entro centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda al prefetto (articolo 1, co. 3 e 5, d.P.R. n. 361/00).
107 Vedi, ad esempio, E. C
ASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, p. 110, e, più
ampiamente, F. GALGANO, voce Fondazione. I) Diritto civile, in Enciclopedia giuridica, IVX, 1989, UTET,
cui si deve la definizione di fondazione come “stabile organizzazione predisposta per la destinazione di
un patrimonio ad un determinato scopo di pubblica utilità”, richiamata anche dal Dossier del Servizio
Studi della Camera dei Deputati relativo al d.l. n. 112/08, nonché P. RESCIGNO, Fondazione (diritto
civile), in Enciclopedia del diritto, XVII, Giuffré, 1968. Si segala altresì A. FUSARO, Fondazione, voce
Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, VIII, UTET, p. 359-360, che sottolinea come, in
assenza di una disciplina positiva, la fondazione sia stata intesa dapprima come un “complesso di beni
destinati ad uno scopo”, ponendo così l’attenzione sull’aspetto patrimoniale (per una sintesi storica sul
punto, cfr. D. VITTORIA, Gli enti del Primo libro del Codice Civile: l’attuale assetto normativo e le
prospettive di riforma, in P. RESCIGNO, (a cura di), Le fondazioni in Italia e all’estero, Padova, 1989,
pagg. 28 ss.). Altri, invece, hanno valorizzato l’elemento personale, come ad esempio D. VITTORIA, Le
fondazioni culturali ed il consiglio d’amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive della tecnica fondazionale, Riv. Dir. Comm., 1975, 1, p. 298 ss.
108 P. Forte, Le fondazioni come autonomie amministrative sociali, in G. P
ALMA – P. FORTE (a cura di), cit.,
p. 30 e ss. ricostruisce il meccanismo finanziario dato dal perseguimento di interessi collettivi attraverso l’immobilizzazione patrimoniale avvalendosi della visione economica, come fa anche, ma al fine di valutare l’attitudine delle c.d. fondazioni di origine pubblica al conseguimento dei benefici usualmente
derivanti dall’utilizzo di modelli organizzativi non profit, G. NAPOLITANO, Le fondazioni di origine pubblica:
ventennio, la fondazione è stata sovente utilizzata in tutte le ipotesi in cui si è ritenuto potesse garantire, meglio di altre forme organizzative, il perseguimento di scopi di rilevante utilità sociale nonché di interesse collettivo109.
La costituzione di fondazioni c.d. di origine pubblica può, dunque, essere collocata all’interno della più generale tendenza all’uso di forme di gestione non profit per l’esercizio delle funzioni pubbliche di forte impatto sociale, come tali non interessate dalle regole proprie dei modelli imprenditoriali tipici del mercato concorrenziale. La privatizzazione per fondazioni è, infatti, stata prevista con riferimento al settore assistenziale, a quello culturale, a quello della ricerca scientifica nonché, con profili peculiari (e alquanto dibattuti), rispetto al settore bancario.
Nelle ipotesi richiamate, le fattispecie previste dal legislatore si sono sempre discostate dall’impianto delle disposizioni civilistiche, recepite in larga misura ma molto spesso integrate, derogate o parzialmente surrogate da discipline specifiche di settore. Le distinzioni più evidenti tra i due ambiti (Codice civile e leggi di settore) sono rinvenibili, in particolare, con riguardo alla modalità di costituzione e alla composizione degli organi delle fondazioni nonché ai controlli pubblici sugli atti e sul funzionamento di questi soggetti.
L’uso delle fondazioni secondo le modalità accennate ha suscitato un ampio dibattito in dottrina, da cui sono emerse posizioni contrastanti quanto alla natura da riconoscere a detti enti a fronte della possibilità, in tutte le discipline speciali che ne prevedono la costituzione, di indici rivelatori della pubblicità. In ragione di ciò, si è sostenuto che l’utilizzo del modello privatistico della fondazione fosse stato prescelto solo al fine di aggirare alcuni vincoli pubblicistici imposti, in generale, dalla vigenza del principio di legalità e dalle sue ricadute operative in termini di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, particolarmente riguardo alla gestione del patrimonio110.
