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La stagione del riformismo processuale

2.2 La legge delega n 81 del 1987: obiettivi primari e linee guida

2.2.1 L'adeguamento alle fonti sovranazional

All'interno delle due leggi delega, succedutesi per la creazione del nuovo codice di procedura penale, rimane sostanzialmente immutato il fine di una delle direttive fondamentali, che reca come scopo quello di prescrivere l'adattamento del nuovo corpus normativo alle "norme

delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale". Le due fonti che hanno

maggiormente ispirato la stesura del nuovo codice risultano essere la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ratificata dall'Italia in base alla legge n. 848 del 1955 ed il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato dall'Assemblea delle Nazioni unite a New York nel 1966 ed acquisito da nostro ordinamento in forza della legge n. 881 del 1977. Le due fonti sono state di fondamentale importanza per il Legislatore italiano in quanto hanno generosamente contribuito a dare l'imprinting alla legislazione nascente, in particolare si può affermare che abbiano ricoperto un ruolo preminente per la forte presenza di organi internazionali istituiti ad hoc per vigilare sulla corretta osservanza dei precetti in esse contenuti, senza contare inoltre la ricca giurisprudenza derivante dalle varie pronunce emesse dalla Corte europea dei diritti umani.

Gli elementi portanti di queste fonti internazionali contribuiscono a delineare una rosa di diritti concernenti la tutela della persona in quanto essere umano, quindi possono di fatto riguardare direttamente od indirettamente la figura dell'imputato o di persone che sono implicate in altre vesti sempre all'interno del processo penale. Esempio dell'ispirazione ricevuta dal Legislatore nella stesura della legge delega si riscontra nell'art. 2 alla direttiva n. 73 che si incentra sull'"esame diretto" di imputati e testimoni, in ossequio ai principi desunti dall'art. 6.3 lettera d della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e dall'art.

14.3 lettera e del Patto internazionale sui diritti civili e politici della persona: in questo meccanismo è ben visibile l'adeguamento posto in essere rispetto alle fonti sovranazionali, che spingono per un esame che consenta alle parti di far arrivare le domande direttamente ai testi, evitando l'onnipresente intermediazione dell'organo giudicante.

I meccanismi di adeguamento elaborati dal Legislatore meritano una certa attenzione per comprendere quale sia il rapporto che viene ad instaurarsi tra le fonti del diritto interno. I principi ispiratori delle convenzioni internazionali infatti vengono introdotti nell'ordinamento mediante un'"ordine di esecuzione" contenuto all'interno di una legge ordinaria, meglio conosciuta come legge di autorizzaione alla ratifica delle convenzioni stesse, quindi le norme che ne derivano vengono a porsi in una posizione di legge ordinaria e per tale motivo perennemente esposte alle regole della successione delle leggi nel tempo, causando oltretutto l'impossibilità di innalzare le stesse al rango di "norme-parametro nei giudizi de legitimitate legum"15. La

problematica sin qui esposta trova una particolare fisionomia nell'ambito del procedimento penale in quanto, come osservato all'interno del Preambolo della legge delega, sussiste un obbligo di adeguamento per il quale ogni inadempienza che si riscontri nella legislazione penale verrebbe a configurare di fatto un'inattuazione di delega. Quindi viene utilizzato l'art. 76 della Costituzione, in cui è appunto disciplinato l'esercizio della funzione legislativa delegata, come tramite per delineare una causa di illegittimità costituzionale nel caso di elaborazione di un corpus normativo che non rispetti i vincoli dettati dalle normative internazionali in tema di diritti umani. Nel quadro appena descritto non deve infine passare in secondo piano come l'inserimento di questi parametri sia di fondamentale importanza

per l'interprete della legge, sul quale pesa un dovere di attenzione verso i principi desumibili dalle clausole internazionali, dei quali egli potrà fare uso per trarne criteri che possano essere applicati per la risoluzione dei dubbi esegetici.

