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Criteri per l'ammissione della prova ex officio

La stagione del riformismo processuale

3.4 Criteri per l'ammissione della prova ex officio

Addentrandosi nello studio del funzionamento dell'art. 507 c.p.p. risulta necessario delineare quali siano i criteri che ne determinano l'attivazione durante l'iter processuale. In tale prospettiva i presupposti che vengono individuati per dar luogo all'attivazione del potere officioso del giudice in ambito istruttorio sono inquadrabili in tre categorie: l'assoluta necessità, la novità ed il previo espletamento

dell'istruttoria dibattimentale38.

Il primo dei requisiti citati non è altro che un vaglio che il giudice deve effettuare per poter correttamente ricorrere al potere di cui l'art. 507 c.p.p. lo munisce: l'elemento probatorio che dovrebbere essere oggetto dell'esercizio di tale prerogativa deve risultare infatti connotato di un carattere di decisività tale da incidere in maniera significativa sul procedimento decisionale intrapreso dall'organo giudicante, che porti infine ad "una differente valutazione complessiva dei fatti", la quale possa in seguito "portare in concreto a una decisione diversa"39. Allo

stesso tempo il criterio di assoluta necessità deve assumere le vesti di "filtro" per evitare che nel procedimento vengano ad essere inserite risultanze probatorie volte solamente ad integrare il "quadro

probatorio già di per sé idoneo a rappresentare una delle possibili "letture" alternative dei fatti"40, determinando un impiego del potere

d'intervento del giudice del tutto pleonastico rispetto al fine per cui il Legislatore lo ha progettato. Inoltre, se la valutazione sulla rilevanza dell'elemento da introdurre risulta collocato in questo momento dell'accertamento, non si dovrebbero prospettare contaminazioni

38 Cfr. L. Caraceni, op. cit., p. 160

39 Sic Cass., 24 giugno 2003, Sangalli, 226326 40 E. Aprile, op. loc. ult. cit.

dell'imparzialità del giudice, in quanto l'attività probatoria di parte risulterebbe a questo punto già sufficientemente espletata.

Con la riforma dell'art. 533 c.p.p., introdotta con la legge n. 46 del 20 febbraio del 2006, il Legislatore è andato ad incidere sulle prerogative del giudice al momento della pronuncia della sentenza di condanna, introducendo come indefettibile criterio di accertamento la necessità che il convincimento, che lo ha condotto a tale decisione, sia avvenuto

"al di là di ogni ragionevole dubbio"41. Questo nuovo assetto dell'art.

533 c.p.p. sembrerebbe avere ripercussioni anche sull'esercizio officioso dei poteri istruttori del giudice, determinandone una sensibile espansione percepibile nell'autorizzazione ad acquisire tutti quegli elementi che in qualche modo riescano a sciogliere tale "dubbio" e rendano in tal modo possibile la pronuncia della sentenza di condanna. Ma questa prospettiva in cui il giudice appare come una "macchina onnivora" che fagocita qualsiasi elmento reputi necessario, non risulterebbe condivisibile in quanto rimane sempre e comunque in primo piano la necessità di garantire l'imparzialità e ciò può avvenire solo in un contesto in cui l'esercizio dei poteri istruttori officiosi sia effettivamente corroborato dal principio del contraddittorio, ancorando in tal modo l'ultronea acquisizione posta in essere in virtù dell'art. 507 c.p.p. alle risultanze dell'apporto delle parti.

La lettura che giustifica l'attivazione dell'art. 507 c.p.p. risulta quindi quella per cui, la necessità dell'assunzione di prove da parte dell'organo giudicante, è determinato da una forte lacunosità dell'istruttoria dibattimentale espletata dalle parti, la quale determina il formarsi di vaste zone d'ombra nella ricostruzione del fatto, che portano inevitabilmente alla necessità di acquisire elmenti indispensabili per determinare il decisum finale, collocando quindi l'intervento del

giudice in un'ottica di forte dipendenza rispetto alla previa attività istruttoria condotta da difesa ed accusa. In questo contesto si delinea la forte connessione sussitente fra poteri officiosi del giudice e decisione finale, in particolare nel caso in cui egli sia tenuto ad intervenire non tanto per vagliare l'assoluta necessità dei fatti da acquisire, bensì quando la sua attività sia legata alla tutela di un'esigenza garantistica ben precisa: la corretta costituzione delle conoscenze. Ciò a cui si allude è quanto disposto nell'art 392 c.p.p., nel quale il Pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono avanzare al giudice della fase la richiesta "di procedere ad esperimenti cognitivi

