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CAPITOLO 2. ARTI E MESTIERI ATTRAVERSO LE FONTI BIBLIOGRAFICHE E

2.8 PELLI E PELLICCE

2.8.2 L'Arte degli Scorzeri e dei Conciapelle

Nel caso specifico di Venezia, il governo della città lagunare, verso metà del '200, stipulò accordi economici con alcuni sovrani orientali ed iniziò un traffico di pelli e pellicce che venivano conciate alla Giudecca e vendute a Rialto, in Ruga de le Pellizzerie. A Venezia la lavorazione delle pelli era molto importante perché legata alla moda; venivano importate pellicce anche da paesi molto lontani (Russia, Egitto). Oltre all'introduzione del dazio sulle pelli del 1261, venne emanata nel 1271 la mariegola della corporazione dei "conzacurami" che, concepita in articoli, oltre a norme generali, regolava anche l'etica professionale di questo mestiere321. Il mercato delle pelli era in un primo

tempo "controllato dai «Beccheri» (macellai), che fornivano parte della materia prima di base e dai conciatori, che la lavoravano nei loro laboratori della Giudecca322. I conciatori erano di due

tipologie: i "conzacurami" che si occupavano della concia delle pelli riservate alla produzione di scarpe, stivali, ecc... mentre gli "scorzeri" si occupavano delle pelli destinate alla fabbricazione delle suole323. Queste corporazioni inizialmente producevano e vendevano le pelli conciate ma con

il passare del tempo alcuni commercianti (cordoani324) presero il controllo del mercato della pelle a

Venezia emarginando le due categorie a mansioni solamente di tipo artigianale325. In questa

corporazione vi erano delle regole molto particolari: infatti l'età minima per l'ammissione all'arte era di 13 anni e dopo due anni il garzone che aveva regolarmente svolto il proprio tirocinio poteva diventare maestro (svolgendo l'opportuna prova d'arte). Questo era vero nel caso dei veneziani mentre nel caso di stranieri era necessario un tirocinio di 4 anni e il pagamento di una somma di denaro in garanzia. "Le pelli sottoposte a lavorazione per ottenere il cuoio erano di montone e di capretto, vi era il divieto di usare pelli di cavallo e di asino"326, "per la fabbricazione di scarpe,

319 Erano dei cuoi sagomati, impressi, dorati e dipinti, che servivano da tappezzeria sulle pareti, o per fabbricare paliotti (che erano i pannelli decorativi di rivestimento della parte anteriore dell'altare).

320 SINGER e al. 1993, Vol. 2, Tomo I, pp. 154-188 321 BASALDELLA 2005, p. 15

322 NIERO 2015, pp. 84-129 e NIERO-SPAGNOL 2008, pp. 1-30: Sull'origine del toponimo "Giudecca" ci sono diverse teorie: la prima è quella che derivida "giudeo" e che ci fosse il primo nucleo di presenza ebraica a Venezia (gli ebrei, infatti, prima della creazione del Ghetto, potevano abitare ovunque nella città lagunare); un'altra teoria sostiene che il toponimo derivi da "zudegà" (dal veneziano antico giudicato) in riferimento al fatto che, nel IX secolo, il governo aveva concesso alcuni terreni a delle famiglie danneggiate durante l'esilio al quale erano state ingiustamente condannate; infine l'ultimo toponimo avvicina Giudecca all'attività dei conciatori di pelle i quali utilizzavano alcune sostanze naturali derivate da arbusti o sterpaglie che in Veneto erano chiamati zuèc o zueccam o simili mentre in Istria è frequente il termine Zudeca riferendosi a luoghi in cui si conciavano le pelli.

323 VIANELLO 1993, p. 48

324 Erano probabilmente ebrei di origine spagnola e provenienti dalla città di Cordoba 325 VIANELLO 1993, pp. 48-49

stivali, stivaletti, valigie, cinture, cuscini, rilegature di libri, ecc., venivano per lo più impiegate pelli di vacchetta"327. L'isola della Giudecca divenne non solo il luogo ideale in cui proliferarono le

"scortegarie"328 o "scorserie", ma vi si effettuava anche la macellazione degli animali. Questa

vicinanza di lavorazioni connesse tra di loro permetteva di evitare il processo di putrefazione della pelle e, sottoponendola a lavorazione conciaria il prima possibile, di conservarne la qualità.

