2.5 Le Coefore Atridi e Pelopid
3.1.2 vv 277-89: il rifiuto di Pelasgo e il confronto tra verità e apparenza
La seconda sotto-sequenza consiste sostanzialmente nella obbiezione incredula di Pelasgo all'indicazione etnico-genealogica fornita dalla corifea. L'obbiezione si muove sul piano dell'evidenza immediata, ossia dell'aspetto esotico e non-greco del coro, che rende inevitabilmente priva di credibilità la pretesa di appartenere al γένος argivo. Questa iniziale difficoltà nel conciliare l'apparenza con il racconto fornisce al personaggio di Pelasgo il pretesto per recitare un piccolo catalogo che oggi si definirebbe etnografico, in un tentativo di inquadrare meglio a chi realmente assomigliano le Danaidi così come si presentano in scena rispetto a quanto affermano di essere. A livello drammatico, il catalogo ha naturalmente l'effetto immediato di creare una certa attesa nei confronti di un'ulteriore spiegazione da parte della corifea375, e di catturare l'attenzione del pubblico sulla questione posponendo la risposta
soddisfacente e definitiva.
Rifiutata l'origine argiva, Pelasgo passa a paragonare il coro ad una serie di etnie diverse accomunate dalla marcata alterità rispetto alle norme culturali elleniche. Il criterio da cui parte la comparazione è quello della rassomiglianza fisica, come mostra l'aggettivo impiegato al v. 279, e che nel caso specifico delle Danaidi è legato innanzitutto al colore della pelle. Assieme al costume esotico, doveva essere l'elemento visivo più lampante, oltre che più marcato culturalmente come indicatore di non-grecità. Lo stesso coro del resto aveva già esplicitato questo tratto fisico come elemento distintivo376.
Sostanzialmente indovinando al primo colpo, Pelasgo paragona il coro a donne libiche. Il termine è impiegato in maniera generica per indicare le popolazioni del continente africano377,
ed è esplicitamente impiegato qui come oppositivo rispetto a ἐγχωρίαις, native. Strettamente associato a questa duplice comparazione è il verso successivo, che evoca un'immagine, quella della stirpe cresciuta, come una pianta, dal fiume Nilo, che viene impiegata anche altrove nella tragedia378.
I due versi che seguono (vv. 282-3), in cui si trova l'immagine dell'impronta/marchio
375 Già creata, reputo, al v. 276 dal futuro προσφύσω impiegato dalla corifea stessa.
376 Il colore scuro della pelle delle Danaidi era già stato sottolineato nella parodo ai vv. 154-5: μελανθὲς / ἡλιόκτυπον γένος.
377 Cfr. l'uso che ne fa lo storiografo in Hdt. IV 42.
378 Φυτόν viene già impiegato in questo senso in Il. XVIII 57 e 438. Nelle Supplici, l'immagine del Nilo che nutre il γένος si trova ai vv. 496-8 in riferimento proprio all'aspetto fisico del coro: [...] μορφῆς δ᾽ οὐχ ὁμόστολος φύσις· / Νεῖλος γάρ οὐχ ὁμοῖον Ἰνάχωι γένος τρέφει. Quest'ultimo passo è particolarmente interessante per quanto riguarda la competenza leggendaria di Eschilo e il suo pubblico: in diverse tradizioni, compresa quella seguita nel Prometeo Incatenato, Inaco, il re-fiume di Argo, era padre di Io, l'antenata cui il coro affida lo status di capostipite. Si tratta dunque di un uso volutamente ambiguo e volto ad avere un certo effetto ironico, oppure il dato genealogico della nascita di Io da Inaco viene totalmente eclissato? Va notato, naturalmente, che nell'arco della tragedia la filiazione di Io da Inaco non viene mai menzionata.
cipriota, presentano una serie di difficoltà sia testuali che contestuali379. La sintassi del distico
è oscura e la presenza di Cipro in un catalogo dedicato ad etnie percepite come marcatamente diverse dai Greci crea non pochi problemi: esisteva infatti una forte comunità ellenica sull'isola da molto tempo e nel V secolo la popolazione di Cipro era percepita, alla stregua dei Macedoni, come molto prossima, se non imparentata, a quella greca380. Sono dunque
d'accordo nell'espungere i due versi, come già avevano proposto Friis Johansen e Whittle: è abbastanza probabile che si trattasse di una citazione da qualche altra opera scritta a margine e gradualmente confluita nel testo. Oltre alle difficoltà sintattiche e storico-culturali, la menzione dei padri-artigiani appare un po' bizzarra in questo contesto e poco in linea con il resto del catalogo, in cui le Danaidi sono paragonate ad altre donne, senza alcun riferimento ai maschi. Questa assenza dell'elemento maschile, anzi, sembra essere marcata ancora di più nel riferimento successivo alle Amazzoni.