che non potrebbero sopportare l'attesa del contraddittorio dibattimentale"42, poichè medio tempore si renderebbe impossibile od

inficiata l'acquisizione degli elmenti oggetto dell'istruttoria. Al giudice cui viene presentata la richiesta di incidente probatorio, spetta di procedere al vaglio di ammissibilità di essa secondo quelli che sono i principi enunciati nell'art. 190 c.p.p., determinando una mansione ancora una volta passiva e posta a garanzia della legalità e del rispetto del contraddittorio. Nella fase in cui si esplica tale istituto le parti non mirano in alcun modo al convincimento del giudice, egli infatti si limita a supervisionare l'acquisizione degli elmenti probatori sui quali il giudice del dibattimento dovrà poi attuare la sua valutazione. In questo senso resta esclusa qualsiasi ottica integrativa rispetto agli input di parte, ciò poichè il potere di cui all'art. 507 c.p.p. si attiva a livello temporale al termine dell'istruttoria e concerne di fatto elementi cosiddetti "nuovi" rispetto alle risultanze medesime; infine non si delineano margini di convergenza fra i due istituti anche per l'impossibilità, per il giudice delle indagini preliminari, di effettuare un qualsiasi vaglio circa l'assoluta necessità di introdurre elementi utili

alla decisione finale, ciò in quanto egli non è tenuto ad esprimere alcun giudizio di merito.

La facoltà di intervento dell'organo giudicante disegnata dal Legislatore nell'art. 507 c.p.p. è inquadrabile quindi, secondo questo primo criterio analizzato, come un potere relativo, in quanto attivabile all'interno del perimetro di risultanze probatorie frutto del percorso intrapreso da difesa ed accusa, similmente a quanto avviene all'interno del rito alternativo del giudizio abbreviato in cui il giudice impossibilitato a pronunciarsi, sulla scarsa base degli elementi probatori di cui dispone, può "sulla falsariga dell'art. 507 comma 1

c.p.p."43 introdurre delle prove ex officio che gli permettano di fondare

la propria decisione.

Ciò che preme sottolineare, a fronte del parallelismo fra giudizio abbreviato e sede delibativa ordinaria appena accennato, è che comunuque al giudice è precluso nel nostro ordinamento, alimentare proprie ipotesi ricostruttive della vicenda che incrinino il principio di imparzialità su cui si impernia la struttura processuale italiana, in particolare con la possibilità di esercizio di poteri in ambito istruttorio che vadano a suffrgare le posizioni delle parti. Il criterio di assoluta necessità si applica quindi ad elementi probatori che già emergono all'interno del thema probandum delineato dalle parti, quando essi siano forieri di una rilevanza tale da risultare "indispensabil[i] perchè

il giudice possa superare l'incertezza probatoria"44.

Passando al secondo criterio applicativo sotteso all'art. 507 c.p.p. si denota come, anche per quanto concerne la "novità" della prova, si resti sempre ancorati a quanto introdotto dalle parti tramite lo svolgimento dell'attività di dialettica, eliminando qualsiasi nesso fra

43 L. Caraceni, op. cit., p. 167

l'intervento del giudice ed un'azione di supplenza verso l'operato di parte. Ma che cosa si intende concretamente per prova "nuova"?

Per tentare di rispondere a tale quesito è necessario intraprendere due possibili percorsi ricostruttivi: uno imperniato sull'analisi di temi di prova non sufficientemente approfonditi durante l'attività probatoria svolta da difesa ed accusa; l'altro invece connesso con il bisogno di verificare la bontà dei temi di prova emersi durante il corso dell'istruttoria dibattimentale.

Analizzando la questione secondo la prima prosepttiva, si considera nuova la prova "non conosciuta o non conoscibile" o che sia stata considerata dalle parti "irrilevante"45 e che quindi, per questa

sottovalutazione della sua importanza al momento delle richieste istruttorie, non risulti più possibile da acquisire in seguito. Ciò a cui si assiste è il caso di un dato probatorio, che viene ad essere recuperato dall'intervento del giudice per porre rimedio alla tardività con la quale entrambe le parti abbiano rilevato l'importanza o, abbiano preso cognizione, dell'elemento in questione nella ricostruzione dei fatti: quindi anche in questo caso, come già osservato per quanto concerne il primo criterio di assoluta necessità, si è posti di fronte ad un novum che "deve scaturire dagli esiti del contraddittorio dibattimentale"46.

