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3.3 L’autorità di Esiodo e l’approccio metodologico di Giovanni Tzetze

4.1.3 Agone sapienziale e delusione mortale

Il motivo della sfida di bravura fra professionisti di alto livello si incrocia con il topos del “neck-riddle” nella leggenda che ruota attorno alla morte dell’indovino Calcante; anche se in questo caso non si tratta propriamente di indovinelli. Secondo un frammento del poema

Melampodia attribuito a Esiodo e ripreso da un passo di Strabone, gli

indovini Mopso e Calcante si fronteggiano in un agone di arte divinatoria

strutturato in modo analogo alla sfida tra Omero ed Esiodo305. Anche se il

confronto non procede a colpi di indovinelli, l’episodio si rivela qui di

305 Hes. fr. 278 M.-W. = fr. 214 Most = Strab. 14.1.27, cf. Callin. T9 Gentili-Prato; Pherecyd.

FGrHist. 3 F 142: vd. a riguardo Nevine 2002-2003, pp. 143-44; Kimmel 2008, p. 315-316;

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particolare interesse dal momento che la figura di Calcante manifesta evidenti analogie con quella di Omero presso Ios: secondo le fonti un oracolo avrebbe predetto a Calcante che sarebbe passato a miglior vita solo quando avesse incontrato un indovino più capace di lui. Ed è appunto nel corso della competizione con Mopso che Calcante sbagliando

una risposta, muore per l’afflizione (διὰ λύπην):

λέγεται δὲ Κάλχας ὁ μάντις μετ’ Ἀμφιλόχου τοῦ Ἀμφιαράου κατὰ τὴν ἐκ Τροίας ἐπάνοδον πεζῇ δεῦρο ἀφικέσθαι, περιτυχὼν δ’ἑαυτοῦ κρείττονι μάντει κατὰ τὴν Κλάρον, Μόψῳ τῷ Μαντοῦς τῆς Τειρεσίου θυγατρός, διὰ λύπην ἀποθανεῖν306.

Si dice che l’indovino Calcante, insieme ad Anfiloco figlio di Anfiarao, sulla via del ritorno da Troia giunse presso quel luogo (Colofone) e avendo incontrato presso Claro un indovino più capace di lui, Mopso figlio di Manto che era figlia di Tiresia, morì per il dolore.

Strabone riporta le diverse versioni sul confronto: i riferimenti provengono da rispettivi frammenti di Esiodo, Callino e Ferecide. Secondo la versione riportata dal frammento esiodeo (Hes. fr. 278 M.-W.) Mopso risponde correttamente alla domanda riguardante il numero di fichi che si trovano su una pianta; secondo la versione più tarda di Ferecide invece, il quesito riguarda il numero di maialini portati in grembo da una scrofa:

Φερεκύδης δέ φησιν ὗν προβαλεῖν ἔγκυον τὸν Κάλχαντα πόσους ἔχει χοίρους, τὸν δ’ εἰπεῖν ὅτι τρεῖς, ὧν ἕνα θῆλυν· ἀληθεύσαντος δ’ ἀποθανεῖν ὑπὸ λύπης307.

Ferecide dice invece che Calcante pose un quesito chiedendo quanti maialini portasse nel ventre di una scrofa gravida, Mopso rispose che ce n’erano tre, uno dei quali era una femmina, avendo costui detto la verità, Calcante morì per il dispiacere.

306 Strab. 14.1.27. 307 Strab. 14.1.27.

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Colpisce soprattutto il fatto che le varianti riportate da Strabone

concordino nel dire che Calcante muore a causa dello scoramento (ὑπὸ

λύπης, διὰ λύπην). Inutile ricordare che lo stesso si dice di Omero nel momento in cui si rende conto di aver fallito contro dei ragazzini a pesca; come si evince dal testo sottostante, la Vita IV impiega addirittura lo stesso lessico:

φασὶ δ’ αὐτὸν ἐν Ἴῳ τῇ νήσῳ διὰ λύπην ἀποκαρτερήσαντα τελευτῆσαι διὰ τὸ μὴ λῦσαι τὸ ζήτημα τὸ ὑπὸ τῶν ἁλιέων αὐτῷ προτεθέν308.

Dicono che sia morto sull’isola di Ios, lasciatosi morire di fame per il dispiacere di non aver risolto l’indovinello che gli avevano posto alcuni pescatori.