Da ultimo, ma non per questo avente minor importanza, si pone l'impegno preso dal Legislatore nel creare un nuovo codice che concretizzi "nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio"16

secondo i principi che verranno enumerati nella stessa legge delega. Questa promessa posta in essere dal Legislatore denota una linea di continuità con le idee cardine della precendete legge delega n. 108 del 1974, per cui viene riconfermata la volontà di abbandonare definitivamente il modello cosiddetto "misto", per approdare ad un sistema processuale che risulti completamente scevro da quegli inconfodibili tratti retaggio del passato inquisitorio. Risulterebbe in ogni caso pressochè utopistico pensare di poter dar luogo ad un modello processuale "puro", sia in senso accusatorio che inquisitorio, ma il contenuto dell'art. 2 della legge delega n. 81 si pone come invito a saper riconoscere e, porre quindi l'accento, sui due aspetti che maggiormente caratterizzeranno l'innovativa impronta accusatoria del nuovo codice: porre fine alla commistione di ruoli fra accusa e giudizio e sottolineare l'imprescindibile collegamento sussistente fra formazione della prova in giudizio e contraddittorio espletato alla presenza dell'organo giudicante.

2.3 Quadro costituzionale: il giudice "terzo ed

imparziale" nell'art. 111 Cost.

Il progetto di riforma costituzionale, culminato nella legge cost. n. 2 del 1999, determinerà l'inserimento di importanti integrazioni all'art. 111 della Costituzione, dalle quali sarà possibile desumere in modo chiaro il richiamo alla formula del "giusto processo", frutto delle allora recenti esperienze riformistiche contenute nel Progetto di revisione costituzionale disposto dalla Commissione Bicamerale nel 1997. L'esplicito richiamo ai due canoni di terzietà ed imparzialità, che dovranno parimente sussistere nel modus operandi dell'organo giudicante, si pongono come una vera e propria "mappa genetica"17, un

segno distintivo di cui la funzione giurisdizionale non potrà più fare a meno nell'esercizio delle sue mansioni. Per ciò che concerne l'interpretazione di queste due caratteristiche, sancite all'interno del rinnovato articolo 111 Cost., si è potuto assistere dapprima ad un uso promiscuo dei due termini, che di fatto andava a contrastare con la ratio stessa del Legislatore dell'aver scelto appositamente due voci ben distinte; i due lemmi però appaiono comunque fortemente connessi, al punto che in essi si è arrivati a rinvenire una spiccata

"complementarità che suggerisce di attribuirvi significati autonomi"18.

Tale autonomia risulta essere piuttosto un vero e proprio dovere posto in capo all'interprete che deve riuscire ad estrinsecare le due direzioni che questa endiadi percorre: da un lato abbiamo infatti l'imparzialità nella quale si denota la "funzione esercitata nel processo"; dall'altro troviamo invece la terzietà caratterizzante lo "status ossia il piano

17 H. Belluta, op. cit. p. 34 18 H. Belluta, op. cit. , p. 36

ordinamentale"19.

Prendendo le mosse dalle parole di Satta è possibile esplicitare che cosa si intende per giudice terzo, di esso viene data una descrizione netta e concisa che così recita: "[t]erzo è colui che non è parte: non c'è

altro modo di definirlo"20. Egli non deve quindi collocarsi all'interno

della vicenda processuale in veste di protagonista, non deve detenere in alcun modo i poteri di accusa e difesa, assumendo in questo modo una posizione che si colloca a latere delle parti e quindi risulta "altra" e terza rispetto ad esse.

In una lettura che favorisce l'ottica endoprocessuale della funzione giurisdizionale si denota come la dimensione di "alterità", appena richiamata nei confronti dei contraddittori, favorisca l'equidistanza dell'organo giudicante rispetto all'oggetto della contesa, ovvero l'imparzialità: ecco in cosa consiste il legame inscindibile dal carattere complementare fra terzietà ed imparzialità del giudice. L'uno si pone come conseguenza ed allo stesso tempo causa del corretto funzionamento dell'altro, in un connubio che andrebbe a determinare la sussistenza della cosiddetta "equidistanza" del giudice, la quale non va ad esaurirsi in un concetto di "imparzialità soggettiva", ovvero che attiene al foro interno del magistrato chiamato a giudicare sulla vicenda, ma accanto al profilo soggettivo appena richiamato, necessita per realizzarsi, della sussistenza di un profilo oggettivo che si compone di tutte quelle garanzie processuali tese ad integrare la parità fra le parti a confronto.