Fig. 2.134. Insegna dell'arte degli Scorzeri. Nella rappresentazione, oltre alla fascia superiore in cui sono raffigurati gli stemmi della Magistrature e il leone di San Marco al centro, nella fascia inferiore sono rappresentati tre scorzeri: due stanno levigando la pelle con apposito raschietto mentre il terzo si trova all'interno di un tino che sta dosando delle sostanze da inserire nel bagno in cui inserire le pelli (da ARTI E MESTIERI NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA 1980, p. 26 e da LE INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, pp. 33)

Come già detto i conzacurami compravano le pelli dai beccheri, ma solo quelle scuoiate a mano: si pensava infatti che queste ultime fossero più morbide di quelle scuoiate con il coltello.

La procedura della concia329 quindi consisteva nel rendere le pelli animali resistenti all'umidità e

non attaccabili da batteri che potevano farle marcire. Prima di questa operazione le pelli venivano pulite (tagliando anche le parti da scartare) e sgrassate tendendole su dei telai e passando una lama per raschiarle in profondità330. Dopo questa prima fase le pelli venivano immerse nei liquidi

327 BASALDELLA 2005, p. 15

328 Erano dei luoghi adibiti alla concia delle pelli secondo alcune definizioni ma con tale termine si intendevano anche luoghi in cui venivano ammazzati e scorticati animali da macello (tutte lavorazioni che comunque avvenivano alla Giudecca)

329 La concia è un trattamento a cui vengono sottoposte le pelli al fine di conservarle e lavorarle. Subito dopo l'abbattimento dell'animale, infatti, iniziano i processi di degradazione dei tessuti fino ad arrivare alla putrefazione (con conseguente perdita delle qualità della pelle). Il processo conciario è piuttosto lungo e complesso. È sostanzialmente un processo chimico costituito da più fasi successive intervallate da operazioni meccaniche. La procedura di concia è rimasta praticamente invariata dal Medioevo fino a metà Ottocento, con l'uso quasi soltanto di acqua, calce, tannini vegetali e grassi animali (solo piccole quantità di pelli erano conciate con allume, cioè un sale di alluminio, ottenendo un cuoio bianco ma non resistente all'acqua) e tanta attività manuale (dal sito www.treccani.it).

concianti; alcuni garzoni, appositamente formati e con grande esperienza, sceglievano l'allume di rocca331, sostanza base per quanto riguardava tutte le operazioni di concia, o delle soluzioni

tanniniche332, di origine vegetale ricavate dalle foglie di sommaco o dalle cortecce degli alberi di

rovere o di quercia333. Con il passare del tempo, l'attività dei conciapelli subì un'evoluzione con

l'introduzione di un nuovo metodo (oltre a quello già presente), che prevedeva l'utilizzo di una sostanza chiamata "Valonia334" ricavata dalle ghiande del cerro importate dalle isole greche: questa

materia aveva la proprietà di accrescere la forza delle fibre del cuoio riunendole, increspandole, restringendole; il cuoio così ottenuto veniva poi venduto a diverse altre corporazioni per le quali era materia prima. In fase di lavorazione del pellame era proibito l'utilizzo dell'acqua salata perché il sale rendeva più dura la pelle che doveva essere conciata335.

Fig. 2.135. Insegna dell'arte dei Conzacurami. Dalla rappresentazione si può capire che l'arte del conzacurami avveniva sia in ambiente interno che all'aperto. Sono rappresentate varie fasi delle lavorazioni sulle pelli e all'interno dell'ambiente chiuso si possono notare gli stemmi delle Magistrature competenti. (da LE INSEGNE DELLE ARTI VENEZIANE AL MUSEO CORRER 1982, pp. 35)

conciate.

331 E' un sale misto di alluminio e potassio dell'acido solforico e a temperatura ambiente si presenta come un solido incolore ed inodore. Sin dall'antichità era usato in numerose attività produttive e in vari settori. Nel settore tessile era usato come fissante per colori, il suo uso era quindi basilare nella tintura specie della lana, nella realizzazione delle miniature su pergamena e nella concia delle pelli (dal sito www.treccani.it).

332 Il tannino è una classe di composti contenuti in diverse piante con proprietà analoghe a quelle dell’acido tannico, solubili in acqua, di sapore astringente, capaci di precipitare i sali dei metalli pesanti, gli alcaloidi e le proteine. Per questo posseggono proprietà concianti per le pelli animali in quanto reagiscono col collagene e con le altre proteine rendendo il prodotto non putrescibile. Trovano inoltre impiego anche nella tintura e nella stampa dei tessuti e nella preparazione di lacche e inchiostri. Il composto si trova nei legni, nelle cortecce, nei frutti e rizomi (dal sito www.treccani.it).