Omero e Calcante possono considerarsi come la personificazione più abituale del saggio: un esperto professionista le cui competenze nessuno oserebbe mettere in dubbio, perché confermate da una consolidata tradizione. Eppure in un dato momento, secondo le parole di un oracolo, questo personaggio, immerso in un aura di sacralità, viene battuto sul campo da un soggetto di ordine apparentemente subordinato, un outsider; si genera così un improvviso rovesciamento dei ruoli, una sorta di

momento di crisi all’interno della tradizione309. Per quanto riguarda

Omero la minaccia proviene da alcuni pescatori o ancor peggio ragazzini, la cui inferiorità nei confronti dell’anziano cantore non necessita di spiegazioni. Nel caso di Calcante, l’avversario Mopso non si caratterizza tanto per la mancanza di perizia o per essere un profano della materia, quanto per il carattere di novità che lo contraddistingue, mista a una connotazione esotica. La sua condizione di indovino-eroe a metà strada tra Oriente e Occidente, simbolo della tradizione oracolare periferica di Claro,

308 Vita Hom. IV 17-19 Allen = § 3 West. 309 Vd. Bonsignore 2011, p. 22.

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si pone a un livello apparentemente inferiore rispetto all’ufficialità del più celebre indovino greco Calcante; questi aveva esercitato la propria arte per

i Greci sotto le mura di Troia e perciò è stato cantato da Omero310. Mopso

rappresenta la novità che viene da est, da una realtà coloniale ancora poco conosciuta e che riceve il testimone di un era, quella della guerra di Ilio e dei suoi eroi, che ormai volge al tramonto. Egli inoltre, così come i pescatori che incontrano Omero, è molto più giovane di Calcante, come giovane è anche Telegono, figlio di Odisseo e Circe che, lo si vedrà in seguito, uccide il padre inconsapevolmente.

La sventura toccata ad Omero e Calcante richiama ancora una volta il motivo di fondo della Vita Aesopi, dove l’arguzia e l’abilità retorica (εὑρησιλογία) permettono allo schiavo di avere la meglio sul filosofo suo padrone, oltre che su altre figure simbolo di potere politico e istituzionale, come ad esempio il faraone Nectanabo, anche se non fino a provocarne la dipartita311. Si consideri in particolare l’episodio già citato del segno

divino, per la cui interpretazione l’adunanza dei Sami si rivolge al filosofo Xanto, padrone di Esopo, confidando nelle sue capacità. Si è già sottolineato il fatto che, anche in questo caso, colui che è comunemente ritenuto saggio per eccellenza si rivela incapace di essere all’altezza della propria fama. Come Omero e Calcante, la delusione per la propria incapacità dimostrata sul campo condurrebbe Xanto alla morte. Si può

310 Sono in realtà due i filoni connessi alla figura di Mopso: secondo Pindaro avrebbe

partecipato alla spedizione degli Argonauti (Pind. P. 4.189-192); egli sembra essere stato eroe eponimo di Mopsio in Tessaglia (Strab. 9.5.22). Dall’altro lato le fonti parlano anche del famoso indovino figlio di Apollo (Strab. 14.5.16) e nipote di Tiresia (Paus. 7.3.2) legato alla città di Claro sulla costa ionica, dove avrebbe fondato un santuario dedicato ad Apollo Clario; egli sarebbe poi emigrato in Cilicia e avrebbe fondato la città di Mopsuestia (SEG 34,1305; Cf. Strab. 14.4.3). Questo secondo indirizzo presenta quindi un personaggio legato principalmente alla sfera orientale: vd. Baldriga 1994, passim; vd. inoltre RE XVI 1 (1933) s.v. ‘Mopsos’, n. 2 col. 242-243 (gr. Kruse)

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precisare qui che solo due delle Vite omeriche fanno esplicito riferimento al suicidio: la Vita V e il resoconto di Isacco Porfirigenito. Come si è visto, la

Vita dello Pseudo-Plutarco, e la Vita IV si limitano invece evidenziare un

nesso consequenziale tra il dispiacere e la morte e lo stesso dicasi per la vicenda di Calcante. Tuttavia nell’ambito della presente analisi è sufficiente valutare la stretta correlazione, che emerge dai testi, tra la sconfitta e la morte del saggio, anche se Omero, a differenza di Xanto non dichiara di volersi suicidare. Prima di cadere nella disperazione più profonda Xanto ovviamente si rivolge ad Esopo, dal quale ottiene un netto rifiuto; questo genera la disperazione del padrone e lo spinge a compiere un gesto estremo:

«ὁ χρόνος ἤδη πεπλήρωται τῆς διαλύσεως τοῦ σημείου καὶ οὐκ ὑποφέρω τὸν ὄνειδον ὅτι φιλόσοφος ὢν τὴν ὑπόσχεσιν οὐκ ἐδυνήθην πληρῶσαι». ταῦτα εἰπὼν ὁ Ξάνθος, νυκτὸς γεναμένης, σχοινίου εὐπορήσας ἐξῆλθεν τῆς οἰκίας312.

