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La “vendetta del cane”: espressioni proverbiali e schiavi insolent

F. 39 col XXI e lui l’ottenne Qualche tempo dopo capitò che Euripide si trovasse da solo in un boschetto lontano dalla città, e Archelao uscì per andare a

4.2.5 La “vendetta del cane”: espressioni proverbiali e schiavi insolent

Come si legge dalla spiegazione data dal testo di entrambe le Vite sopracitate, l’uccisione del poeta è strettamente legata alla diffusione di un proverbio macedone, originato proprio dalla vicenda. Il detto, spiegato con dovizia anche da Erasmo da Rotterdam (Adagi 647), è rivolto a coloro che subiscono una vendetta inaspettata da qualcuno al quale hanno in precedenza fatto del male: il poeta fa sì che i Traci non debbano pagare la multa imposta da Archelao per il sacrificio compiuto e così, secondo la leggenda, i cani che attaccano Euripide sarebbero i discendenti di quello che era stato sacrificato. Nel racconto viene specificato che si tratta di cani

376 FGrHist 239 A59, A63; ugualmente utile è un passo di Pausania in cui si l’autore

sofferma sui poeti che sono stati ospiti presso le corti di alcuni sovrani: fra di essi Euripide non compare (Paus. 1.2.2-3).

377 L’ultima fatica euripidea, le Baccanti, presentano due passaggi che suggeriscono una

composizione dell’opera avvenuta in Macedonia: in primo luogo la Pieria viene indicata come rifugio delle Muse (Eur. Bacch. 409-4011); secondariamente, nel corso del suo viaggio Dioniso oltrepassa due fiumi macedoni: Assio e Luda (Eur. Bacch. 565-575). Scullion osserva però che entrambi i riferimenti possono essere giustificati dall’ambientazione stessa della tragedia e dalla connessione fra il dato geografico e il culto dionisiaco che impernia tutto il dramma, cf. Scullion 2003, p. 394, n. 25. La tesi che pone l’avvenuta composizione delle Baccanti in Macedonia è stata comunque argomentata e sostenuta in due influenti contributi: il commento alle Baccanti di E. R. Dodds (19602) e quello di J. Roux (1970).

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di razza molossa che, per la grossa taglia, venivano utilizzati non solo per la caccia, ma anche per azioni di guerra378.

Oltre al riferimento al proverbio, la narrazione presenta l’aneddoto

come una leggenda di matrice macedone ὡς οἱ λόγιοί τε καὶ γεραίτατοι

μυθολο[γ]οῦσι Μακεδ [ό]νων (Satyr. Vita. Eur. fr. 39 coll. XX). Secondo Arrighetti le fonti sarebbero dei cantastorie, anche se più corretta è la traduzione fornita da Gallo che li definisce eruditi locali depositari della

tradizione orale379. In entrambi i casi il riferimento alla dimensione orale

rinvia immediatamente a un carattere popolare del racconto, per il quale non vi sono garanzie di veridicità; ma non meno importante, come si vedrà in seguito, è il riferimento al fatto che si tratti di racconti di

provenienza macedone380. Il verbo μυθολογέω esprime l’idea di un

racconto frutto di invenzione o di una leggenda, ed è spesso collegato a un senso di esagerazione381. D’altra parte, attraverso queste espressioni la

vicenda può essere narrata mantenendo, da parte del biografo, un certo distacco rispetto al contenuto.

