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Capitolo 2. L’ARMORUM IUDICIUM: UNA CAUSA ROMANA

2.1. Gladiatori e oratori

Aiace e Ulisse rivaleggiano de virtute, cercando di conquistarsi il titolo di migliore, in una contesa il cui possibile esito “manesco” ben si accorderebbe, in effetti, con il contesto: il confronto tra i due eroi si colloca infatti tra quelle competizioni atletiche, “fisiche” dunque, indette nell’esercito acheo per i funerali del Pelide. In un’occasione analoga, quella dei giochi per i funerali di Patroclo, aveva del resto avuto luogo il primo vero scontro tra i due eroi.

63 Come era stato per Achille e Agamennone e come suggeriscono alcune attestazioni archeologiche

Già qui, le diverse qualità dei due contendenti, che si esprimeranno poi nel contrasto valoriale della contesa, vengono esplicitamente ricordate (Hom. Il. 23.708-10): mentre avanzano entrambi ἐς μέσσον ἀγῶνα, il μέγας Aiace si trova infatti contrapposto al πολύμητις Ulisse. La gara, qui, è una gara di lotta e l’eroe-baluardo Aiace dovrebbe essere avvantaggiato: invece, dopo un lungo momento di apparente parità sarà poi Ulisse, tra l’ammirazione di tutti (23.728: λαοὶ δ᾿ αὖ θηεῦντό τε θάμβησάν τε), a colpire da dietro il polpaccio del Telamonio facendogli perdere l’equilibrio. Non si tratta però di una completa vittoria e la gara è sul punto di proseguire quando Achille interviene, decretando il pareggio: un esito che ricorda da vicino quello del duello tra Aiace e Ettore, ugualmente finito in un pareggio, inaspettato, vista la dichiarata superiorità fisica di Aiace. In entrambi i duelli, questa superiorità promette più di quel che mantiene. Nel caso di Ulisse, tuttavia, il mancato trionfo di Aiace potrebbe essere dovuto non solo alla posizione di eterno secondo in cui la relativizzazione iliadica (Aiace, “il migliore dopo Achille”) spesso lo bloccava ma anche al “ricordo” di un fatto mitico pur successivo alla sezione cronologica della trama omerica: la contesa per le armi. Tutta la vicenda iliadica dei giochi funebri in onore di Patroclo trovava infatti il proprio più illustre modello in quelli celebrati per il morto Pelide:64 come a corrispondere e raddoppiare la rivalità tra Aiace e Ulisse che la tradizione collocava durante i funerali di Achille, il poeta omerico potrebbe dunque aver costruito la gara di lotta tra i due eroi dove, proprio come avverrà nella contesa, le qualità fisiche e militari del μέγας Aiace finivano sconfitte da quelle del πολύμητις Ulisse.

Gli interconnessi rapporti tra il duello con Ettore, la gara di lotta iliadica e la vicenda mitica della contesa dovevano aver sortito un certo effetto nella ricezione romana di Aiace. Avvezza per storia e storiografia a vicende di duelli e confronti uno-a-uno, la sensibilità romana assimila in effetti l’Aiace omerico, sfidato da Ettore, ai tanti eroi repubblicani che avevano accettato di battersi contro i campioni barbari, anche se talvolta proprio la straordinaria stazza dell’eroe aveva rischiato di avvicinarlo al modello opposto, quello del gigantesco avversario del modus romano.Specchio più immediato e fruibile di queste arcaiche monomachie era poi un altro modello di scontro uno-a-uno a cui la figura dell’Aiace “duellante” poteva ugualmente assimilarsi: quello dei duelli gladiatori dell’arena romana.65 E, in effetti, il iudicium armorum romano sembra assumere, almeno in alcuni tratti, un aspetto non troppo lontano da quello di un vero e proprio combattimento. Tratto ricorrente e spesso messo in bocca ad Aiace, fin dalle prime contese latine, è per esempio la preoccupazione di misurarsi con un rivale alla propria altezza, contro il quale battersi sia motivo di gloria, non di offesa.

64 «The book 23 funeral games clarly foreshadow the judgment of arms, the event which leads directly to

Aias’s suicide» scrive Duffy (2008) 85. Cf. anche Kullmann (1960) 167 e Burgess (2001) 142.

65 La sfida gladiatoria ricreava nell’attualità dell’arena «the same timeless mythological atmosphere» dei

duelli eroici (cf. Coleman (1990) 67) e, viceversa, i combattimenti degli eroi repubblicani potevano essere immaginati come degli spectacula di gladiatori (così, per esempio, Liv. 7.10.7 descrive Manlio Torquato e lo sfidante gallo come duo in medio armati spectaculi magis more quam lege belli destituuntur).