Ed è proprio a partire da quest'ultimo richiamo alla parità delle parti che si può meglio comprendere come questo equilibrio possa essere concretamente raggiunto all'interno del processo penale: le parti

appaiono infatti sullo stesso piano solo in presenza di un iter di formazione dell'elemento probatorio che ne sottolinei la pariteticità, raggiunta grazie alla serie di cautele che determinano l'applicazione di una metodologia dialettica fra i contraddittori. Il contraddittorio diventa quindi non solo il metodo di genesi della conoscenza, ma anche un vero e proprio "impegno legislativo per garantire la reale

parità ai contendenti"21 e quindi la tanto agognata l'equidistanza del

giudice, il quale solo in questo contesto può dirsi veramente terzo ed imparziale. Ecco realizzarsi un modello tripolare che trova la propria garanzia costituzionale nella nuova veste dell'art. 111 comma 2 Cost., in cui i due canoni di esercizio della funzione giurisdizionale divengono "l'unico metodo ammissibile per l'attuazione della

giurisdizione"22.

A far da presupposto logico antecedente alla corretta applicazione del contraddittorio nella formazione della prova, sta la necessità di porsi in modo più vicino possibile ad una condizione di ignoranza dell'organo giudicante rispetto alle fasi che hanno preceduto quella dibattimentale. A questo punto subentra il principio dell'immediatezza che si pone come vera e propria base per la realizzazione dell'imparzialità, determinando, con la sua applicazione, la formazione di risultanze probatorie legittime, in cui si riesca a neutralizzare il rischio dell'inevitabile soggettività del giudice.

Si presentano però sempre più frequenti problematiche connesse al dilagare di pratiche di formazione della prova estranee ai canoni sin qui delineati, come le contrattazioni negoziali fra le parti, che determinerebbero un serio rischio di intaccare la terzietà e l'imparzialità dell'organo giudicante; o ancora ne è un altro esempio

21 H. Belluta, op. cit., p. 38

lampante la posizione in cui viene a trovarsi il giudice dell'udienza preliminare, il quale nel momento in cui verrà chiamato a pronunciarsi sulla necessità di emettere o meno una sentenza di non luogo a procedere, o ancora più grave, nel caso in cui dovrà emettere una sentenza nel merito se l'imputato avesse scelto il rito abbreviato, si troverà obbligato ad utilizzare gli elementi raccolti nelle indagini preliminari per fondare la prorpia decisione, elementi che di fatto non risultano in alcun modo corroborati dal principio del contraddittorio. Il delinearsi di situazioni in cui all'interno dell'iter processuale si presentino delle vere e proprie "zone franche di rinuncia al

contraddittorio"23, determina la deroga ad alcuni dei principi attinenti

sia alla sfera soggettiva che oggettiva, i quali comportano il corretto funzionamento della giurisdizione.

La trama concettuale in cui si intreccia il canone dell'imparzialità cognitiva è utile per poter verificare come si realizza il rapporto tra l'archetipo di giudice delineato all'interno della Costituzione, ispirata ai principi del Giusto Processo, e la dinamica dell'acquisizione di elementi probatori ex officio. Fino alla rivoluzione del sistema processualpenalistico in senso accusatorio il giudice non aveva incontrato nessun tipo di limitazione, egli era anzi considerato vero e proprio dominus della prova. Con l'abbandono di questa impostazione di retaggio inquisitorio, il suo officium viene a subire un sensibile ridimensionamento enucleato nel nuovo codice di procedura penale, frutto dell'impegno del Legislatore a seguire una linea da cui trasparisse "l'attuazione dei caratteri del sistema accusatorio"24.

Ma è solo con la modifica dell'art. 111 della Cost. che si può cercare di trovare una soluzione al dubbio su come il nuovo modello ispirato ai

canoni di imparzialità e terzietà dell'organo giudicante si possa conciliare con le dinamiche conoscitive officiose dello stesso. L'imparzialità gneoseologica del giudice riuscirà a trovare quindi una concreta garanzia solo se ogni esercizio del potere istruttorio verrà ridotto ad una fase della sequenza di acquisizione probatoria, corroborata dal principio del contraddittorio: con la verifica dell'effettività del confronto dialettico infatti verrà a realizzarsi quella condizione di partià fra le parti che riconferma la centralità del modello tripolare e che si pone come conditio sine qua non per la genuina formazione della prova.

2.3.1 Imparzialità del giudice: una garanzia