«Ormai è scaduto il tempo utile per l’interpretazione del segno e non sopporto l’onta, dato che sono filosofo, di non aver saputo mantenere la promessa». Detto ciò Xanto, come scese la notte, si procurò un cappio e uscì di casa.

Avendolo seguito, Esopo cerca dunque di distoglierlo dal suo proposito:

«δέσποτα, ποῦ ἡ φιλοσοφία σου; ποῦ σου τὸ τῆς παιδείας φρύαγμα; ποῦ σου τὸ τῆς ἐγκρατείας δόγμα; ἔα, δέσποτα, οὕτως εὐχερῶς καὶ ἀψύχως ἐπὶ θάνατον ἔσπευσας, ἵνα κρεμάμενος τὸ ἡδὺ ζῆν ἀπολέσῃς; μετανόησον, δέσποτα». Ξάνθος· «ἔα με, Αἴσωπε· διάξω γὰρ τὸν μετ’ ἀρετῆς θάνατον ἢ τὴν ἐπονείδιστον ἐν βίῳ ζωὴν ἀκλεῶς κτήσομαι».

« Padrone, dov’è finita la tua filosofia? Dov’è l’orgoglio della tua scienza? Dove sono le tue regole di autocontrollo? Lascia perdere, padrone! Con quanta facilità e con quanta viltà ti sei avviato sulla via del suicidio per rinunciare, appendendoti a un albero, alla dolcezza del vivere! Ripensaci padrone!». Xanto:«Lasciami perdere, Esopo! Affronterò una morte coraggiosa o mi guadagnerò ingloriosamente una vita degna della vergogna!».

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Come emerge dalle parole di Esopo, che per la prima volta in tutto il

Romanzo sembra avere un’aria stupita, la filosofia di cui il saggio si fa

vanto sembra non poterlo salvare dalla delusione di scoprire che essa non si dimostra in realtà così utile. Perché ciò di cui Xanto ha bisogno per interpretare il segno non è la perizia nel campo della divinazione: il giorno dopo Esopo risolve efficacemente l’enigma e solo grazie all’acume e alla capacità retorica. Anzi in questa occasione Esopo coinvolge anche il padrone nell’impiego di queste capacità; quando Xanto, che sta per impiccarsi, chiede allo schiavo in che modo potrà risolvere la situazione egli risponde semplicemente:

ἀπάγαγέ με εἰς τὸ θέατρον ἅμα σοὶ καὶ πλάσσου τοῖς ὄχλοις εὔλογον πρόφασιν ἀπὸ τοῦ σημείου διὰ τὸ κόσμιον τῆς φιλοσοφίας, καὶ ἐμὲ πρόβαλε ὡς αὐτὸς διδάξας. ἐπιλύσομαι ἐγὼ καὶ εὐκαίρως προσκληθήσομαι λέγειν.313

«Portami al teatro con te e inventa per la folla, sfrutta gli ornamenti della filosofia e prendendo spunto dal segno, un pretesto ben argomentato, e presentami come se mi avessi istruito tu. Allora interpreterò io il segno io, e si dirà di me che parlo a proposito»

Quello che Xanto non ha o di cui non sa servirsi all’occorrenza, così come Omero al confronto con i giovani pescatori, è l’innata capacità di inventiva, di risolvere situazioni inaspettate, un sapere che va oltre la pura conoscenza. Ed è a questo punto che Xanto paradossalmente segue le istruzioni dello schiavo che invece, altrettanto paradossalmente nel presente contesto deve fingersi istruito dal padrone. Si genera così la già citata situazione del capovolgimento dei ruoli che si riscontra anche nella

313 Vita Aes. G § 85; trad. a c. di Bonelli, Sandrolini 2002, fatta eccezione per ἐπιλύσομαι

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vicenda omerica: come fa notare giustamente Kimmel, il poeta finisce per diventare uditore e allievo dei pescatori314.

Si consideri dunque il testo riportato dal Papiro Michigan 2754, che si data al II-III secolo d. C., con particolare attenzione allo scambio di battute tra Omero e i giovani pescatori:

«ἄνδρες ἀπ’ Ἀρκαδίης θηρήτορες, ἦ ῥ’ ἔχομέν τι;» οἱ δὲ ὁρῶντες αὐτὸν ἐσχεδίασαν τόνδε τὸν στίχον· «ὅσσ’ ἕλομεν λιπόμεσθ’, ὅσσ’ οὐχ ἕλομεν φερόμεσθα». ὁ δὲ οὐ δυνάμενος εὑρεῖν τὸ λεχθὲν ἤρετο αὐτοὺς ὅ τι λέγοιεν. οἱ δὲ ἔφασαν ἐφ’ ἁλιείαν οἰχόμενοι ἀγρεῦσαι μὲν οὐδέν, καθήμενοι δὲ φθειρίζεσθαι. τῶν δὲ φθειρῶν οὓς ἔλαβον αὐτοῦ καταλίποιεν, οὓς δ’ οὐκ ἔλαβον ἐν τοῖς τρίβωσιν ἔνθεν ἀποφέρειν315.