A questo orientamento critico, se ne affianca un altro per il quale nell’esame delle fondazioni di origine pubblica si pone la necessità di “abbandonare qualsiasi rappresentazione dogmatica dell’istituto di diritto comune ed evitare di trarne, per opposizione, la radicale inconciliabilità tra le prime e il secondo”. In tal senso, l’attenzione viene spostata dai profili strutturali della disciplina applicabile a questi soggetti (civilistica con deroghe date da specifici profili di pubblicità o pubblicistica
109 Vedi ancora P. R
ESCIGNO, Fondazione, cit., secondo cui alle fondazioni pubbliche si attribuisce valore
operativo, nel senso di escluderle dal regime dettato dal codice civile per le persone giuridiche di diritto privato. “Ma alla struttura del codice civile (…) si ritiene legittimo che l’interprete attinga, anche per gli
enti pubblici, le regole che attengono alla struttura e al contenuto normativo della personalità”.
Individua, invece, nell’immodificabilità degli scopi il limite principale delle fondazioni che perseguono fini
pubblici P. FORTE, Le fondazioni come autonomie amministrative sociali, in G. PALMA, P. FORTE,
Fondazioni. Tra problematiche pubblicistiche e tematiche privatistiche, Giappichelli, Torino, 2008, pag.
79. Secondo l’Autore, infatti, le fondazioni possono aggiungere nuovi scopi ma non possono far venir meno quelli originari (cfr.. Sul punto cfr. anche Cons. Stato, Comm. spec., parere 20 dicembre 2000, n. 288, in Cons. Stato, 2001, n. 2, I, 490).
110 Per una critica al “diritto pubblico speciale” delle fondazioni, vedi F. M
ERUSI, La privatizzazione per
tout court, con conseguente riconoscimento della natura di enti pubblici delle fondazioni in questione) alla loro funzione, comune in tutte le fattispecie, di destinazione del patrimonio allo scopo dato dal fondatore e del suo perseguimento con esercizio di attività a rilevanza pubblica.
In quest’ottica, applicando i principi dell’analisi economica del diritto pubblico, si prende in considerazione la capacità delle fondazioni di origine pubblica di ottenere i benefici solitamente attesi dai modelli non profit, intesi quali alternative alle inefficienze dell’azione amministrativa come anche del mercato111.
Posto che nelle fondazioni di origine pubblica, si è detto, le attività svolte hanno rilievo pubblicistico e che questo giustifica, entro i limiti dati dal rispetto del vincolo di destinazione del patrimonio, talune deroghe alle norme codicistiche, la dottrina ha tratto dalla fenomenologia tre tipologie di enti, classificati in ragione della funzione svolta: le fondazioni a base privata, le fondazioni a partecipazione privata e le fondazioni strumentali112.
Le prime erogano servizi e finanziamenti avvalendosi delle rendite patrimoniali e sono caratterizzate dal fatto che il patrimonio è storicamente alimentato da soggetti privati. Si tratta di enti che possono essere collocati nel novero delle formazioni sociali tutelate dall’articolo 2 della Costituzione e la cui costituzione deriva dalla volontà dei privati. Un esempio è dato dalle IPAB promosse e amministrate da privati113 oppure dalle fondazioni di origine bancaria114.
Le seconde erogano un bene collettivo e sono costituite per trasformazione di enti pubblici esistenti per i quali si ritiene che la forma giuridica “privata” sia maggiormente funzionale all’esercizio delle funzioni. Inoltre, nelle fondazioni di cui si discute assume un ruolo rilevante il coinvolgimento dei privati come apportatori di capitale ma anche di competenze gestionali utili ad accrescere l’efficienza complessiva dell’azione di interesse generale svolta mediante la fondazione.
Con riferimento ai principi costituzionali, alla luce della riforma del Titolo V avvenuta nel 2001, è ora possibile ricondurre le fondazioni a partecipazione privata ad una forma di attuazione della sussidiarietà orizzontale, come emergente ai sensi dell’articolo 118, co. 4. Si pensi, in tal senso, alle fondazioni derivanti dalla trasformazione dei musei e degli enti lirici.
111 G. N
APOLITANO, cit., p. 576-577.
112 La classificazione è ripresa, con alcune integrazioni, da G. N
APOLITANO, cit., p. 579-580.
113 In generale, la disciplina delle IPAB è ora contenuta nel d. lgs. n. 207/2001, attuativo della l. quadro
n. 328/2000, che deve essere contemperato con la legislazione regionale di settore intervenuta nell’esercizio della potestà residuale delle Regioni nella materia dell’assistenza sociale.
114 Per un quadro complessivo delle vicende relative a questi enti vedi, tra gli altri, F.M.E. E
MANUELE,
Evoluzione e vicende delle fondazioni di origine bancaria, ESI, 2006. In senso critico sulle predette
vicende, come d’altronde sull’uso delle fondazioni di origine pubblica in generale, vedi F. MERUSI, La
difficile vita delle fondazioni bancarie: la Corte Costituzionale fa chiarezza e la Cassazione confusione, in
S.RAIMONDI –R.URSI (a cura di), Fondazioni e attività amministrativa (Atti del convegno – Palermo, 13
maggio 2005), Giappichelli, 2006, e dello stesso AUTORE, Dalla banca pubblica alla fondazione privata.