Secondo tale impostazione rientrerebbe di certo nella categoria di elemento nuovo, non solo quello che sia sopravvenuto rispetto al termine previsto dall'art. 493 c.p.p. per l'allegazione di parte, ma anche quello che sia stato volutamente escluso ad opera delle parti, se pur conosciuto l'apporto fondamentale che avrebbe dato per giungere alla genuina ricostruzione dei fatti. Sebbene la locuzione "[t]erminata l'acquisizione delle prove" risulti in questo senso fuorviante, è da

45 F. Bertorotta, Mezzi di prova disposti d'ufficio, p. 10, in L. Caraceni, op. cit., p. 169

escludere il nesso fra prova da considerarsi nuova e la mera collocazione dell'acquisizione ad un livello temporale successivo rispetto all'istruttoria dibattimentale, al contrario, se prevalesse la chiave di lettura meramente cronologica "non avrebbe senso una

specifica iniziativa attribuita al giudice; sarebbe bastato prevedere che fossero rimesse in termini le parti"47. A suffragio di questa

impostazione sta una lettura sistematica dell'art. 507 c.p.p. con l'art. 603 c.p.p., nel quale essendo attribuito all'organo del gravame di introdurre tutte le prove non ancora assunte, sia preesistenti che sopravvenute, risulterebbe del tutto assurdo non fornire le stesse prerogative al giudice di primo grado. Abbandonando l'ottica strettamente cronologica si perviene quindi ad un'interpretazione secondo la quale la novità della prova risiederebbe nella forza dialettica che si ha nel contraddittorio, impedendo in tal modo di piegare la funzione conoscitiva del processo penale ad una mera sequenza di decadenze connesse al comportamento tenuto dalle parti, col fine di ottenere una verità che sia sostanziale e non meramente formale. Il principio dispositivo della prova contenuto nell'art. 190 c.p.p. che vede protagoniste esclusive le parti, in caso di inerzia delle stesse, non determinerebbe una preclusione dell'accertamento officioso, privilengiando in tal senso un'ottica soggettiva di inammissibilità ex art. 468 c.p.p., legata all'atto della richiesta inteso come "atto di esercizio del diritto alla prova"48.

Per quanto riguarda il secondo percorso ricostruttivo, qui l'accertamento risulta incentrato sul vaglio della genuinità di temi di prova nuovi, ove qui si intenda per "nuovi", quelli emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale che vadano ad incidere sulle risultanze

47 G. Illuminati, Ammissione e acquisizione della prova nell'istruzione dibattimentale, Torino, G. Giappichelli Editore, 2010, p. 94

dell'attività istruttoria condotta dalle parti. In questo caso la caratteristica di novità non si incentra tanto sul mezzo di prova ma sull'apporto conoscitivo che deriverebbe dalla sua acquisizione49, in

modo tale che le ulteriori informazioni di cui il giudice necessità per fondare il proprio convicimento siano desumibili, con l'esercizio dei poteri di cui all'art. 507 c.p.p., attraverso l'escussione di testimoni i cui nomi siano già stati inseriti nelle liste testimoniali, o anche tramite l'esame di dichiaranti già ascoltati.

La soglia di ammissibilità dei nuovi elementi probatori introdotti in questa fase si innalza rispetto a quella richiesta ex art. 190 c.p.p., essendo qui circoscritta ad un regime di assoluta necessità ai fini della decisione: in tal senso si determina il dovere in capo al giudice di attuare una dimostrazione in positivo in cui si sottolinei l'importanza dell'elemento da introdurre per formare il proprio convincimento. Ma i più ristretti canoni di ammissibilità fissati dall'art. 507 c.p.p. finirebbero per tradire lo scopo stesso della formazione del convincimento sulla base dell'apporto delle parti, in quanto il potere di iniziativa delle parti sarebbe in questo caso assai ridotto, anche nel caso di richieste istruttorie che non potevano essere avanzate precedentemente. Per cercare una soluzione a tali inconvenienti procedurali si è cercato di dirimere la questione optando per una metodologia conciliante di ammissione delle prove sopravvenute o scoperte durante l'espletamento del dibattimento: il giudice ha facoltà di attivazione dei poteri di cui all'art. 507 c.p.p. rispetto agli apporti conoscitivi la cui ammissibilità non risulta legittimata dalla sopravvenienza del diritto alla prova ex art. 190 c.p.p., esercitabile invece quando le parti non hanno potuto chiedere l'acquisizione di un dato elemento probatorio.

