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Incompatibilità del giudice per l'udienza preliminare

Il particolare caso della giurisdizione penale minorile

4.3 Incompatibilità del giudice per l'udienza preliminare

Come abbiamo potuto già accennare nei paragrafi precedenti, all'interno del procedimento minorile, riveste centrale importanza il ruolo dell'indagine personologica svolta sul giovane imputato, finalizzata a definire con maggior precisione quali possano essere state le ragioni che hanno spinto l'infradiciottenne a commettere un fatto penalmente rilevante. La giurisdizione minorile appare quindi imperniata su due aspetti fondamentali che si completano vincendevolmente: il giudizio sull'appena citato fatto penalmente sanzionabile e sulla concreta possibilità di recupero del reo, affiancata da una riduzione al minimo del contatto fra il giovane ed il circuito penale. Addentrandosi nelle fasi procedurali che il minore dovrà attraversare una volta instuaratosi il procedimento a suo carico, occorre analizzare in proposito la particolare valenza assunta dal decreto che dispone il giudizio: esso viene emesso dal giudice al termine dell'udienza preliminare ed è importante, al riguardo, sottolineare come la sua adozione non simboleggi l'impossibilità di applicare un provvedimento di favore per il reo, quanto stia ad indicare la lacunosità degli elementi cognitivi necessari ad asserire di essere di fronte ad una

"verifica compiuta dello sviluppo della personalità del minorenne"17. Il

giudizio preliminare cui viene sottoposto il giovane imputato funge quindi piuttosto da "campanello d'allarme" rispetto alla completezza dell'indagine personologica condotta fino a quel momento che da anticipazione del giudizio finale, non contenendo esso alcun elemento concretamente riconducibile alla valutazione degli elementi inerenti il capo d'accusa. Appurata l'assenza di qualsivoglia apprezzamento sul

17 D. Cimadomo, Un giudice unico per il processo penale minorile : contributo allo studio dell'incompatibilità del giudice, CEDAM, Padova, 2002, p. 195

fatto che costituisce oggetto dell'imputazione risulterebbe sensato affermare che non essendovi alcun ingerenza nel merito circa l'accertamento della responsabilità del giovane imputato, non dovrebbero rilevarsi profili di incompatibilità in capo ai componenti del tribunale che hanno giudicato in funzione di giudice dell'udienza preliminare.

Il timore più sentito, riguardo la delicata questione del giudizio preliminare, risulta quello di trovarsi di fronte ad una decisione che abbia la portata di vera e propria anticipazione del giudizio, la quale, se così fosse, determinerebbe un pregiudizio circa il perseguimento della finalità rieducativa del minore. L'aver optato per un sistema nel quale predomina la risoluzione del procedimento con l'anticipazione del giudizio durante l'udienza preliminare è stata in realtà voluta dal Legislatore per plasmare un organo che abbia costantemente sotto controllo la personalità del minore durante tutto il corso del procedimento, in modo da verificare come essa si modifichi in seguito al contatto con il circuito giurisidizionale, assicurando anzi in questo senso una situazione di vantaggio per l'imputato, sia in termini di acquisizione di elementi a suo favore, sia per quanto concerne l'economia processuale. Questa impostazione parrebbe a primo impatto porsi in maniera contrastante rispetto al modello processuale prescelto dal Legislatore nella legge delega n. 81 del 1987, l'impianto accusatorio sembrerebbe infatti essere frustrato all'interno del procedimento minorile per la commistione di fasi e ruoli tenuti per contro ben separati nel rito per adulti, ma ad un'analisi più profonda ci si accorge che così non è, in quanto la separazione fra le fasi è pur sempre rispettata: si ha infatti una netta cesura fra l'area di competenza del giudice che si occupa di supervisionare il momento delle indagini e l'organo giudicante che invece curerà la fase di giudizio vero e proprio. Grazie a questa scelta strutturale del Legislatore, che permette al

giudice di conoscere il retroterra psico-sociolgico del minore nella sua accezione evolutiva, si riuscirebbe a soddisfare l'esigenza di "eliminare

o ridurre al minimo ogni stimolazione negativa"18.

