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Aemulus di Achille: a Roma piacciono i secondi?

Capitolo 1. AIACE SECONDO CLASSIFICATO

1.1. Il migliore dopo Achille

1.1.2. Aemulus di Achille: a Roma piacciono i secondi?

In Omero Aiace è il migliore, sì, ma dopo Achille. Tale definizione gli preclude la possibilità di un giudizio più autonomo e indipendente, che permette per esempio ad altri eroi di essere chiamati, senza confronto alcuno, i migliori dei Greci. In modo apparentemente paradossale, ma in realtà determinato dall’assunzione di due modalità di giudizio differenti, Diomede può dunque essere assolutisticamente definito ἄριστος Ἀχαιῶν (Hom. Il. 5.103, 414), e tale può proclamarsi Agamennone (Hom. Il. 1.91, 2.82). Aiace, al contrario, resta sempre, relativisticamente assegnato al ruolo di ἄριστος μετ᾿ ἀμύμονα Πηλεΐωνα.18

18 Sui primati “assolutistici” di Diomede e Agamennone cf. Nagy (1979) 30-1 che ne rileva però impliciti

toni infausti. Toni che in effetti potrebbero riversarsi anche su Aiace nell’unica occasione in cui sembra aggiudicarsi il primato di migliore. In Hom. Il. 7.289 il Telamonio viene in effetti definito il guerriero più abile degli Achei, con la lancia: περὶ δ᾿ ἔγχει Ἀχαιῶν φέρτατός ἐσσι. Tuttavia, oltre a essere limitata a un solo campo d’azione (l’uso della lancia) la definizione viene dallo sfidante Ettore, proprio nel momento in cui egli accetta la sospensione del duello e ne decreta l’esito paritario: un esito, come già detto, deludente per “il migliore dei Greci” e accolto in effetti con incredulità e gioia dai nemici troiani (Hom. Il. 7.307-9). Lo stesso Aiace poi, “il migliore con la lancia”, finirà per gareggiare ed essere battuto da Diomede proprio in questa specialità. Inoltre, definire

Inoltre, la condizione di secondarietà relativa in cui Aiace viene collocato rispetto ad Achille determina esiti inaspettati non solo nel duello con Ettore ma anche in altri confronti:19 nei giochi per i funerali di Patroclo Aiace non riesce a ottenere il titolo di campione nella lotta libera, dove il suo vigore di eroe πελώριος avrebbe dovuto avere la meglio sullo sfidante, Ulisse. E nemmeno nel duello con la lancia Aiace ottiene il primo posto, battuto da Diomede. La secondarietà in cui il confronto con Achille lo colloca sembra cioè estendersi anche agli altri confronti iliadici, fino a fare dell’eroe un eterno secondo.

È possibile che, in racconti dove il confronto tra Aiace e Achille aveva forse assunto vesti diverse, la secondarietà non arrivasse a connotare così fortemente le vicende dell’eroe. Nel resoconto dei giochi per Patroclo fatto da Igino, Aiace non risulterà sconfitto ma, insieme a Menelao, sarà in effetti l’unico vincitore di quei ludi ad essere ricordato, primo classificato nella gara di lotta (Hyg.

fab. 273.13): quarto decimo Achilles Patroclo funebres, in quibus Aiax vicit lucta. Igino sembra

dunque seguire una versione dell’episodio diversa da quella narrata nell’Iliade. Una versione, accolta dal, o sviluppatasi nel, mondo romano, in cui Aiace restava forse meno penalizzato dalla secondarietà ad Achille e poteva così esprimere più liberamente – e più coerentemente con la propria stazza – la superiorità del proprio vigore guerriero. Fino a ottenere finalmente una vittoria.

Nel mondo romano, in effetti, il confronto con il modello ideale del Pelide poteva aver agito in modo particolare sulla ricezione di Aiace. Innanzitutto, a Roma, arrivare secondi non è un disonore. Già Cicerone nell’Orator scriveva che, non potendo tutti raggiungere un primato d’eccellenza, lecito e meritevole era classificarsi secondi o terzi (Cic. orat. 1.4): prima enim sequentem honestum est in

secundis tertiisque consistere. Oltre a Omero, chiarisce infatti Cicerone, c’è spazio per Sofocle,

