sua descrizione Hellot cita altri utensili ausiliari alle lavorazioni delle tinture tra cui si ricordano secchi, barili, coperchi, tinelli, ed infine la cazza414 grande di rame o di legno e sessole o scodelle per

svuotare i tini una volta completate le operazioni415. Il metodo quindi di applicazione del colorante

naturale è generalmente, come anche descritto da Hellot, la tintura al tino: questo processo richiede un tipo di colorante a forte tonalità e stabile, ossia resistente al lavaggio e all’esposizione alla luce, in modo che il colore non stinga e sia garantita la buona qualità del prodotto.

412 BRUNELLO 1968, p. 210

413 Strumento per la mescolatura della miscela nel tino composto da una tavola di forma semicircolare dotata di bastone di legno come impugnatura

414 Un specie di grande cucchiaio in rame (o di legno) con manico di legno che aveva una capacità di 8-10 pinte 415 HELLOT 1741, pp. 1-13

A seconda del tipo di fibra e del colorante usato, in alcuni casi prima di tingere bisogna preparare i tessuti mediante la mordenzatura che rende solubile in acqua il colorante facendolo penetrare tenacemente nelle fibre. Per stabilizzare i pigmenti sulla stoffa è necessario adoperare dei

"mordenti" efficaci, la qualità della tintura dipende infatti dalla bontà dei fissanti adoperati.

I mordenti erano di solito dei composti di origine vegetale e si distinguevano in due gruppi a seconda della sostanza di base: mordenti tanninici (ricchi di tannino, composti del fenolo) e mordenti potassici (ricchi di potassio, metallo alcalino bianco-argenteo che reagiscono violentemente con l’acqua). Nei mordenti utilizzati a Venezia vi erano anche sali come il borace, l'allume, il sale ammonico e il tartaro416: tutte sostanze che arrivavano allo stato grezzo dall'Oriente

e venivano raffinate per poi essere utilizzate o esportate in tutta Europa417.

Tra i sali utilizzati allume e tartaro erano mordenti che non solo facilitavano la penetrazione del colore bensì anche lo ravvivavano. Nel trattamento preliminare alla colorazione della seta veniva eseguita, per una migliore solidità della colorazione, l'alluminatura di tale tessuto per alcune ore a freddo e per poi passare alla tintura.

Dopo un bagno nella sostanza mordente, le materie tessili passavano al bagno colore. A volte il bagno colore non si esauriva con la prima immersione e poteva essere usato come bagno di recupero per successive tinture, che risultavano più chiare. Il materiale tessile viene immerso nel colorante portato gradualmente al punto d’ebollizione e agitato in continuazione, per facilitare la penetrazione completa nel tessuto.

La difficoltà principale nella tintura di filati e tessuti misti è quella di ottenere la stessa gradazione di colore su ogni tipo di fibra: le fibre di cotone, ad esempio, assorbono il colore rapidamente, mentre quelle di lana, se si vuole raggiungere la medesima intensità del colore, hanno bisogno di un tempo di bollitura molto più lungo, che potrebbe addirittura danneggiarle. Seguiva poi un accurato risciacquo mediante acqua dolce418 e l'asciugatura che avveniva mediante strutture in legno o corde

su appositi spazi all'aperto o coperti (chiovere)419.

Le tintorie, in alcuni casi a causa delle sostanze utilizzate, potevano emanare odore cattivo pertanto tendevano spesso ad essere collocate ai margini della città e soprattutto il più vicino possibile a corsi d'acqua o al mare dove era possibile scaricare i liquami di scarto420.

416 Veniva utilizzata anche la cosiddetta "trementina veneziana" che invece era una resina naturale estratta dal larice 417 BRUNELLO 1968, p. 189

418 Che doveva essere raccolta in cisterne

419 ARTI E MESTIERI NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA 1980, p. 33 e INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, p. 44

420 Nel caso di Venezia infatti alcune zone come quella di San Girolamo a Cannaregio, di San Simeon Grande e dell’Angelo Raffaele erano ai margini della città ed risultavano facili i collegamenti con la terraferma

Fig. 2.164.Tintoria dei tessuti alla fine del XV secolo. Si può notare come questa operazione avvenisse in grandi recipienti metallici che venivano collocati sul fuoco ed alcuni garzoni mescolassero la soluzione affinché ogni parte del tessuto venisse tinta (da BRUNELLO 1981, Fig. 52)

2.9.9.1 L'Arte dei Tintori di Panni

La corporazione dei tentori era suddivisa in tre categorie principali: di tele, di fustagni e di sete. I tentori di solito si organizzavano in società condividendo capitali ed erano proprietari delle attrezzature che servivano per il lavoro. Come un po' in tutti i mestieri, ma in particolar modo in questo, le ricette per la colorazione dei tessuti o pelli erano particolarmente importanti e quindi c'era gran riserbo su queste formule. I maestri di questa corporazione si impegnavano a svolgere il loro lavoro secondo le regole prescritte nella mariegola dell'arte e di restituire quanto ricevuto ai possessori dei tessuti. Dei sovrintendenti nominati dalla corporazione facevano sopralluoghi a verifica della qualità dei coloranti utilizzati. Come ricordato in precedenza, all'inizio del XIV secolo alcune famiglie guelfe di Lucca si rifugiarono a Venezia e si insediarono nelle zone di San Canciano, Santi Apostoli e San Giovanni Grisostomo dove nella chiesa omonima avevano un altare. La chiesa di riferimento dei tentori veneziani invece era San Simeon Piccolo (SS. Simeone e Taddeo). Successivamente, nel 1581, essi si trasferirono nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Cannaregio nei pressi della quale avevano anche una propria sede, che venne demolita a fine '700. Il loro patrono era Sant'Onofrio421.

Fig. 2.165. Insegna dell'arte dei Tintori di panni. Questa tavola, divisa in tre settori, rappresenta i diversi momenti del procedimento di tintura delle stoffe e dei trattamenti preliminari di preparazione alla colorazione per tessuti o matasse (da DAVANZO POLI 1988, p. 174)