Infine, le fondazioni strumentali sono utilizzate per realizzare processi di esternalizzazione mediante i quali l’ente pubblico fondatore delibera di portare fuori dal suo plesso organizzativo una funzione o un novero di funzioni e di affidarle ad un nuovo soggetto appositamente costituito. Questo disegno porta con sé due rilevanti conseguenze. La prima riguarda il ruolo dei privati nella fondazione, che non è più lo scopo principale della costituzione dell’ente, come nel caso delle fondazioni a partecipazione privata, ma diviene meramente eventuale. La seconda riguarda la destinazione del patrimonio, che diventa funzionale alla realizzazione di obiettivi propri dell’ente fondatore e non di terzi beneficiari da quello nettamente distinti. In tal senso, la dottrina ha richiamato la figura delle fondazioni di famiglia che, secondo l’articolo 28, co. 3, del Codice civile sono “destinate a vantaggio
soltanto di una o più famiglie determinate”115.
Un’ipotesi di fondazione strumentale nel diritto positivo è data dalle fondazioni culturali di cui al d.lgs. n. 368/1998116 e dalle fondazioni universitarie di cui all’articolo 59 della l. n. 388/2000117.
3. Il modello di fondazione di cui all’articolo 16 e il ruolo dei privati.
Come accennato in premessa, l’articolo 16 del decreto legge n. 112/2008 regola la facoltà delle università pubbliche di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Quanto al suo ambito di operatività, l’articolo citato fa riferimento riferito alle università pubbliche. In questa categoria sono comprese le università statali ma anche quelle non statali cui, com’è noto, a seguito del riconoscimento legale con decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca, si applica la legislazione universitaria vigente, fatte salve alcune distinzioni in relazione al sistema di finanziamento e alle modalità di governo. Per la stessa logica, la disposizione si ritiene applicabile ai Politecnici, alle Scuole e Istituti superiori a ordinamento speciale (come, ad es., la Scuola Normale Superiore di Pisa), alle Università per stranieri e alle Università telematiche non statali legalmente riconosciute. Si tratta, dunque, di una previsione che, in prospettiva, potrebbe interessare una pluralità di soggetti esistenti comportando, peraltro, sviluppi con esiti anche molto differenti da caso a caso.
È anche vero, però, che la previsione di cui all’articolo 16 ha carattere eventuale, ammettendo una possibilità di trasformazione del modello organizzativo che, a differenza di altre ipotesi nelle quali il legislatore ha imposto la modifica della
115 G. N
APOLITANO, cit., p. 581.
116 Su cui vedi G. F. S
CARSELLI, La gestione dei servizi culturali tramite fondazione, in Aedon, 2002, 1,
reperibile in www.aedon.mulino.it; S. FOÀ, Il regolamento sulle fondazioni costituite e partecipate dal
Ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, 2002, 1, reperibile in www.aedon.mulino.it; S. FOÀ, Lo statuto-tipo della fondazione museale: il caso del Museo egizio di Torino, in Aedon, 2003, 2, reperibile
in www.aedon.mulino.it.
117 Su cui vedi D. S
ORACE, Le fondazioni universitarie (di diritto speciale), in S.RAIMONDI –R.URSI (a cura
di), Fondazioni e attività amministrativa (Atti del convegno – Palermo, 13 maggio 2005), Torino, 2006;
natura giuridica in fondazione, non pone nessun obbligo in capo alle università118. Peraltro, nella pregressa previsione di utilizzo della fondazione quale strumento di esternalizzazione di funzioni proprie delle università, gli atenei che sono ricorsi a questa modalità organizzativa non sono stati numerosi119. Nel nostro ordinamento, infatti, già l’articolo 59 della legge n. 388/2000 aveva consentito alle università di costituire fondazioni per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca, col rispetto dei limiti (peraltro elastici) rappresentati dall’osservanza “del criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali,
che rimangono comunque riservate alle università”120. Per attuare detta previsione
è stato adottato un apposito regolamento, il d.P.R. n. 254/2001 recante i criteri e le modalità per la costituzione di fondazioni universitarie di diritto privato ai sensi della legge finanziaria 2001121.