Dopo il Nilo, dunque, Pelasgo si spinge ad oriente e menziona delle nomadi donne indiane, il cui tratto distintivo sembra essere quello di cavalcare cammelli usando la sella381, e gli
Etiopi, le cui terre sono limitrofe a quelle in cui sostano le Indiane. La comparazione ha perso di intensità e rimane esclusivamente implicita: si ha quasi l'impressione che Pelasgo stia intraprendendo una divagazione etnografica fine a se stessa. Il senso della specificazione dell'uso indiano di cavalcare cammelli non è infatti molto chiaro: la cosa più sensata è naturalmente quella di prendere atto che si tratta di un'ulteriore aggiunta ad una lista di popoli connotati dalla pelle scura o dall'aspetta esotico. Il termine Ἰνδάς, una felice e facile correzione di Bothe per l'erroneo ἰνδούς dei manoscritti382, trova in questo passo la sua prima
attestazione nella letteratura greca in nostro possesso, benché sia molto probabile che l'identificativo etnico fosse già impiegato da Ecateo nella sua Periegesi383. Sempre ad oriente
sono collocati gli Etiopi, seguendo una tradizione che risale già ai poemi omerici384.
Infine, a questo catalogo di alterità, Pelasgo aggiunge in maniera conclusiva le Amazzoni, leggendaria popolazione di donne guerriere che l'immaginario greco collocava a nord-est, nella regione caucasica della palude meotica e della Scizia. La loro presenza nel catalogo è inizialmente fuorviante: le Amazzoni non condividono con le altre popolazioni menzionate la caratteristica della pelle scura. Il loro legame con il coro, tuttavia, si rivela facile da
379 Friis Johansen - Whittle 1980, vol. II, pp. 223-6. 380 Bowen 2013, pp. 205-6.
381 Un'azione percepita come tipicamente femminile: cfr. Friis Johansen - Whittle 1980, vol II, p. 227. Questo avvalora la predominanza dell'elemento femminile nel catalogo, con cui i vv. 282-3 stonano.
382 Bothe 1830, ad loc. 383 Cfr. Hecat. frr. 294-9. 384 Cfr. Od. I 23-4.
identificare non appena si prenda in considerazione il mito più ampio delle Danaidi. Come le figlie di Danao, infatti, le Amazzoni venivano rappresentate come un gruppo femminile massimamente avverso ai maschi e all'unione con gli uomini. In questo senso, ossia in qualità di ἀνάνδροι, incarnano un'alterità radicale rispetto alle società elleniche. Tale alterità viene ribadita, qui come in altre fonti, dall'indicazione sulle abitudini alimentari violente e primitive che venivano loro attribuite. La comparazione tra questi due gruppi femminili leggendari sembra essere abbastanza antica: nell'unico frammento superstite del poema epico Danaide le fanciulle vengono descritte mentre si armano (ὡπλίζοντο) davanti alle rive del Nilo385.
Paradossalmente, la comparazione simbolicamente più efficace del catalogo è l'unica che viene direttamente negata da Pelasgo stesso.
La disposizione delle etnie nel catalogo sembra seguire dunque una precisa direzione, che va da sud-ovest a nord-est, abbracciando gran parte dell'ecumene, quantomeno nei suoi punti più estremi. Espungendo infatti i vv. 282-3, si crea un percorso che, inversamente orientato, si trova intimamente legato alla storia delle Danaidi, o meglio alla storia della loro antenata Io cui le Danaidi costantemente si richiamano386. Si tratta infatti della peregrinazione erratica
compiuta dalla delirante Io una volta fuggita da Argo. Nella lunga descrizione del viaggio di Io offerta nel Prometeo Incatenato, si ritrovano quasi tutti gli elementi etno-geografici presenti nel catalogo delle Supplici387:
[...] ἀστρογείτονας δὲ χρὴ κορυφὰς ὑπερβάλλουσαν ἐς μεσημβρινὴν βῆναι κέλευθον, ἔνθ᾽ Ἀμαζόνων στρατὸν ἥξεις στυγάνορ᾽, αἱ Θεμίσκυράν ποτε κατοικιοῦσιν ἀμφὶ Θερμώδονθ᾽, ἵνα τραχεῖα πόντου Σαλμυδησσία γνάθος ἐχθρόξενος ναύτησι, μητρυιὰ νεῶν· αὗταί σ᾽ ὁδηγήσουσι καὶ μάλ᾽ ἀσμένως. [...] τηλουρὸν δὲ γῆν ἥξεις, κελαινὸν φῦλον, οἳ πρὸς ἡλίου ναίουσι πηγαῖς, ἔμθα ποταμὸς Αἰθίοψ· τούτου παρ᾽ ὄχθας ἕρφ᾽ ἕως ἂν ἐξίκηι καταβασμόν, ἔνθα Βυβλίνων ὀρῶν ἄπο ἵησι σεπτὸν Νεῖλος εὔποτον ῥέος. οὗτός σ᾽ ὁδώσει τὴν τρίγωνον ἐς χθόνα Νειλῶτιν, οὗ δὴ τὴν μακρὰν ἀποικίαν, Ίοῖ, πέπρωται σοί τε καὶ τέκνοις κτίσαι.