Pindaro e molti altri. Né la grandezza di Platone ha impedito ad Aristotele di scrivere dopo di lui, o a altri di continuare gli stessi studi. E in questo elenco di migliori, gerarchico ma non penalizzante, troverà posto proprio la figura di Aiace, usata da un altro autore latino come modello mitico della medesima riflessione. Quintiliano infatti, recuperando esplicitamente il passo ciceroniano, porterà come esempio non solo Omero (l’eccellenza) e Tirteo (il meritevole secondo) ma anche la virtus militare di Achille e di Aiace (Quint. inst. 12.11.26-7):

[…] tamen est, ut Cicero ait, pulchrum in secundis tertiisque consistere. neque enim si quis Achillis gloriam in rebus bellicis consequi non potest, Aiacis aut Diomedis laudem aspernabitur, nec qui Homeri † non fuerunt Tyrtaei.20 quin immo si hanc

“migliore dei Greci” colui che il testo iliadico aveva ormai definito più di una volta “il secondo migliore dopo Achille”, potrebbe anche conferire alle parole di Ettore «the effect of presaging the outcome of a fatal defeat when he comes to confront Achilles himself», come scrive Nagy (1979) 32. Anche questo singolare primato sarebbe dunque funzionale a un confronto con Achille, il vero migliore.

19 Sui casi di seguito discussi cf. O’Higgins (1989) 47, in particolare n. 20 e 21 per ulteriore bibliografia. 20 La lettura è dubbia in questo punto, cf. Cousin (1980) 145 che completa comunque la conclusione della

frase in traduzione: «qui n’ont pu être des Homères ‹dédaigneront-ils› d’être des Trustées». La crux, infatti, non inficia il senso generale del passo, che appare abbastanza chiaro, né mette in dubbio il ricorso all’esempio di Aiace in qualità di “meritevole secondo”.

cogitationem homines habuissent, ut nemo se meliorem fore eo qui optimus fuisset arbitraretur, ii ipsi qui sunt optimi non fuissent, nec post Lucretium ac Macrum Vergilius nec post Crassum et Hortensium Cicero, sed nec illi qui post eos fuerunt.

Essere “secondi” non implica dunque uno stato disonorevole, così come non è disonorevole essere un Tirteo o un Aiace. Anzi, essere “secondi” si inserisce in un processo di dinamismo sociale e culturale che, dal confronto con gli esempi passati, può portare al miglioramento: dal confronto con un grande modello, cioè, si può meritevolmente risultare sconfitti nel tentativo di imitarlo, oppure, proprio grazie all’energia innescata dall’emulazione, giungere al livello superiore. Altrimenti, scrive Quintiliano, non ci sarebbe stato un Virgilio dopo Lucrezio, o un Cicerone dopo Crasso e Ortensio. Essere secondi, in altre parole, è essere aemuli: meritevoli dunque di aver replicato, con l’imitazione, un precedente exemplum di valore e potenzialmente capaci di diventarne rivali, in una competizione sana e positiva, volta al miglioramento del medesimo esempio.

A Roma il concetto di “secondarietà” si semantizza dunque nel più ampio quadro culturale e sociale dell’aemulatio: una tensione costante a emulare (aemulus come imitatore) gli exempla passati, letterari, retorici o morali, in una condivisione di valori che si definisce come collante sociale e all’interno della quale trovano spazio processi di rivalità (aemulus come rivale) e mobilità interna. È in questo senso che la vicinanza di Aiace all’exemplum di Achille può quindi essere interpretata. E proprio come aemulus del Pelide viene definito l’eroe Telamonio nel teatro romano arcaico. In un frammento di incerta attribuzione ma certamente legato all’episodio della contesa Aiace chiede che gli vengano attribuite le armi del Pelide, di cui è aemulus per valore (inc. trag. 52-4 R3):21 mest

aecum frui / fraternis armis mihique adiudicarier / vel quod propinquus vel quod virtute aemulus. Aemulus di Achille per virtù, e non eterno secondo, si presenta dunque questo Aiace romano,

recuperando la propria tradizionale vicinanza al modello del Pelide senza però tracciare un dislivello qualitativo, né richiamando la propria funzione di sostituto iliadico. A essere sottolineato è piuttosto il merito di questa sua assimilazione all’esempio ideale, aggiungendovi anzi quella prossimità di parentela che, taciuta da Omero, viene qui innalzata a un legame fraterno.22

Anche quando, unico caso latino, verrà recuperato l’esplicito stato di secondarietà di Aiace, esso non bloccherà l’eroe in una condanna al non-primato. A Roma, infatti, il Telamonio diventa un heros

ab Achille secundus (Hor. sat. 2.3.193).