Alla luce di quanto sin ora affermato si può sostenere che la netta separazione fra le fasi processuali ispirata dal modello accusatorio non si dimostri calzante per quanto concerne il procedimento per i minorenni, foriero di esigenze particolari sulla valutazione del fatto penalmente rilevante inscindibile rispetto all'analisi personologica del giovane reo, le quali lo rendono incompatibile con il "frazionamento

dell'intervento giurisdizionale"19. Coerentemente rispetto a questa

impostazione si pone il grado di specializzazione del giudice unico che andrà ad esprimere il proprio giudizio sul minore coadiuvato dalla presenza, all'interno del collegio, di esperti i quali valuteranno anche le risultanze dell'indagine psico-sociologica condotta sul ragazzo: tali informazioni, pur essendo promiscuamente passate dal fascicolo del Pubblico Ministero a quello del giudice dibattimentale, poichè ad esempio irripetibili, oppure frutto delle consulenze di esperti che hanno esaminato il contesto di provenienza del giovane imputato, risultanto avere un'incidenza decisiva nella formazione del convincimento del giudice sul fatto oggetto dell'imputazione, in quanto l'indagine personologica risulta, come precedentemente accennato, inscindibile rispetto al giudizio sul fatto penalmente rilevante.

Il Legislatore ha quindi individuato un profilo di incompatibilità fra la funzione del giudice supervisionante le indagini preliminari e la sua presenza all'interno del collegio dell'udienza preliminare, ed ha tentato di dare un'interpretazione risolutiva di tale incompatibilità cercando di

18 Relazione al testo definitivo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, in Gazz. Uff., 24 ottobre 1988, n. 250, Supplemento Ordinario, n. 2, p. 218

conciliare due esigenze opposte racchiuse all'interno del procedimento per i minori. Il tentativo è stato quello di riunire la funzione repressiva nei confronti del fatto penalmente rilevante commesso ed il recupero dell'infradiciottenne legato alla finalità, in questo frangente, educativa. L'incompatibilità funzionale del giudice per le indagini preliminari sembra poi essere riconfermata anche dall'introduzione del comma 2

bis dell'art. 34 c.p.p. il quale afferma chiaramente che "il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può [...] tenere l'udienza preliminare": il

giudizio preliminare scaturente dall'elaborazione compiuta dai tre soggetti che compongono il Collegio20 sembra assimilabile al grado di

definitività della pronuncia conclusiva del grado del procedimento in cui viene emesso. Il decreto che dispone il rinvio a giudizio assume quindi la veste di provvedimento, che se pur modificabile successivamente, resta pur sempre simbolo di insufficienza di elementi tali da poter definire il giudizio allo stato degli atti, spingendo quindi il procedimento verso la più esaustiva definizione dibattimentale.

In ogni caso il Legislatore ha sempre più spinto verso un'accentuazione del valore probatorio degli elmenti risultanti dalle indagini preliminari, disciplinando i casi in cui la prova non segue l'iter di formazione canonico in ossequio all'applicazione del principio del contraddittorio, ma questo viene ad essere bypassato in virtù dell'applicazione del principio di non dispersione della prova, il quale se posto a mo' di contraltare rispetto al contraddittorio, viene ad essere automaticamente elevato al rango costituzionale. Tale impostazione rivela un vero e proprio "tradimento della riforma del 1988"21 i cui principi vengono ad

20 Art. 50 bis comma 2 c.p.p.: "Nell'udienza preliminare, il tribunale per i

minorenni, giudica composto da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna, dello stesso tribunale".

essere oscurati dalla perdita dell'autonomia delle varie fasi processuali. L'impiego di istituti negoziali di formazione della prova si pone ad ogni modo in netto contrasto con la finalità rieducativa cui dovrebbe tendere l'intero procedimento, inclulcando nel giovane imputato l'idea che rinunciando alla fase dibattimentale di formazione vera e propria della prova si possa accedere a benefici incidenti sia sul piano quantitativo che qualitativo della pena inflitta.