Bisogna che valicando cime
prossime alle stelle tu intraprenda il viaggio verso mezzogiorno, là giungerai all'esercito delle Amazzoni che odiano gli uomini, che un giorno abiteranno Termiscira attorno a Termodonte,
dove v'è l'aspro morso del mare, Salmidesso, avverso ospite al marinaio, matrigna delle navi: loro ti apriranno la via e molto festosamente. Una terra remota
raggiungerai, una tribù nera, loro che abitano presso le sorgenti del sole, là v'è il fiume Etiope: continua lungo le sue rive fino a quando giungerai ad una cataratta, là dai monti Biblini si slancia il sacro Nilo, corrente dalle acque dolci. Costui porrà la via verso la terra triangolare di Nilotide, dove una grande colonia, Io, fonderai predestinata per te e i figli.
385 Danais fr. 1 W (= Clem. Strom. IV 120 4): καὶ τότ᾽ ἄρ᾽ ὡπλίζοντο θοῶς Δαναοῖο θύγατρες / πρόσθεν ἐϋρρεῖος ποταμοῦ Νείλοιο ἄνακτος. Cfr. West 2003, pp. 266-7.
386 Questa osservazione era già stata proposta da Claude Calame in Calame 1998. Cfr. in particolare p. 284 e pp. 288-90.
Amazzoni, il fiume Etiope e il fiume Nilo compaiono in questo percorso che da nord, passando per il Bosforo cimmerico a nord-est, porta Io ad arrivare sul delta del Nilo. Mancano le nomadi indiane, che trovano tuttavia un loro contraltare nell'esercito ἱπποβάμονα degli Arimaspi che viene indicato poco prima della tribù scura che viva presso il fiume Etiope nell'estremo oriente. La Libia, mai direttamente nominata nelle peregrinazioni di Io, figura tuttavia tra i suoi discendenti diretti, in quanto figlia di Epafo. Anche nelle Supplici viene fornito, ai vv. 538-64, un itinerario del viaggio di Io. Rispetto all'itinerario del Prometeo e al catalogo etnografico sotto esame, l'itinerario delle Supplici è connotato da un maggiore vicinanza al Mediterraneo e dalla totale assenza di elementi folclorici e fantasiosi. Con molto più realismo, il coro narra dell'attraversamento da parte di Io del Bosforo tracico seguito dalla peregrinazione per la Frigia, la Misia, la Cicilicia, la Panfilia, la Siria e infine sempre il delta del Nilo. Benché meno ecumenico, si tratta sempre di un viaggio che, rispetto al Peloponneso (o anche rispetto all'Attica) parte da nord-est per arrivare a sud, sud-ovest.
Ad ogni modo, questa sotto-sequenza non presenta di per sé menzioni genealogiche, ma pone una serie di quesiti intimamente correlati alla natura stessa del discorso genealogico. Primo fra tutti, il ruolo dell'evidenza visiva nella costruzione di identità: che valore ha un racconto, o una rivendicazione di identità, alla luce di fatti auto-evidenti quali il diverso colore della pelle? In secondo luogo, che cosa determina le scelte a carattere ecumenico dei tentativi di identificazione da parte di Pelasgo? Infine, in che modo si colloca la rappresentazione di un territorio rispetto alla rappresentazione della storia di un gruppo umano, in un mondo, quello storicamente conosciuto dell'Atene del V secolo, i cui orizzonti geo-politici erano in continua espansione?