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Pur ammettendo dunque che nel corso dei secoli anche attorno alla cecità di Omero vengano elaborati racconti che ne mettono in risalto aspetti di negatività soprattutto perché posta in relazione alla continua dipendenza dagli altri uomini, risulta comunque impossibile far rientrare questo personaggio entro i marcati confini che caratterizzano il paradigma del pharmakos, del quale si è parlato all’inizio di questo studio180; queste

177 Vd. Buxton 1989, p. 23-4.

178 Vd. Calame 1996, pp. 23-25; cf. Raimondi 2002, p. 2; secondo Di Marco, che intende

dimostrare la presenza nell’eroe tragico di una certa libertà di scelta, indica come possibili indizi sottovalutati da Edipo il fatto di aver sentito dire da un ubriaco di non essere figlio di Polibo e il fatto che Apollo non risponda alla domanda sui suoi genitori, ma gli profetizza che sposerà la madre e ucciderà il padre, vd. Di Marco 2000a, p. 147; uno studio ormai datato di G. Devereux affronta la connessione tra l’autoaccecamento di Edipo e l’autocastrazione come conseguenza di un’errata condotta sessuale, vd. Devereux 1973.

179 Cf. Vegetti 1997, pp. 57-8. 180 Vd. supra, cap. 1.

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osservazioni acquistano valore soprattutto se si considera la funzione del poeta all’interno della comunità e tutte le implicanze antropologiche e letterarie che il concetto di cecità porta con sé. Anche i resoconti contenuti nella Vita Romana, pur rimarcando il motivo della punizione inflitta dalla divinità, dimostrano, come si è visto, di essere riferibili a un contesto eziologico, teso a ricercare l’origine di questo tratto fra le maglie di una tradizione che si perde fra i riferimenti agli stessi poemi omerici e il modello di altri celebri personaggi.

Dopo aver preso in considerazione, seppur brevemente, la natura e il significato della cecità nell’ambito non solo dei poemi omerici, ma anche di altro materiale epico indoeuropeo, riconoscendovi un valore principalmente positivo, si comprende quindi il motivo per cui tale

attributo venga conferito anche alla figura del cantore181. Nel momento in

cui nei meandri della tradizione prima orale e poi scritta viene elaborata la figura del poeta Omero, si procede alla consacrazione del materiale poetico ad esso attribuito, caratterizzandolo con il tratto distintivo della cecità. La cecità del poeta costituisce una conferma concreta della sua vicinanza con la divinità e quindi dell’eccezionale bellezza che caratterizza la sua poesia182. Il rapporto che si viene a creare tra il poeta e gli dei è

quindi molto stretto, tanto che la figura di Omero dimostra a questo punto

181 Nel celeberrimo studio di Lord, The Singer of Tales, si fa riferimento al fatto che alcuni

dei guslari della tradizione balcanica fossero ciechi, Lord 1960, p. 18; non si tratta tuttavia di un caso isolato, basti pensare per esempio alla figura del Cantastorie orbu nella Palermo del Cinquecento, che recitava testi sacri per le vie della città, una figura che sembra sia esistita fino agli anni ’60 del secolo scorso, cf. Buttitta 1979; sarebbe molto interessante prendere in analisi anche la figura del griot, diffusa presso alcuni popoli dell’Africa Occidentale e poi forse sbarcata nel Nuovo Mondo cf. Zumthor 1984, p. 272.

182 Vd. Graziosi 2002, pp. 139.; cf. Brillante 2009, cap. 1; secondo Camerotto «se il canto

rappresenta un privilegio che proviene dalle Muse, la cecità si presenta come una menomazione che ha una regolare associazione con il canto e ciò appare come un fatto che ci parla di come funziona la poesia orale», vd. Camerotto 2008, p. 20.

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di possedere prerogative che, pur lasciandolo all’interno del genere umano, lo pongono tuttavia in una condizione di eccezionalità. Questo si può desumere ad esempio da alcune informazioni raccolte nella Vita

Erodotea che evidenziano una certa benevolenza divina nei confronti del

poeta: i pescatori che rifiutano di prenderlo a bordo vengono presto costretti a tornare a riva dai venti avversi; più avanti egli riesce a raggiungere Pytios, al centro dell’isola di Chio, senza alcun aiuto:

ἀναχθεῖσι δὲ αὐτοῖς συνέβη ἐναντίου ἀνέμου γενομένου παλινδρομῆσαι καὶ ἐς τὸ χωρίον ἀναδραμεῖν ὅθεν ἀνηγάγοντο καὶ τὸν Ὅμηρον ἀναλαβεῖν καθήμενον ἐπὶ τῆς κυματωγῆς183.

Dopo essere salpati, levatosi un vento contrario, accadde loro di tornare indietro, di approdare di nuovo presso la terra dalla quale erano salpati e di prendere a bordo Omero che era rimasto sulla spiaggia.

Sempre nella Vita Erodotea si dice inoltre che il suo primo poema viene composto dopo il ritorno da Itaca e dopo essere diventato

completamente cieco184. Sembra del tutto logico quindi associare la cecità

alla possibilità di “vedere” quelle vicende e quei personaggi e di poterli poi cantare185. Si tratta di un νόος (mente) che Omero possiede e che gli

permette, così come avviene per Edipo di superare i limiti della

conoscenza umana186. Tale prerogativa manca per esempio a colui che pur

avendo imparato molte cose, non ha la piena capacità di “capire” e che Eraclito definisce πολυμαθής; in questa categoria il filosofo include Pitagora, Senofane ed Ecateo, ma non Omero il cui sapere e “vedere” non è legato ad alcun genere di attività sensoriale187. In ultima analisi risulta

183 Herodot. Vita Hom. 266-269 Allen = §. 19 West; vd. anche Herodot. Vita Hom. 276-280

Allen = §. 20 West

184 Vd. Herodot. Vita Hom. 73-94 Allen = § 7,8 West. 185 Cf. Graziosi 2002, p. 159.

186 Cf. Graziosi 2002, p. 162; vd. Pisano 2012, p. 3. 187 Vd. Pisano ibid.; Heraclit. fr. 40 D.-K., cf. fr. 56 D.-K.

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evidente che il motivo della cecità, confluito anche nella tradizione pseudobiografica, non va associato a quello del viaggio nell’ambito dell’elaborazione di un pharmakos pattern: si tratta invece dell’esplicazione di una sorta di codice strettamente connesso alla figura mitica del cantore. Al conseguimento di questo fine sembra contribuire anche la configurazione del cantore come uomo “caro agli dei”, detentore di un particolare legame con la divinità e nella fattispecie con le Muse188. In

rapporto a questa condizione di privilegio, la figura di Omero, o perlomeno quella ricostruita nei testi della tradizione pseudobiografica e in particolare nella Vita Erodotea, rimanderebbe, inoltre a un’altra categoria di uomini vicina al divino. Nella produzione neotestamentaria di epoca ellenistica ci si imbatte infatti in quello che viene definito come θείος ἀνήρ, che già a partire dal nome sembra avere molto in comune con l’”aedo divino” di cui si è già parlato: egli, un po’ come Omero, è caratterizzato da quello che può essere definito come stato di grazia, mentre «maledizioni e benedizioni scandiscono il suo rapporto con gli umani»189