L'udienza preliminare si apre, secondo quanto disposto nell'art. 32 comma 1 D.P.R. n. 448 del 1988, con una richiesta del giudice rivolta all'imputato circa la possibilità che egli esprima il suo consenso per la

"definizione del processo in quella stessa fase", ma solo nel caso siano

prospettate le due ipotesi di perdono giudiziale e irrilevanza del fatto. La proposta fatta dall'organo giudicante sembrerebbe assimilabile ad un'anticipazione del giudizio che rispecchia come, al tribunale per i minorenni in composizione triadica all'udienza preliminare, spetterebbe una sorta di valutazione prognostica sulla possibile evoluzione del procedimento, valutazione anticipata sempre volta però a garantire al minore il più rapido ed indolore possibile l'impatto col circuito penale. La decisione presa dal Tribunale in composizione collegiale all'udienza preliminare sarà quindi poi sottoposta ad un riesame da parte di un collegio diverso, in ossequio al rispetto dei principi di separazione delle fasi processuali e di incompatibilità funzionale, ma se veramente il Legislatore volesse vedere realizzata la finalità di recupero del giovane reo, dovrebbe forse propendere per dettare l'incompatibilità solo relativamente alla funzione del giudice per le indagini preliminari e del giudice della fase del giudizio, spingendo in questo modo per l'adozione di un giudice unico che riesca concretamente a valutare in modo continuativo gli elementi che gli vengono sottoposti, rendendosi così veramente conto dell'evoluzione della personalità del giovane imputato.

4.4 L'intervento "tutorio" dell'organo superpartes:

un'imparzialità "speciale"

Tirando le somme della disamina sin adesso compiuta riguardo al ruolo dell'organo giudicante all'interno del procedimento minorile, è possibile individuare un chiaro tentativo di delineare i rapporti che vengono ad instaurarsi fra la tutela dell'imparzialità, connotato imprescindibile di cui egli deve essere munito, ed il contrapposto riconoscimento di poteri di iniziativa probatoria. Tale contemperamento di interessi si pone alla base dell'attività del giudice i cui poteri, in questo frangente, vengono ad esplicarsi in un ambito differente rispetto alla giurisdizione di merito, ricoprendo in questo caso la funzione di vera e propria garanzia. Con l'introduzione del principio del "giusto processo" nelle maglie del nostro ordinamento è stato possibile costruire concettualmente i pilastri su cui si fonda tutt'ora l'accertamento della responsabilità dell'imputato rispetto al fatto penalmente rilevante che gli viene attribuito: confronto dialettico fra le parti, parità di accusa e difesa, attributi di terzietà ed imparzialità del giudice e formazione della prova in ossequio al principio del contraddittorio, divengono elementi indefettibili per adempiere questa funzione. Tali elementi, se pur imprescindibili nel corso dell'iter di accertamento, possono però essere combinati in modo da creare modelli processuali distinti al cui interno si riesca a plasmare un

modus procedendi adatto al fine che si vuole perseguire.

È esattamente all'interno del processo di cognizione che trova maggior concretizzazione il ruolo di garanzia dell'organo giudicante, più precisamente nel corso di una delle fasi più delicate dell'intero iter processuale: il contesto investigativo delle indagini preliminari. Il Pubblico Ministero, in questa fase, può infatti decidere di porre in essere atti tesi ad "incidere sulla libera disponibilità di diritti

costituzionalmente tutelati"22 ed è per ciò che si rende necessario

l'intervento del giudice in chiave di garanzia, volto a convalidare provvedimenti incidenti sulla libertà personale del soggetto, ad esempio l'arresto o il fermo dell'imputato. Addentrandosi nei vari interventi che il giudice può porre in essere in funzione di garante, troviamo la funzione "tutoria", la quale vede il giudice comportarsi come vero e proprio difensore della genuina formazione della prova nella circostanza in cui essa venga a determinarsi in un contesto privo dello scontro dialogico proprio della dialettica: tipico il caso della preponderanza dell'azione autoritativa nel corso delle indagini da parte del Pubblico Ministero, il quale deve trovare gli elementi per sostenere la propria pretesa punitiva. L'intervento tutorio posto in essere in questo frangente funge da vero e proprio "elemento riequilibratore di

dinamiche a contraddittorio mancante o imperfetto"23, ed è in questa

accezione che si può apprezzare la peculiare declinazione che assume il connotato dell'imparzialità che, nel caso di specie, risulterà carente dell'attributo di terzietà: l'organo giudicante si sbilancia infatti dalla sua posizione di equidistanza in favore di un bene giuridico che necessita il suo intervento tutorio, e tale atteggiamento garantista lo avvicina inevitabilmente ad una delle parti, reputata in quel momento più debole. L'intervento officioso del giudice diviene quindi lo strumento per assicurare la realizzazione dell'imparzialità all'interno del procedimento: essendo infatti nel caso di specie assente la classica struttura triadica che permette la concretizzazione della dialettica, risulta qui necessario porre in essere un intervento riequilibratore che colmi la lacuna creata dall'assenza di contraddittorio.

