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F 39 XX «…ha la bocca anche molto puzzolente» E quello interrompendolo: «Chétati ragazzo! Quale bocca ci fu o potrebbe esserci più dolce di questa dalla

4.2.7 Euripide vittima delle Baccant

Un altro e forse più diretto modello di riferimento per la leggenda sulla morte di Euripide può essere individuato all’interno dell’opera stessa del tragediografo, nella fattispecie nelle Baccanti (vv. 1125-1133). Il personaggio incarnato da Euripide sarebbe il re di Tebe, Penteo, nipote di Cadmo che si rifiuta di prendere parte ai riti in onore di Dioniso e di riconoscere così l’autorità del dio nella città. Il figlio di Agave ed Echione decide tuttavia di nascondersi nella boscaglia per spiare di nascosto i riti delle Baccanti che si svolgono sul monte Citerone; viene accompagnato da Dioniso, che si cela sotto le vesti di uno straniero. Ad un tratto quest’ultimo richiama su Penteo l’attenzione delle Menadi intimando loro di punirlo; le donne, guidate dalla stessa Agave, si scagliano in direzione di Penteo in preda alla follia bacchica e, senza riconoscerlo, ne fanno strage: ἡ δ’ ἀφρὸν ἐξιεῖσα καὶ διαστρόφους κόρας ἑλίσσουσ’, οὐ φρονοῦσ’ ἃ χρὴ φρονεῖν, ἐκ Βακχίου κατείχετ’, οὐδ’ ἔπειθέ νιν. λαβοῦσα δ’ ὠλέναισ’ ἀριστερὰν χέρα, 1125 πλευροῖσιν ἀντιβᾶσα τοῦ δυσδαίμονος ἀπεσπάραξεν ὦμον, οὐχ ὑπὸ σθένους ἀλλ’ ὁ θεὸς εὐμάρειαν ἐπεδίδου χεροῖν. Ἰνὼ δὲ τἀπὶ θάτερ’ ἐξηργάζετο ῥηγνῦσα σάρκας, Αὐτονόη τ’ ὄχλος τε πᾶς 1130 ἐπεῖχε βακχῶν· ἦν δὲ πᾶσ’ ὁμοῦ βοή, ὁ μὲν στενάζων ὅσον ἐτύγχαν’ ἐμπνέων, αἱ δ’ ὠλόλυζον399.

398 Vd. Tripodi 1994, pp. 37-49; cf. Kimmel 2008, pp. 396-99; cf. Arr. 4.10. 399 Eur. Bacch. 1125-1133, trad. a c. di Guidorizzi 1989.

165 Lei (Agave) aveva la bava alla bocca, roteava le pupille, era fuori di sé, posseduta da Bacco. Non l’ascoltò (Penteo). Afferra il braccio sinistro, puntellandosi contro il fianco dello sventurato, e gli strappa una spalla, senza fatica perché il dio le aveva donato nelle mani una forza prodigiosa. Ino compì l’opera dall’altra parte, e ne spezzò le membra e così pure Autonoe e tutto il gruppo delle Baccanti. L’aria era piena di grida confuse: lui urlò finchè gli rimase un soffio di vita, loro esultavano.

Anche Penteo come Euripide viene ucciso nella boscaglia e le modalità della morte sono molto simili: il primo viene letteralmente fatto a pezzi (ἀποσπαράσσω), mentre il secondo viene prima lacerato (διασπαράσσω) e quindi divorato dai cani (καταβιβρώσκω). Le circostanze fanno sì che i due delitti siano caratterizzati dalla medesima efferatezza primitiva e selvaggia. Le baccanti pervase dal furore bacchico perdono infatti le prerogative intrinseche all’ἄνθρωπος in quanto le loro menti sono completamente possedute: «durante il parossismo dionisiaco, esiste un corpo che si muove, esistono grida, ma non esiste più la persona nella sua integrità: le baccanti sono tagliate fuori dalle loro menti (parákopoi phrenón, v. 33); le loro grida sono il segno di una presenza – quella divina – e nello