Il disegno di fondazione emergente dall’articolo 16 del decreto legge n. 112/2008 può, innanzitutto, essere posto a raffronto con quello previsto dalla finanziaria 2001 e, alla luce dei modelli generali prima descritti (fondazione a base privata, a partecipazione privata e strumentale), è possibile evidenziare una sostanziale differenza.
Nell’ipotesi di cui alla l. n. 388/2000, infatti, si prevede la costituzione di una fondazione finalizzata all’esternalizzazione di funzioni proprie della struttura universitaria ma di natura strumentale e, in ragione, di ciò, distinte da quelle c.d. istituzionali, per le quali la legge non ammette se non la gestione diretta da parte dell’Ateneo122. L’individuazione puntuale delle attività in questione è stata
118 Vedi, ad esempio, il caso della trasformazione delle IPAB in associazioni o fondazioni di diritto privato
ai sensi dell’articolo 16 del d. lgs. n. 207/2001, in base al quale, decorso infruttuosamente il termine indicato, spetta alle Regioni nominare un commissario che provvede alla trasformazione e, qualora detta nomina non avvenga entro sei mesi, la stessa viene effettuata dal prefetto del luogo in cui l’istituzione ha sede legale.
119 Le fondazioni universitarie costituite in applicazione del disposto di cui alla l. n. 388/00 sono circa una
decina, alcune delle quali, però, ancora in attesa del riconoscimento della personalità giuridica o in via di costituzione. Tra le altre si segnalano la Fondazione Politecnico di Milano, la Fondazione IUAV, la Fondazione Marco Biagi di Modena e la Fondazione dell’Università di Salerno. Vedi i dati sulle fondazioni costituite all’indirizzo http://www.miur.it/0002Univer/0859Fondaz/index_cf2.htm e, per il caso specifico
dell’Università degli Studi di Padova, vedi S. DE GÖTZEN, Il nuovo modello delle fondazioni speciali
universitarie e le prime attuazioni: la fondazione università di Padova, in Dir. Reg., 2003, 3, p. 275 ss.
120 Vedi l’articolo 59, co. 3, l. n. 388/2000. Sul modello delinato dalla predetta legge, vedi R. F
INOCCHI, Le
università, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, Giuffré, 2003, Tomo II, p. 1386 e ss., che ha evidenziato la contraddizione insita nella previsione di avere obbligatoriamente rappresentanti dell’amministrazione centrale negli organi delle fondazioni cui si contrappone “la totale
assenza di indicazione di criteri e principi della disciplina delle incompatibilità, interamente rimessa agli statuti”. Sulla stessa disposizione, vedi anche D. MARCHETTA, Le nuove fondazioni universitarie, cit.
121 Per un commento su questo provvedimento, vedi G. M. R
ICCIO, Le fondazioni universitarie. Analisi del
D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254, in Nuova giur. civ. comm. 2002, 2, p. 141.
122 Riconduce agli interventi di riforma previsti dal Piano industriale del Governo la rinnovata attenzione
al tema delle esternalizzazioni nel settore pubblico come leva di crescita dell’efficienza nella gestione delle funzioni pubbliche, similmente a quanto avviene con l’uso dell’outsourcing nel settore privato, S.
effettuata dall’articolo 2 del d.P.R. n. 254/2001, che contiene l’elenco delle funzioni ammesse quale possibile oggetto di attività delle fondazioni123.
L’attuazione del disposto di cui alla l. n. 388/2000, si è detto, avrebbe potuto comportare la “proliferazione” dei soggetti esistenti, legittimando la facoltà di ciascuna università di affiancare alla propria struttura originaria una fondazione alla prima strettamente connessa e sottoposta a stringenti poteri di indirizzo e controllo ma, sotto il profilo organizzativo, nettamente distinta ed autonoma. Si tratta, dunque, di un modello che può essere ricondotto allo schema delle fondazioni strumentali, in continuità, peraltro, con i contenuti della Relazione illustrativa di accompagnamento al già richiamato d.P.R. n. 254/2001, nel quale viene rilevato “il carattere strumentale proprio dagli enti in questione, tale da precluderne ogni scopo di lucro, e che comporta altresì interventi in termini di indirizzo e vigilanza da parte dell'università, circa l’effettiva cura dagli stessi posta nel perseguirne l’interesse”.
Il modello tratteggiato dall’articolo 16 della legge n. 133/2008, invece, prevede l’estinzione di un soggetto giuridico pubblico esistente (l’università fondatrice) e la costituzione di un nuovo soggetto, che subentra “in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università” (articolo 16, co. 2, l. n. 133/2008). In altre parole, l’applicazione dell’articolo in commento comporta una trasformazione su base eteronoma “assimilabile ad un fenomeno di estinzione dell’ente pubblico” coinvolto, “con contemporanea creazione di un soggetto privato con la medesima o diversa denominazione, al quale viene contestualmente affidata l’attività prima
gestita, in via diretta, dalla pubblica amministrazione”124.