333 I bagni residui della concia del cuoio (come già detto, le soluzioni al tannino) venivano utilizzati anche da parte dell'arte dei tintori.

334 La "Valonia" o "Valonea" è una pianta arborea della famiglia fagacee (conosciuta come "cerro"), alta una quindicina di metri, originaria della penisola balcanica e della penisola anatolica, molto rara in Italia, dove si trova, spontanea, solo in Puglia; i suoi frutti, cioè le cupole a squame arricciate che rivestono le ghiande, erano usate in passato nella concia delle pelli, per la notevole quantità di tannino che contengono (dal sito www.treccani.it).

Gli scorzeri oltre alla lavorazione del cuoio e delle pellicce, producevano anche la pergamena; quest'ultima subiva un trattamento diverso rispetto alla concia cioè una disidratazione e essiccamento su telaio della pelle di agnello (numerosi bagni di calce ed essiccamenti e raschiamenti successivi portavano ad ottenere dei fogli sottili). La pergamena ebbe importanza per un certo periodo fino al XII-XIII secolo poi fu sostituita sempre più dalla carta e restò in uso solamente in certe situazioni per breve tempo solo per documenti particolarmente importanti. Il controllo sulle operazioni di concia da parte delle istituzioni era piuttosto ferreo: se da un lato lo Stato contribuiva a garantire alle concerie sempre una quantità sufficiente di acqua dolce (indispensabile per le operazioni), dall'altro emanò delle norme per la salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica perché le sostanze utilizzate dai conciatori erano molto inquinanti (al fine di evitare la contaminazione delle acque). Non a caso il luogo di queste lavorazioni erano da svolgere esclusivamente nella parte occidentale dell'isola della Giudecca, un luogo periferico che era comunque vicino alla città ed era soggetto ad un buon ricambio delle acque. Nel 1460 venne costruito in zona Rialto uno stabile per la custodia delle pelli provenienti dalla Giudecca (il fondaco dei curami) all'interno del quale venivano effettuate anche le vendite del cuoio proveniente dall'estero (solo a prezzi calmierati o in caso di insufficienza produttiva da parte delle concerie giudecchine).

Fig. 2.136. Arte conciaria. Dal "Dizionario delle Arti e dei Mestieri" di F. Griselini. Venezia 1769-1778 (da BASALDELLA 2005, p. 22)

L'attività dei conciapelli è rimasta, specie a Rialto dove ne avveniva il commercio, anche nella toponomastica: Calle del Fontego del Curame, la Calle dei Voroteri (cioe conciatori della pelle di vajo). Nella chiesa parrocchiale di Santa Eufemia, si trova l'altare della Scuola dei "Scorseri", dedicato a Sant'Andrea loro protettore mentre la Scuola dei "Curameri" invece era sotto la

protezione delle quattro sante vergini, martiri di Aquileia e titolari della Chiesa stessa: Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma336 ma la loro sede era presso la chiesa dei SS. Biagio e Cataldo della

Giudecca (dove ora sorge il Mulino Stucky).

Fig. 2.137. Chiesa di Sant'Eufemia. Il portico dorico è proveniente da San Biagio e Cataldo (da BASALDELLA 2005, p. 25)

L'utilizzo del cuoio era molto diffuso a Venezia specie nell'arredo della casa (cuori d'oro), per armamenti (elmi, scudi) o nello spettacolo (maschere). C'era inoltre la consuetudine di proteggere gli oggetti mediante astucci di diverse fogge e ornati in maniera molto varia e raffinata (questo specie nel XVII-XVIII secolo). Le pelli sottili (vaio, ermellino, volpe, lupo, camoscio, orso ed altre) erano utilizzate per arricchire gli abiti di uomini e donne nonché le "toghe" di magistrati e nobili. Nel corso dei secoli la presenza della pelliccia ad impreziosire l'indumento è sempre stato segno di grande raffinatezza e pregio e contro l'ostentazione di questa ricchezza vennero emanate le leggi suntuarie che però non furono molto rispettate.

I pellicciai erano separati secondo vane specializzazioni, dette colonnelli, in particolare pellicciai dell'opera selvatica, quelli delle pelli di "vaio" (varoteri) e quelli delle pelli agnelline, ecc.337.