Il proverbio riportato dalle due Vite non è però l’unico ad essere nato dalla vicenda della morte del tragediografo: nella raccolta paremiografica attribuita a Plutarco compare un secondo detto, poi riportato anche da Diogeniano, Macario e Apostolio, sempre legato alla

vicenda euripidea, ma ad una versione differente382. L’espressione “i cani

di Promero” (Προμέρου κύνες) fa riferimento a uno schiavo di Archelao

378 Cf. Tripodi 1998, pp. 23-5. 379 Gallo 1967, pp. 149. 380 Cf. Gallo 1967, passim.

381 Vd. LSJ s.v. μυθολογέω; cf. Kimmel 2008, p. 386.

382 Cf. Suda s.v. Προμέρου κύνες 2502 IV, p. 213 Adler; Diogenian. 7.52; Macar. 7.43;

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che, odiando il poeta, avrebbe sciolto appositamente gli animali per assassinare Euripide383:

Προμέρου κύνες: *** οὗτος βασιλικὸς οἰκέτης ὢν ἐμίσησε καθ’ ὑπερβολὴν Εὐριπίδην τὸν [τῶν] τραγῳδοποιὸν [ποιητὴν] ἔκ τινων διαβολῶν τῶν πρὸς τὸν ἐαυτοῦ δεσπότην·ἀναλύοντι δ’ αὐτῷ ἐπαφῆκε κύνας ἀγρίους, οἳ τὸν Εὐριπίδην κατεθοινήσαντο. διὰ τοῦτο καὶ ἡ παροιμία ***384

Cani di Promero: questo schiavo del re odiava oltre ogni dire il poeta e tragediografo Euripide, a causa di non so quali calunnie pronunciate davanti al suo padrone, perciò sciolse contro di lui i cani feroci con l’intenzione di ucciderlo: questi lo divorarono. Da questa vicenda deriva il proverbio.

Il fatto che l’episodio sia posto in connessione con la nascita di espressioni proverbiali conferma il valore eziologico del racconto, ma non basta: la presenza del detto rinvia a un patrimonio di conoscenze facilmente accessibili e presuppone quindi una vasta diffusione dell’aneddoto. In ultima istanza l’affermarsi del motto collabora a sottolineare la straordinarietà e l’esemplarità dell’evento contribuendo a sostanziarne il carattere mitico. Anche se, come osserva puntualmente Kimmel, non è dato sapere se l’espressione proverbiale derivi realmente dalla leggenda sulla morte di Euripide o se invece sia avvenuto il contrario: non si può escludere che nel conformarsi della tradizione biografica un racconto tradizionale già esistente venga connesso, o meglio, applicato al nome di Euripide385. Sicuramente il motivo dell’invidia dello schiavo rinvia a un

tentativo di razionalizzazione del racconto tipico di alcuni autori appartenenti alla Seconda Sofistica fra i quali ad esempio Palefato, mitografo del IV secolo: in questo frangente culturale si sviluppa la

383 Riguardo a Promero vd. RE XXIII,1 (1957) s.v. ‘Promeros’ col. 652 (J. Zwicker). 384 Plut. Prov. 26 Crusius.

385 È inoltre significativo che anche in francese esista un proverbio con il medesimo

significato di farsi vendetta e anche questo connesso alla figura del cane (je te réserve un

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tendenza a dare interpretazioni del mito che mettono in luce il valore allegorico della narrazione. Nel Περὶ ἀπίστων attribuito a Palefato trovano spiegazione miti come quello di Niobe, Medea e molti altri; fra di essi il mito di Atteone (P.A.7) che, come si vedrà più avanti si dice essere stato divorato dai propri cani, viene riletto in chiave allegorica. Palefato sostiene che Atteone avrebbe trascurato il proprio patrimonio per dedicarsi alla caccia; rimasto quindi senza alcuna fonte di sostentamento si diceva di lui che era stato spolpato dai suoi cani, gli stessi con cui andava

a caccia386. Sembra dunque possibile che anche per la vicenda di Euripide

vengano elaborate delle versioni alternative allo sbranamento; nell’ambito di nuovi parametri culturali l’episodio viene fatto oggetto di ricerca evemeristica, dalla quale si sarebbe generato motivo del servo che, in collera con Euripide avrebbe sciolto di proposito i cani. Lo sviluppo di queste versioni alternative è indice dell’ampia diffusione di temi e motivi relativi alle Vite dei poeti, oltre che dell’alta frequentazione di questi testi da parte degli eruditi.