Rispetto ai tipi individuati nel paragrafo precedente, la fattispecie ex articolo 16 potrebbe, dunque, essere inquadrata nel modulo delle fondazioni a partecipazione privata. In favore di questa ipotesi, giovano il co. 6 dell’articolo in questione, in
MAINARDI, La trasformazione delle Università in Fondazioni. Profili di diritto del lavoro, in Gior. dir. amm.,
2008, 11, p. 1169.
123 L’articolo 2 del d.P.R. n. 254/2001 recita: “Le fondazioni possono svolgere, a favore e per conto degli
enti di riferimento, una o più delle seguenti tipologie di attività, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti: a) l'acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato; b) lo svolgimento di attività strumentali e di supporto della didattica e della ricerca scientifica e tecnologica, con specifico riguardo: 1. alla promozione e sostegno finanziario alle attività didattiche, formative e di ricerca; 2. alla promozione e allo svolgimento di attività integrative e sussidiarie alla didattica ed alla ricerca; 3. alla realizzazione di servizi e di iniziative diretti a favorire le condizioni di studio; 4. alla promozione e supporto delle attività di cooperazione scientifica e culturale degli enti di riferimento con istituzioni nazionali ed internazionali; 5. alla realizzazione e gestione, nell'ambito della programmazione degli enti di riferimento, di strutture di edilizia universitaria e di altre strutture di servizio strumentali e di supporto all'attività istituzionale degli enti di riferimento; 6. alla promozione e attuazione di iniziative a sostegno del trasferimento dei risultati della ricerca, della creazione di nuove imprenditorialità originate dalla ricerca ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera b), n. 1) del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297, della valorizzazione economica dei risultati delle ricerche, anche attraverso la tutela brevettale; 7. al supporto all'organizzazione di stages e di altre attività formative, nonché ad iniziative di formazione a distanza”.
124 S. M
base al quale “Lo statuto può prevedere l'ingresso nella fondazione universitaria di nuovi soggetti, pubblici o privati”, e il precedente co. 5, secondo cui “I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento”.
Si tratta, com’è evidente, di disposizioni atte ad incentivare la partecipazione dei privati all’interno della neo costituita fondazione, posto che la stessa, quanto meno sotto il profilo formale, rimane meramente eventuale e non costituisce condizione di legittimità per la decisione di costituzione del nuovo soggetto giuridico.
D’altro canto, la lettura dell’articolo 16 con criteri di opportunità e ragionevolezza, esulando cioè dalla mera analisi letterale del testo, porta ad affermare che la ratio ispiratrice della facoltà di trasformazione in fondazioni delle università pubbliche risieda proprio nella possibilità di sfruttare, con le possibilità di partecipazione stabile ammesse dal nuovo modello giuridico, risorse e competenze dei soci privati al fine di migliorare la gestione e l’organizzazione degli atenei.
Non è chiaro, piuttosto, quale debba essere il ruolo di questi soggetti all’interno delle fondazioni ex articolo 16 del d.l. n. 112/2008. La genericità della norma sul punto permette, infatti, di ipotizzare due tipologie di partecipazione, una “di capitale” in cui il privato si limita a contribuire all’accrescimento del patrimonio della fondazione universitaria, e l’altra “operativa”, in cui vi sia, oltre al contributo economico, anche l’offerta di competenze professionali utili all’amministrazione complessiva del nuovo ente. La prima delle due opzioni sembra essere rafforzata da un’analisi letterale del co. 9 dell’articolo 16 che, nel ribadire la vigenza del sistema pubblico di finanziamento delle università, assegna valore a fini perequativi all’”entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione”125.
D’altro canto, sembra qui riproporsi, in termini parzialmente differenti, la discussa problematica del ruolo dei privati nelle società miste per la gestione dei servizi pubblici, in merito alla quale la giurisprudenza comunitaria e nazionale, individuando le condizioni minime di legittimità per l’affidamento diretto alle predette società, ha ribadito che il socio privato deve configurarsi come “industriale e operativo” concorrendo materialmente allo svolgimento del servizio. In quest’ottica, nei bandi di gara mediante cui viene affidato il servizio e, contestualmente, viene effettuata la selezione del socio, devono essere contenuti specifici requisiti organizzativi associati a quelli economico-finanziari, in modo da permettere che la selezione avvenga in favore del soggetto che cumula le