21 I versi sono assegnati all’Armorum iudicium di Accio da Warmington (1936) e come tale considerati da

Hardie (2015) 223. Per ulteriori riferimenti bibliografici, cf. Dangel (1995) 301.

22 Presentandosi come un aemulus di Achille per virtù e legato a lui da un legame quasi fraterno, questo

Aiace sembra inoltre ricomporre una di quelle «coppie equivalenti» di eroi, tra loro compagni e spesso anche fratelli, ben note alla storia arcaica di Roma. Cf. Cipriani (1993) 544 e Bettini–Borghini (1983) 307. La coppia Aiace/Achille potrebbe infine accostarsi, nella mente romana, a quelle “coppie istituzionali” equivalenti (i consoli), o anche gerarchicamente differenziate (dictator e magister equitum), dove meriti e cooperazione erano in ogni caso parimenti riconosciuti e richiesti, né l’essere secundus era motivo di “secondarietà” nella virtus.

La sua secondarietà viene cioè definita come una seconda emanazione del modello di valore incarnato da Achille, più che come un’espressione di secondo livello, inferiore e al massimo temporaneamente sostitutiva del vero campione. In un mondo come quello romano, che fonda e costruisce i propri paradigmi etici sull’aemulatio e sull’esemplarità di modelli tradizionalmente riconosciuti, il termine secundus acquista infatti un significato fondamentale: essere secundus ab

aliquo, quando questo qualcuno sia un eccellente primus, è parte di quelle dinamiche di sana rivalità

nella virtus che intesse la vita sociale e culturale della collettività; essere secondi è, in questo senso, essere dei “secondi esempi”, cioè incarnazioni e promulgatori di paradigmi di valore ricorsivi, su cui la civitas si fonda e rinsalda.

Senza alcuna penalizzazione gerarchica o qualitativa, del resto, al Senato fu chiesto di eleggere un secundus Romulus da porre alla guida di Roma (Liv. 1.17.11). E di grandissimo prestigio era stato il titolo di secundus a Romulo conditor urbis Romanae, conferito a Camillo per i suoi meriti verso la res publica (Liv. 7.1.10). Al contrario, a Roma, tutto ciò che è novitas può sempre essere percepito come sovversivo, pericoloso. I veri modelli di valore sono quelli che si fanno aemuli dei grandi esempi tradizionali, in una condivisione di nuclei etici che determina una linea di “secunda

exempla” potenzialmente infinita, e necessaria per la coesione sociale. Figure prive di legami con

gli esempi del passato rischiano di apparire estranee a questo complesso di valori comuni, a questa costante attualizzazione di esempi passati che sfuma la gloria del singolo nell’orizzonte collettivo. Pericolosamente isolati risultano quindi protagonismi come quello del Turno virgiliano, personaggio dall’eroismo valoroso ma ingombrante e monolitico, che si dichiara secundus a nessuno dei suoi predecessori (Virg. Aen. 11.441): Turnus ego, haud ulli veterum virtute secundus.23

Certo non mancavano a Roma rivalità e personalismi che, soprattutto dagli ultimi anni del I a.C., avevano sempre più corroso quel senso di unità e condivisione di valori che, con alterne fortune, aveva garantito la stabilità sociale repubblicana, a guida aristocratica.24 Nel dirompere di ambizioni al potere individuale non più controllate dal corpo collettivo, essere secundus non potrà quindi più

23 Turno sta qui dichiarando la propria devozione a Latino (Verg. Aen. 11.440-2: vobis animam […]

devovi), implicando, con la scelta del verbo devoveo, memorie di grandi exempla di devotio romana. Cf. Horsfall (2003) 271, che tuttavia non sembra notare la pericolosità di questo implicito richiamo. Certo grandi protagonisti di devotiones romane come i Decii (che pure si erano intravisti nell’Eliseo di Verg. Aen. 6.824) sono ancora lontani dall’orizzonte cronologico dell’Eneide, ma non certo dal suo orizzonte ideale e culturale. L’affermazione di Turno sembra dunque suggerire una presunzione di superiorità ed eccezionalità rispetto a ogni possibile exemplum, proprio mentre l’implicito cortocircuito cronologico finisce per metterlo in parallelo a esempi romani futuri, ma in realtà già passati.