Tale complementareità di intervento officioso del giudice e

22 L. Caraceni, Poteri d'ufficio in materia probatoria e imparzialità del giudice penale, Dott. A. Giuffré Editore, Milano, p. 213

salvaguardia dell'imparzialità è apprezzabile in particolar modo nella giurisdizione minorile, foriera di un'esigenza propriamente educativa nei confronti del giovane la cui personalità si presenta ancora in evoluzione. L'organo che di fatto nello schema classico assume una posizione super partes, in questo peculiare ambito, perde questa sua connotazione accentuando l'importanza della sua funzione tutoria nei confronti dell'infradiciottenne, in ossequio a quanto disposto all'interno dei principi internazionali che impongono come linea guida un sistema di giutizia minorile che "deve avere per obiettivo la tutela del

giovane"24. Il processo minorile segue quindi i principi generali del

nuovo processo penale contenuti nelle direttive della legge delega n. 81 del 1987, ma subisce delle sensibili modifiche laddove il particolare status del minore lo richieda, in relazione alle sue caratteristiche personali, emerse dall'indagine personologica affrontata nei paragrafi precedenti. Per favorire un concreto recupero del giovane è quindi necessario che i rigidi schemi della struttura triadica del processo penale previsto per gli adulti, siano in questo frangente, piegati alle necessità del caso, determinando quindi una sensibile attenuazione dell'attributo di terzietà del giudice. Il Legislatore ha quindi disegnato per il giudice del procedimento minorile dei poteri di indagine speciali che gli permettano di realizzare un intervento officioso improntato alla salvaguardia dell'interesse utleriore cui tende il procedimento: il recupero del giovane reo. L'approfondita indagine personologica condotta sul minore, in conseguenza all'ampliamento delle prerogative istruttorie del giudice minorile, permette quindi di plasmare una risposta repressiva adeguata al caso di specie, e consente inoltre di utilizzare le risultanze probatorie recepite in ogni contesto decisorio,

24 Art. 5 delle Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, approvate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1985, cd.

anche se esse non risultano esser state corroborate dal contraddittorio fra le parti.

L'imprazialità del giudice, che parrebbe essere messa a repentaglio dalla peculiare attività che l'organo giudicante è chiamato a porre in essere con la spendita dei poteri istruttori di cui il Legislatore l'ha munito, risulta in realtà salvaguardata proprio per la particolare funzione di garanzia che il giudice è chiamato ad assolvere con la difesa di valori costituzionalmente sanciti, quali il recupero del minore e la tutela della sua personalità. Il giudice grazie ai poteri di intervento ex officio, disegnati per lui dal Legislatore, si innalza a paladino della difesa degli interessi stessi del giovane imputato, ritrovando la propria dimensione di imparzialità proprio grazie alla disponibilità di elementi probatori che gli permetteranno di "rendere una decisione secondo

giustizia"25.

Conclusioni

Ripercorrendo brevemente le fila del lavoro sin qui svolto è stato possibile osservare il profilo evolutivo del potere di intervento dell'organo giudicante in ambito probatorio da diverse angolazioni, le quali si sono dimostrate fondamentali per arrivare ad avere un quadro di informazioni esauriente per poterne comprendere al meglio la portata. Abbiamo cominciato la trattazione introducendo un discorso generale sui vari modelli processuali adottati dagli stati, modelli che di fatto rispecchiano le scelte del Legislatore in coerenza con quelli che sono gli elementi costituenti il background socio-culturale, nonchè normativo, dello stato. Prendendo le mosse da questa particolare prospettiva è stato possibile tracciare il profilo del "Magistrato Investigatore", figura da sempre centrale nella struttura processualpenalistica di stampo inquisitorio, tipica dei paesi di Civil Law. Al centro di questa particolare analisi si pone il Paese che nel quadro europeo si è dimostrato essere la patria del "Magistrato Investigatore": la Francia, il cui modello imperniato sulla "preuve

morale" fa sì che il genuino convincimento del giudice si basi su di un

input attinente la sfera emotiva del giudice, piuttosto che sul valore tecnico delle prove dedotte in giudizio.