stesso tempo di una scomparsa, quella della personalità del fedele»400. Le

parole di Guidorizzi spingono dunque a riconoscere che la distanza interposta tra la menade e l’essere umano è ben superiore a quella che la separa dalla bestia. Questo aspetto è dimostrato in primo luogo dalle grida delle donne, gli evoè, ma in particolare è messo in evidenza dalla tipologia dei sacrifici che esse praticano: nella parodos il coro delle baccanti inneggia al dio incoronato d’edera che, vestito della nebride sacra cerca sangue di capro,

gioia di carni crude (νεβρίδος ἔχων ἱερὸν ἐνδυτόν, ἀγρεύων/αἷμα

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τραγοκτόνον, ὠμοφάγον χάριν)401. Si tratta di rituali che appaiono

certamente al pubblico ateniese come primitivi, legati a un’età remota o a una regione, quantomeno idealmente, non ancora civilizzata, come la Beozia. Lo stesso carattere di arretratezza e liminalità può essere attribuito

alle abitudini di quei Traci che, nella Vita di Euripide, compiono il sacrificio

della cagna molossa di Archelao ὡς ἔθος, secondo quello che era il loro costume402.

La ferinità delle donne del Citerone trova ulteriori riscontri anche a livello testuale: nella fattispecie esse vengono assimilate a dei cani che uccidono Penteo dilaniandolo, secondo quello che è il rituale bacchico. Esse sono le cagne fedeli ad Agave (Eur. Bacch. 731-733), ma sono anche le

θοαὶ Λύσσας κύνες, le veloci cagne di Lissa inviate a pungolare le figlie di Cadmo affinché puniscano Penteo che, vestito da donna, voleva spiare i loro rituali segreti (Eur. Bacch. 977-984)403. Si aggiunga inoltre che anche

l’uccisione di Penteo, o meglio la tragedia nella sua globalità, così come alcune versioni della morte di Euripide, presenta vari riferimenti alla dimensione della caccia: primo fra tutti il fatto che la testa di Penteo venga ghermita dalla madre quale trofeo, mentre le altre donne fanno lo stesso

con braccia e gambe (Eur. Bacch. 1125-1147)404.

401 Eur. Bacch. 136-138, trad. a c. di Guidorizzi 1989; vd. anche Bacch. 734-750 dove si

assiste all’uccisione e allo smembramento a mani nude del bestiame. Si tratta della pratica del diasparagmos, al quale si accompagna, nel rituale bacchico, il cibarsi delle carni crude dell’animale (omophagia): il fatto di nutrirsi in questo modo e non di pane e carne cotta è un’ulteriore conferma di estraneità al consorzio umano, cf. a riguardo Vernant 2004, pp. 46-7.

402 Vd. Kimmel 2008, p. 387, in part. n.2; cf. Dodds 1943; per quanto riguarda il sacrificio

del cane in area mediterranea cf. De Grossi Mazzorin 2008 passim; nel frammento di Sotade si dice che Euripide venga ucciso da cani traci.

403 Sembra pertinente inoltre osservare che le Erinni, non a caso divinità della vendetta,

nelle Coefore vengono definite anche con l’espressione ἔγκονοι κύνες (cagne arrabbiate): Aeschyl. Ch. 1055, cf. Kimmel 2008, p. 388.

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Non sarà difficile a questo punto riconoscere una forte analogia fra il destino di Euripide e quello di Penteo, anche se le due vicende non risultano del tutto sovrapponibili per evidenti questioni di genere. Pur non intendendo in questa sede avviare una discussione sul significato della tragedia in rapporto alla dimensione religiosa, o a una discutibile conversione da parte del poeta, si può osservare che le baccanti, assimilate alla figura del cane, agiscono soprattutto per punire colui che non rispetta la segretezza dei loro riti. Secondo la conclusione tratta attraverso il proverbio nella biografia euripidea, anche il poeta subisce una punizione: egli intercede presso Archelao per far sì che i Traci non debbano pagare per aver sacrificato uno dei suoi cani; secondo la leggenda, l’apparente casualità della morte nasconderebbe quindi la vendetta perpetrata dai discendenti di quello stesso cane. Euripide, a differenza di Penteo agisce in difesa del sacrificio del cane e per questo sembra dover essere punito.