Così avviene nel dramma di Pacuvio (Pacuv. trag. 25 R3): an quis est, qui te esse dignum quicum

certetur putet? Chi mai giudicherebbe Ulisse degno di essergli rivale, sembra chiedersi qui il

Telamonio. Simili sono i toni assunti dall’Aiace di Accio (Acc. trag. 147 R3): quid est cur

componere ausis mihi te aut me tibi? Come osa Ulisse mettersi al suo stesso livello, si domanda

Aiace. L’uso del verbo componere (“giustapporre” e quindi anche “sfidare”) è significativo: lo stesso verbo viene infatti demandato a impiegare l’istituirsi di una sfida prettamente guerriera, quella gladiatoria. Così, in Lucilio, il deplorevole Aeserninus viene indegnamente compositus con il migliore dei gladiatori, Pacideiano (Lucil. 149-52 Marx): Aeserninus […] / spurcus homo, vita illa

dignus locoque / cum Pacideiano conponitur, optimus multo post homines natos gladiator qui fuit unus. Il confronto si presenta impari, come quello lamentato dall’Aiace delle contese romane. Tanto

che Pacideiano si dichiara pronto a farsi colpire per primo, sicuro della propria superiorità, in un eccesso di tracotanza che in parte emergeva già dall’atteggiamento riservato dall’Aiace iliadico allo sfidante: anche il Telamonio aveva infatti concesso il primo colpo a Ettore, mostrando una sicurezza di sé simile a quella del gladiatore. Se tuttavia nel caso di Pacideiano lo sfidante sembra davvero corrispondere a un’inferiorità fisica e morale (spurcus homo), l’atteggiamento dell’Aiace iliadico nei confronti di Ettore appare meno fondato, e finiva forse per sollevare sospetti di tracotanza.66 Tipico dunque dei duelli epici e gladiatori, il problema della disparità tra contendenti caratterizza dunque anche la sfida per le armi di Achille e ricompare, con prospettiva opposta, in un altro frammento della tragedia di Accio (Acc. trag. 148-9 R3):

. . . . nam tropaeum ferre me a forti viro

pulcrum est: si autem vincar, vinci a tali nullum ‹mi› est probrum.

I versi sono tramandati da Macrobio (Macr. S. 6.1.56) che li cita in relazione a un passo virgiliano dal contesto decisamente militare (Verg. Aen. 10.445-50): qui è Pallante, il giovane e meno vigoroso guerriero, a stupirsi davanti all’ingens corpus di Turno, contro il quale si appresta a scontrarsi. È poi sempre Pallante a prospettarsi la gloria delle spoglie opime, in caso di vittoria, o di una bella morte, se ucciso dal nemico. La somiglianza tra la battuta di Pallante e quella, di senso analogo ma ribaltato, del frammento tragico sembra qui suggerirne l’attribuzione a Ulisse:67 era lui l’eroe apparentemente in svantaggio, almeno su un piano fisico, rispetto al πελώριος Aiace. Verbalizzata da uno dei due contendenti, chiara appare in ogni caso la ripresa di questo elemento tipico del duello guerriero, come se l’andamento della contesa, che già nelle sue realizzazioni greche si era da tempo fissata nella forma di un agone retorico, volesse in realtà muoversi nella direzione della lotta fisica, di una

66 Sulle somiglianze tra l’Aiace del duello iliadico, il gladiatore luciliano e la sbruffoneria barbarica vd.

Parte I sez. 2.2. Anche nella scena gladiatoria del frammento satirico possono dunque riecheggiare tanto i duelli iliadici quanto quelli repubblicani, tre mondi accomunati da ripetibili e riconoscibili elementi narrativi.

sfida concretamente de virtute. In effetti, la stessa struttura oratoria tradizionalmente associata alla vicenda della contesa sembra altrove accostarsi esplicitamente all’immagine di un vero e proprio combattimento. In una delle Satire Menippee di Varrone, tramandata con il titolo Armorum

iudicium,68 l’episodio pare infatti fondersi con la metafora dello scontro fisico, del rixare (Varr.

Men. 43 Bücheler6):

illic viros hortari ut rixarent praeclari philosophi.

Il senso e il contesto restano molto dubbi, come spesso accade con gli scarsissimi frammenti varroniani. Il titolo tuttavia rimanda chiaramente alla vicenda della contesa che, direttamente o indirettamente, poteva essere richiamata nel corso della satira. È possibile che il confronto tra i due caratteri eroici incarnati da Aiace e Ulisse carpisse l’interesse dei praeclari philosophi che sembrano qui esortare i due rivali mitici a battersi, facendone forse “figure” di diverse posizioni etiche e filosofiche. Ma è anche possibile che il frammento veda dei viri intenti a esortare alla rissa i praeclari

philosophi: i due contendenti dunque sarebbero dei filosofi, pronti a sfidarsi, e paragonati