Lo sguardo comparatistico è continuato seguendo la naturale evoluzione che ha interessato da vicino l'Italia, soffermandosi in particolare sulla ventata giusnaturalistica portata dall'avvento del Giusto Processo, confrontato sistematicamente con il Fair Trial anglosassone e col Procés Equitable francese, fino a giungere ad un'analisi dettagliata di quelli che sono stati i capisaldi della importantissima Rivoluzione in senso accusatorio avvenuta in Italia a cominciare dalla prima legge delega del 1974 fino alla definitiva legge n. 81 del 1987. In questo frangente sono stati enucleati i concetti base

della più importante Riforma processualpenalistica italiana, ponendo in particolare l'attenzione sui due principi cardine di "terzietà" ed "imparzialità", esaminandone la particolare conformazione di complementareità reciproca e la loro funzione di garanzia fondamentale della persona, in adeguamento anche ai precetti delle fonti sovranazionali.

Parte centrale del lavoro su cui ho concentrato la mia attenzione è stata quella prettamente tecnica dell'analisi dell'articolo che nel Codice di procedura penale incarna maggiormente l'essenza del potere di intervento del giudice in ambito istruttorio: l'art. 507 c.p.p.. Dall'analisi di tale istituto, rubricato "Ammissione di nuove prove", si denota come il magistrato si stato dotato di un potere che il Legislatore ha appositamente disegnato per rispondere ad un'esigenza istruttoria di maggior completezza del quadro probatorio, reputato insufficiente per determinare il convincimento del giudice in sede dibattimentale. Nell'analisi condotta sul funzionamento dell'istituto in esame è risultato necessario attuare una presentazione sistematica del quadro normativo in cui la norma in questione viene ad inserirsi, determinando quindi un'approfondita introduzione circa il diritto alla prova individuato come vero e proprio epicentro del sistema processuale italiano. Al suo interno sono state affrontate le delicate tematiche inerenti la relazione che viene ad instuararsi fra le parti, vere protagoniste della vicenda processuale, e l'organo giudicante, ponendo l'attenzione in particolare sul modus procedendi del giudice nel porre in essere la prerogativa di intervento officiosa di cui il legislatore l'ha munito, in relazione al principio di disponibilità che regna sovrano nel procedimento penale italiano.

Dopo aver chiarito questi nevralgici punti di contatto fra prerogative giudiziali e poteri di cui possono usufruire accusa e difesa in sede di formazione della prova, è stato possibile delineare il perimetro di

azione tracciato dal Legislatore per collocare l'iniziativa ope iudicis, delineando peraltro i criteri necessari per l'ammisione della prova ex officio quali la novità dell'elemento da introdurre nel quadro delle risultanze probatorie, la sua assoluta necessità ed il previo espletamento dell'istruttoria dibattimentale, da considerarsi come base imprescindibile per poter considerare genuino l'intervento del giudice, collocato solo in seguito all'avvenuta attività istruttoria condotta dalle parti.

Centrale, e necessaria a mio avviso, nella fase di illustrazione della prerogativa officiosa di cui il giudice è stato munito dal Legislatore, risulta la recente sentenza n. 73 del 2010 della Corte Costituzionale, in cui il Giudice delle Leggi decide di adottare una prospettiva estensiva dell'art. 507 c.p.p. nell'argomentazione del rigetto. La questione sottoposta all'attenzione della Corte infatti verteva sul dubbio di costituzonalità sollevato da un giudice del tribunale di Torino, il quale era stato sollecitato dal Pubblico Ministero ad esercitare i poteri di cui all'art. 507 c.p.p. per sopperire alla mancata acquisizione di un elemento probatorio dovuto all'inerzia della parte, nel caso di specie per tardivo deposito delle liste testimoniali non avvenuto entro il