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Profili di conciliazione fra intervento del giudice ex art 507 c.p.p e imparzialità

La stagione del riformismo processuale

3.7 Profili di conciliazione fra intervento del giudice ex art 507 c.p.p e imparzialità

All'interno del percorso ricostruttivo sin qui giunto si è potuta riscontrare la grande attenzione, sia da parte della dottrina che della giurisprudenza, rivolta al tentativo di conciliare la dinamica probatoria officiosa contenuta nell'art. 507 c.p.p. e l'imparzialità, caratteristica indefettibile del modus operandi dell'organo giudicante. Spesso, esplorando i vari tentativi effettuati, il risultato al quale si è pervenuti ha rischiato di sfociare in una concezione stereotipata, tale per cui qualsiasi margine di intervento officioso del giudice debba, per forza di cose, incidere in negativo sulla sua imparzialità, inficiando di conseguenza la genuinità della decisione finale.

Ma cerchiamo in questa sede di andare oltre questo "attggiamento

preconcetto"71 per cercare di evidenziare invece gli aspetti che

dovrebbero non solo rendere compatibili i due profili, ma che riescano in concreto ad avere addirittura una valenza costruttiva nel concetto di imparzialità. Per far ciò è necessario dapprima abbandonare la prospettiva secondo cui il giudice tramite i poteri di cui all'art. 507 c.p.p. si trasforma in investigatore, autorizzato a sondare ogni pista probatoria in un atteggiamento che risulta di vera e propria "bulimia" nella raccolta di elementi reputati necessari per pervenire ad una decisione. A garantire che quanto detto in proposito non si realizzi nel nostro sistema procedurale è posta la struttura stessa del processo penale, informato ad un criterio di divisione tra le varie fasi di cui si compone, in modo da favorire una ripartizione con conseguente funzione di "drenaggio degli elementi preliminari"72. Ma ciò su cui

71 H. Belluta, op. cit., p. 188 72 H. Belluta, op. cit., p. 190

bisogna maggiormente porre l'accento non è tanto la quantità di elementi probatori riscontrati a suffragio di un'ipotesi ricostruttiva piuttosto che un'altra, bensì la qualità della risultanza probatoria che deriva dalla metodologia adottata nel suo iter di formazione. Si allude in questo contesto al principio del contraddittorio, il quale, se correttamente impiegato, impone che le parti possano sempre

"controdedurre e (...) controprovare anche di fronte alle iniziative probatorie del giudice, senza soggiacere al suo incontrollabile e 'atipico' arbitrio"73: solo garantendo la genuinità del metodo di

formazione delle prove si può affermare che anche il decisum che ne scaturirà è dotato della medesima bontà, proprio in virtù del fatto che gli elementi sui quali poggia sono passati tutti al vaglio delle parti. A fronte di quanto esposto si dovrebbe pacificamente poter affermare che, così come sono sottoposti al contraddittorio gli elementi probatori addotti dalle parti in virtù del diritto alla prova ex art. 190 c.p.p., altrettanto lo saranno anche gli elementi introdotti tramite impulso officioso ex art. 507 c.p.p. in sede dibattimentale, garantendo in tal modo una decsione che sia veramente foriera della neutralità del giudice.

Una volta apertasi la fase dibattimentale il giudice impiega, per formare il suo convincimento, tutti gli elementi di cui dispone, ovvero quelli che gli sono pervenuti dalla fase anteriore attraverso la creazione del fascicolo per il dibattimento74 e le prove che sono scaturite dal

dibattimento medesimo, ma se queste fossero reputare scarsamente persuasive o in qualche modo incomplete per fondare la decisione, l'organo giudicante può decidere di attivare il potere fornitogli dall'art. 507 c.p.p., il quale lo porterà ad esercitare un'opera di supplemento

73 L. Montesano, Le prove disponibili d'ufficio e l'imparzialità del giudice civile, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ. 1978, p. 196

istruttorio che opererà in un'area ottenuta sottraendo gli atti già utilizzati dal legalmente conoscibile. Ecco delineati i nuovi mezzi di prova, i quali non scaturiscono da un'autonoma ipotesi ricostruttiva dell'organo giudicante, bensì dal potenziale probatorio dibattimentale75. Torna in questo senso l'accezione funzionale e non

meramente temporale del dato normativo "[t]erminata l'acqusizione

delle prove", che circoscrive l'area all'interno della quale il giudice

potrà attingere per completare il quadro probatorio insoddisfacente che gli si prospetta, determinando il palesarsi di quanto risultava celato nel potenziale probatorio immesso dalle parti nel procedimento.

In questa ricostruzione salta all'occhio la funzione propriamente suppletiva dell'organo giudicante, la quale se dovesse essere eliminata per garantire l'esclusione dal novero delle prove utili alla decisione finale, quelle non pervenute alla fase dibattimentale per negligenza delle parti, determinerebbe in realtà il sacrificio della tanto agognata imparzialità. Questo avverrebbe poichè il porre come antecedente logico necessario la richiesta di parte per l'attivazione dei poteri ex art. 507 c.p.p. determinerebbe in caso di inerzia e contemporaneamente di un quadro probatorio lacunoso, la pronuncia di una sentenza la quale il giudice si è trovato costretto ad emettere in virtù del non liquet, ma che in realtà poggia le proprie basi su risultanze probatorie del tutto incomplete. Il giudice si troverebbe quindi ad "emettere una decisione

diversa da quella cui sarebbe presumibilmente pervenuto ove avesse potuto esperire gli ulteriori accertamenti ritenuti, allo stato degli atti, indispensabili"76, secondo il criterio di assoluta necessità su cui si

fonda l'attivazione delle prerogative officiose.

Ecco svanire la tanto sbandierata imparzialità di cui il giudice deve

75 Cfr. H. Belluta, op. cit., p.191

76 G. Giostra, Valori ideali e prospettive metodologiche del contraddittorio in sede penale, in Pol. Dir., 1986, p. 24

essere paladino di fronte ad un potere che in questo caso finirebbe per tramutarsi in un "non-potere", proprio per la subordinazione che lo caratterizza rispetto alla sollecitazione da parte di accusa e difesa che il giudice dovrebbe attendere, da ciò si deduce la necessità di mantenere autonoma la facoltà di attivazione dei poteri di cui all'art. 507 c.p.p.: una necessità ben visibile nell'impossibilità di fondare un giudizio di responsabilità penale su una base probatoria ritenuta lacunosa e che porterebbe solo ad un esempio di sacrificio della verità sostanziale.