Ma come si relaziona il contraddittorio con questa impostazione? Per permettere un'effettiva realizzazione della dialettica dibattimentale risulta necessario che il materiale su cui verterà lo scontro fra le parti, sia mostrato inizialmente, ciò per "consentire alle parti di elaborare la

propria strategia nella presentazione delle prove e nella conduzione degli esami"50. In questo senso il principio del contraddittorio opera in

veste di filtro, creando delle preclusioni istruttorie progressive, prima fra tutte l'obbligo di deposito delle liste testimoniali dieci giorni prima della data di apertura del dibattimento, come disposto nell'art. 468 c.p.p., pena l'inammissibilità di quanto richiesto. Nella fase successiva si trova il secondo sbarramento che, ad opera dell'art. 493 secondo comma c.p.p.51 permette alle parti di chiedere l'ammissione delle prove

laddove dimostrino di non aver potuto "incolpevolmente" indicarle all'atto del deposito delle liste, poichè non conosciute o non conoscibili. In questo momento il vaglio di ammissibilità risulterebbe ancora calibrato sui canoni di legalità, rilevanza e non manifesta superfluità enunciati nell'art. 190 c.p.p., poichè ancora non ci si è addentrati nel dibattimento, ma si è fermi ad una fase iniziale di atti preparatori.

Parte della dottrina invece insiste sul fatto che quanto affermato nel secondo comma dell'art. 493 c.p.p. risulterebbe applicabile anche nel caso di scoperta della prova in corso di istruzione dibattimentale, dilatando in questo modo il diritto alla prova fino alla fase dell'appello. Grazie a questa lettura estensiva si riuscirebbe di fatto a conciliare il diritto alla prova delle parti con il principio del contraddittorio, che in tal modo troverebbe applicazione anche sulle risultanze probatorie che

50 G. Illuminati, op. cit., p. 76

51 "È ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo

le parti non avevano potuto tempestivamente inserire nelle liste testimoniali per cause ad esse non imputabili. In linea con questa tesi si pone la nuova formulazione dell'art. 606 comma 1 lett. d c.p.p.52, in

base al quale sarebbe possibile proporre ricorso in Cassazione per il diniego ricevuto rispetto alla richiesta di attivazione dei poteri officiosi di cui dispone il giudice per acquisire una prova reputata decisiva nel corso del dibattimento, permettendo in tal modo alle parti di bypassare le soglie di sbarramento precedentemente citate.

Infine si può quindi affermare che è da considerarsi nuova, e necessita di essere acquisita qualora sia decisiva per il giudizio finale, qualunque prova non indicata all'interno delle liste di cui all'art. 468 c.p.p. e non richiesta tardivamente ai sensi dell'art. 493 comma 2 c.p.p., a prescindere dalla ragione che non ne ha consentito l'ammissione prima dell'apertura della fase dibattimentale53, fondamentale in questo

schema conclusivo resta il fatto che l'elemento nuovo emergente deve essere pur sempre desunto dal quadro probatorio risultante dal fascicolo del dibattimento.

Da ultimo, ma non per questo di minor importanza, si colloca il previo espletamento dell'istruttoria dibattimentale come terzo criterio di ammissibilità, che parrebbe affondare le proprie radici nell'incipit dell'art. 507 c.p.p.: "[t]erminata l'acqusizione delle prove", individuato dalle Sezioni unite della Cassazione e dal Giudice delle leggi come limite temporale dopo il quale l'organo giudicante può usufruire della facoltà officiosa di cui il Legislatore l'ha munito, anche laddove non sia stata previamente espletata alcuna attività istruttoria di parte. In quest'ottica si assiste all'acquisto di indipendenza della prerogativa del giudice di intervenire a supplire le carenze probatorie con lo

52 Novellato con legge n. 46/2006

scardinamento dalla precedente attività di accusa e difesa, che non si pone più come antecedente logico necessario. Ma in questo scollamento totale dalla piattaforma di partenza, rappresentata dalle risultanze di parte, si rinviene la perdita del connotato principe del

modus operandi del magistrato: l'imparzialità è infatti sacrificata di

fronte ad un'opera non più integrativa del giudice ma di natura assolutamente "sostitutiva", capace di acquisire una veste investigativa rispetto ad ipotesi ricostruttive non verificate e create dal giudice stesso.

Operando una lettura costituzionalmente orientata ci si accorge che questa impostazione si scontra irreparabilmente contro i baluardi dell'ormai acquisito fair trial: sarebbe quindi più giusto fornire al giudice una base di partenza dalla quale muovere per esercitare il proprio potere istruttorio e tale base deve essere individuata nella previa, se pur carente, attività istruttoria delle parti che necessita appunto di un'integrazione che non leda il contraddittorio. Ecco il perchè della collocazione dell'intervento ex art. 507 c.p.p. una volta conclusasi l'istruttoria dibattimentale, in modo tale da preservare la

virgin mind del giudice dalle "contaminazioni inquirenti"54 che lo

3.5 La recente pronuncia n. 73 del 2010 della Corte