burlescamente ad Aiace e Ulisse; o ancora, potrebbero essere gli stessi eroi ad essere paragonati a filosofi “in lotta”.69 «Di più, philosohus potrebbe avere qui il senso che talora ha nella commedia, di abile nell’alterco sino a sopraffare coi suoi ragionamenti capziosi l’avversario».70 Al dileggio dei filosofi e, insieme, ad una scena di lotta potrebbe essere in effetti dedicato anche il frammento precedente, l’unico altro superstite della satira (Varr. Men. 42 Bücheler6): ut in litore cancri digitis

primoribus stare.71 L’immagine della camminata obliqua dei granchi sembra infatti alludere ai mai diretti discorsi dei filosofi. Filosofi che, forse anche qui in lotta, si muoverebbero dunque “in punta di piedi”, come degli avversari intenti a studiarsi prima di lanciarsi l’uno contro l’altro: così si muoveranno in effetti anche due guerrieri virgiliani, pronti a sfidarsi nella gara di pugilato durante i giochi per i funerali di Anchise.72

68 Lo stesso titolo è assegnato anche a un’atellana di Pomponio, il cui medesimo intento paratragico

suggerisce dunque una certa diffusione della trattazione satirica di questo episodio. Anche dell’atellana resta pochissimo: troviamo però la contorta espressione ascendibilem semitam (al posto di un ben più comune scalam), usata dal personaggio della satira, un poveraccio, forse nell’intento forzato quanto ridicolo di elevazione retorica. Cf. Salanitro (1979) 366 per una sintetica ma utile discussione di questo parallelo.

69 È infatti possibile intendere preclari philosophi come soggetto dell’infinito (narrativo o di un videntur

da cui l’infinito è retto), come fa Cèbe (1974) nella sua traduzione; ma è anche possibile che il soggetto di hortari sia sottointeso o che sia lo stesso viros (in un’infinitiva oggettiva). Preclari philosophi sarebbe quindi il soggetto della completiva rixarent (così, rispettivamente, Canal (1874) 661-2 e Salanitro (1979) 366). Per un riassunto delle numerose interpretazioni cf. Della Corte (1953) 10, 156 e Cèbe (1974) 179-181.

70 Traglia (1993) 857 con n. 592 per rilevanti paralleli comici.

71 Cèbe (1974) 179 inverte l’ordine dei frammenti senza però una reale necessità, almeno secondo Traglia

(1993) 856.

72 Verg. Aen. 5.429: constitit in digitos extemplo arrectus uterque / bracchiaque ad superas interritus

I due filosofi varroniani potevano quindi apparire pronti a rixare proprio come avevano fatto i loro contraltari mitici, Ulisse ed Aiace, avversari nel duello oratorio ma, già prima, nella gara di lotta. Viceversa, la stessa pratica retorica, e dunque la contesa oratoria di Aiace e Ulisse, poteva essere descritta nei termini di un vero e proprio combattimento: in una realtà come quella romana, dove l’arte della parola è arma fondamentale della vita politica e sociale, pugnare in proelio è ciò che deve essere insegnato ai giovani oratori (Tac. dial. 34.3). Anzi, Seneca retore si paragonava proprio a un produttore di spettacoli gladiatori, lui che “componeva”, appunto, le coppie di oratori e di arringhe che si sfidavano nella sua raccolta di controversiae (Sen. contr. 4 praef. 1): quod munerarii solent

facere […], hoc ego facio. Se Ulisse veniva compositus ad Aiace come in una sfida gladiatoria, allo

stesso immaginario viene dunque ascritta la pratica degli esercizi retorici. Ecco che allora, proprio la rivalità tra i due eroi mitici può essere percepita e utilizzata come uno di quei “duelli retorici” costruiti e raccolti nella produzione teorica romana.73 Già nella Rhetorica ad Herennium non rari sono gli esempi tratti dalla vicenda dei due eroi, anche se il soggetto più comunemente discusso è in realtà successivo alla contesa. Gli esempi di controversiae vengono costruiti attraverso l’opporsi di due discorsi inerenti alla morte di Aiace, uno volto a sostenere l’accusa di omicidio imputata a Ulisse, l’altro volto a negarla. Il caso, come specifica Rhet. Her. 1.17.27, rientra in una particolare tipologia retorica: la controversia coniecturalis, un esercizio il cui scopo è dimostrare la verità o l’insussistenza di un fatto dubbio.