24 Già Gruen (1996) parla di un equilibrio fra autopromozione personale e rispetto di valori collettivi: un

equilibrio che, primi fra tutti, i membri dell’élite repubblicana erano chiamati a incarnare e promuovere per garantire stabilità e coesione sociale, «thereby providing a mirror», come si legge nel più recente Barstch (2006) 123, in cui la comunità potesse trovare e riconoscere i propri modelli. Sull’aemulatio romana, collante sociale e al contempo stimolo di rivalità, riflessa nella coppia originaria di aemuli, quella di Romolo e Remo, cf. Wiseman (1995) 16-28.

essere sufficiente: già Cesare, per esempio, almeno secondo quanto scriverà Plutarco, preferirà essere primo in un villaggio, piuttosto che secondo a Roma (Plu. Caes. 11.4).25

E sarà poi nella lotta per un potere personale ormai di fatto assoluto, quello dell’impero, che non ci sarà più spazio per i “secondi” e per gli aemuli. Il potere non sarà più res publica ma di fatto

regnum, un potere solus e, come dirà l’Eteocle della Tebaide, che non ammette compagni (Stat. Theb. 1.168): nusquam par stare caput. In questo nuovo quadro politico e culturale, dove la figura

al comando è unica e assoluta, arrivare secundus, dunque, significa perdere.

Forse proprio a causa di questo irreversibile cambiamento sociale e politico, la secondarietà di Aiace ad Achille non troverà in effetti più spazio nell’immaginario letterario imperiale: la figura positiva di un Aiace aemulus o ab Achille secundus, che tanto era somigliato ai “secunda exempla” dell’etica repubblicana, scompare. L’unico processo di imitazione valoriale che lo coinvolge è di tipo diverso, e certo più adatto all’orizzonte imperiale rispetto all’aemulatio repubblicana che il più tradizionale confronto con il Pelide aveva potuto veicolare. Così, nelle Satire di Giovenale, mentre Achille viene comparato a Peleo, Aiace viene messo a confronto con il padre Telamone (Iuv. 14.210- 14):

talibus instantem monitis quemcumque parentem sic possem adfari: ‘dic, o vanissime, quis te festinare iubet? meliorem praesto magistro discipulum. securus abi, vinceris, ut Aiax praeteriit Telamonem, ut Pelea vicit Achilles’.

I figli superano il proprio padre, in una emulazione competitiva di virtus che potrebbe somigliare alle positive dinamiche dell’aemulatio. Ma il contesto rivela un amaro senso satirico: tutta la battuta è pronunciata da un corrotto maestro di retorica che, promettendo figli migliori dei padri, sarà invece responsabile della corruzione dei propri giovani alunni. La scelta di nominare, tra gli esempi, proprio Aiace potrebbe concorrere all’amarezza ironica del passo: il confronto di Aiace con il padre non è infatti facilmente definibile in termini di miglioramento. È un confronto che domina i pensieri del Telamonio già nella tragedia sofoclea26 e sembra familiare anche ai drammi latini, dove Aiace si preoccupa ugualmente delle reazioni del padre alla propria rovina (Acc. trag. 153 R3): maior erit

luctus cum me damnatum audiet. Il Telamonio non sembra dunque il modello più indicato per la

casistica dei “figli migliori dei padri”, tanto che, in effetti, non compariva nel simile elenco ovidiano

25 Si intravede, nelle parole di Cesare, l’opposto lamento di Achille nell’Ade omerico. La potenziale

allusione potrebbe dunque sollevare cupe ombre su questo desiderato primato: Cesare che, come l’Achille iliadico, è destinato ad essere il primo, il migliore, sarà anche condannato a una tragica fine che potrebbe spostare le sue preferenze, anche se troppo tardi, verso una vita modesta, come quella desiderata dall’Achille odissiaco. Cf. Pelling (2011) 182.

26 Aiace è incapace di sopportare la propria vergogna, anche e soprattutto davanti allo sguardo del genitore

(Ov. met. 15. 856-9) a cui Giovenale probabilmente guardava.27 L’ironia del poeta satirico addita dunque implicitamente, anche attravero il ricorso ad Aiace, un’inversa e deteriorata tendenza dell’aemulatio: nella corrotta Roma imperiale, il superamento auspicato dal secundus ab aliquo si rivela solo un avanzamento in peggio.