«Oh cacciatori d’Arcadia, abbiamo preso qualcosa?»

Al vederlo improvvisarono questo verso:

Quanto prendemmo lasciammo, quanto non prendemmo portiamo.

Non riuscendo a scoprire cosa intendevano, chiese loro cosa volevano dire. Quelli risposero che, venuti alla riva, non avevano pescato nulla e, sedutisi, si erano spidocchiati: dei pidocchi, quelli presi li lasciavano lì, quelli che non avevano preso li riportavano indietro negli abiti.

L’attenzione va posta sull’enigma che è riportato sotto forma di esametro,

mentre l’espressione che lo precede (ἐσχεδίασαν τόνδε τὸν στίχον,

improvvisarono questo verso) inserisce immediatamente l’azione in un

contesto performativo: i pescatori improvvisano versi, a guisa di cantori, mentre il poeta vi presta ascolto. Quando subito dopo Omero rinuncia a risolvere l’indovinello, ecco che i pescatori si fanno addirittura esegeti di

se stessi, in quanto si trovano a dover spiegare il senso della loro poesia316.

314 Un epigramma funerario di Alceo di Messene (Ant. Pal. 7.1) composto in onore di

Omero, pone l’attenzione sul fatto che l’enigma giunga dalle Muse, sottolineando pertanto il fatto che la morte del poeta dipenda dalla volontà divina: vd. Kimmel 2008, pp. 312-313; Bonsignore 2011.

315 Alcid. Mus. 87-92 Avezzù; trad. a c. di Avezzù. 316 Vd. Kimmel 2008, pp. 301-302.

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Come Xanto si trova a dover seguire le istruzioni di Esopo, così Omero comprende il senso delle parole, o meglio, del verso dei pescatori, solo una volta che questi lo spiegano. Il paradosso risulta ancora più evidente se si richiama alla mente il gioco poetico dell’agone, quando Omero deve completare coerentemente i versi di Esiodo. Il poeta non può fare altro che incassare il colpo e subirne le conseguenze: purtroppo nella loro ultima sfida di saggezza Esiodo e Omero non possono contare sull’aiuto di uno schiavo come Esopo, il quale avrebbe capito che l’oracolo si riferiva al santuario della Locride e, con lo stesso acume dimostrato dai pescatori, avrebbe risolto l’enigma causa della morte di Omero. Nella momente in cui si sceglie di porre Esiodo, Omero e Xanto sullo stesso piano, è necessario tenere in considerazione che vi sono comunque differenze di base tra questi tre personaggi: si è detto che Esiodo e Omero sono hanno un carattere unico, agiscono in solitaria e sono indipendenti da altre figure; diversamente Esopo e Xanto sono legati da un rapporto di interdipendenza, hanno bisogno l’uno dell’altro per esprimere le proprie peculiarità.

Non si tratta solo di una sconfitta, ma di un affossamento della personalità eminente del saggio insieme a tutta la tradizione che gli ruota attorno, schiacciato dall’onta fino a morirne. Il modulo è in parte riscontrabile anche nella tragica vicenda di un'altra figura della tradizione mitica, ovvero quella di Edipo: anche in questo caso l’emergere della verità, qui non dimostrata, ma annunciata, origina uno sconvolgimento dell’ordine precostituito, oltre che un irreversibile rovesciamento dei ruoli, ma non conduce alla morte del protagonista. Colui che si credeva non solo saggio, ma addirittura il più saggio fra tutti gli uomini, si scontra violentemente contro una realtà che, fatalmente, ignorava e che non può

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accettare. Nel caso di Omero, secondo la linea tematica riconducibile anche a Esiodo, a risentirne è soprattutto la tradizione leggendaria di cui il personaggio è protagonista. Il destino del personaggio è peraltro determinato da quelle che sono le finalità dei testi pseudobiografici e, in primo luogo, delle leggende da cui questi prendono adito, mutando in relazione alle diverse necessità del pubblico al quale questo “prodotto culturale” è destinato. Le vicende narrate vanno sempre considerate nell’ambito di un riutilizzo di temi e motivi riconducibili alla tradizione epica e mitica, oltre che di aneddoti tratti da filoni leggendari paralleli; la combinazione oculata di questi elementi ha quindi come scopo la creazione e presentazione del personaggio di Omero. Non diversa è la condizione di Edipo, sebbene si tratti del protagonista di una saga mitica radicata in un passato ben più remoto e legata alla città di Tebe; nella presente analisi il personaggio funge da elemento di richiamo per l’individuazione di possibili modelli culturali e letterari.