La vicenda di Aiace e Ulisse sembra stabilizzarsi come sfondo narrativo di questo esercizio argomentativo, fino almeno a Quintiliano (inst. 4.2.13) e la struttura appare pressocchè standardizzata: Ulisse veniva trovato vicino al cadavere di Aiace, solo e armato;74 da lì, quindi, i consigli e gli esempi su come formulare l’arringa d’accusa e quella di difesa. Opportuno è, come scriveva già l’autore della Rhetorica ad Herennium, articolare l’accusa sulla base dei moventi che avrebbero potuto spingere Ulisse al delitto (Rhet. Her. 2.19.28): il fatto, per esempio, che Ulisse temesse il suo rivale e avesse paura di subirne la vendetta (ergo et metus periculi hortabatur eum

interimere a quo supplicium verebatur); o la sua consuetudo peccandi, che gli toglieva ogni scrupolo

d’azione malvagia, come nel caso di Palamede (cui rei mors indigna Palamedis testimonium dat). Al contrario, come verrà precisato nel De Inventione, sbagliato sarebbe costruire e ampliare le proprie accuse sulla base di un dato controverso (Cic. inv. 1.92): non concessum est, cum id quod augetur in

controversia est, ut si quis, cum Ulixem accuset, in hoc maxime commoretur: indignum esse ab homine ignavissimo virum fortissimum Aiacem necatum. Sbagliato sarebbe cioè soffermarsi sull’indegnità di

73 Bömer (1982) 197 identificava nel iudicium armorum «ein beliebtes Thema […] der Rhetorenschulen

in Rom». Non ne resta indifferente, in effetti, neanche la “manualistica” retorica greca: l’episodio della contesa è attestato nei Progymnasmata di Teone (Theon prog. (9) 231 Spengel p. 112), che, vissuto tra il I-II sec. d.C., risentiva ovviamente delle esercitazioni retoriche elaborate nelle scuole romane.

74 Il caso dell’uomo inventus in solitudine iuxta exanime corpus inimici era un tema tipico degli

una morte inflitta a un fortissimus vir (Aiace) da parte di un homus ignavissumus (Ulisse): poca rilevanza avrebbe infatti un giudizio qualitativo espresso in relazione a un fatto, l’uccisione, esso stesso oggetto di disputa.

Seppur declinate secondo un tema di dibattito successivo e conseguente al iudicium armorum, gli esempi costruiti dai trattati di retorica a favore o contro la figura di Ulisse rivelano alcune analogie con le arringhe della contesa vera e propria: l’indegna disparità tra il fortissimus vir Aiace e il suo ignavissimus (presunto) assassino assomiglia per esempio all’indignazione dell’Aiace tragico, obbligato a confrontarsi e a rischiare la rovina per mano di un rivale a lui tanto inferiore. La discussione dell’accusa di omicidio richiedeva in effetti un esercizio di invenzione argomentativa, a favore o a sfavore di Ulisse, che creava necessariamente delle sovrapposizioni con le argomentazioni formulate, altrettanto a favore o sfavore dell’eroe, nell’agone retorico del iudicium armorum.75 Un passo di Quintiliano, in effetti, rivela apertamente la vicinanza tra queste esercitazioni e le realizzazioni drammatiche della vicenda mitica (Quint. inst. 4.2.13):

neque enim accusator tantum hoc dicit ‘occidisti’, sed quibus id probet narrat, ut in tragoediis, cum Teucer Ulixen reum facit Aiacis occisi, dicens inventum eum in solitudine iuxta exanime corpus inimici cum gladio cruento, non id modo Ulixes respondet, non esse a se id facinus admissum, sed sibi nullas cum Aiace inimicitias fuisse, de laude inter ipsos certatum.

Ut in tragoediis, scrive Quintiliano, anche nelle esercitazioni retoriche relative alla rivalità tra Aiace

e Ulisse si dovevano costruire argomentazioni convincenti. Gli esempi tragici a cui Quintiliano si riferisce potevano appartenere a drammi, per noi perduti, che trattavano effettivamente dei fatti successivi alla morte di Aiace, e dell’accusa di omicidio imputata a Ulisse. Questo tema tuttavia, seppur dominante nelle trattazioni retoriche della vicenda dei due eroi, non appare in alcuna testimonianza drammatica greca o romana a noi pervenuta. Se dunque l’esistenza di simili trame tragiche resta comunque possibile, ugualmente possibile è che Quintiliano tracciasse un diretto paragone tra le arringhe elaborate in difesa di Ulisse e le argomentazioni intessute in realizzazioni tragiche simili a quelle che conosciamo, relative cioè all’episodio della contesa vero e proprio. In effetti, come apparirà chiaro dalla sezione successiva, l’analogia tra le arringhe pronunciate nella contesa per le armi e gli esercizi oratori basati sulla rivalità mitica tra i due eroi sembra trovarsi riflessa, e quindi confermata, in una fondamentale conseguenza: quella di estendere alla costruzione e alla valutazione delle prime, le annotazioni di teoria oratoria tipiche dei secondi.

75 In generale, sul profondo legame tra teatro e retorica, tratto presente fin dall’agone tragico greco ma poi