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L'agricoltura biologica

2.2 L'agroecologia: scienza, pratiche agricole e movimenti

2.2.1 L'agricoltura biologica

All'interno delle pratiche agroecologiche si può collocare anche l'agricoltura biologica, la quale a nostro avviso merita un trattamento a sè, considerate le sue specificità. Inoltre, bisogna tenere presente che “agricoltura biologica” è una definizione utilizzata in contesti geografici ed ambiti diversi con differenti significati. Sul sito della Commissione Europea si legge16:

“L'agricoltura biologica è un sistema di agricoltura teso a garantire a TE, CONSUMATORE, cibo fresco, gustoso ed autentico assieme al rispetto dei cicli di vita naturali dei sistemi. Per raggiungere ciò, l'agricoltura biologica poggia su un insieme di obiettivi e principi, e di pratiche diffuse per minimizzare l'impatto umano sull'ambiente. Le pratiche tipiche dell'agricoltura biologica comprendono:

 la rotazione del raccolto come prerequisito per un uso efficiente delle risorse interne

 limiti molto rigidi sull'utilizzo di pesticidi chimici e fertilizzanti di sintesi, antibiotici per il bestiame, additivi alimentari e coadiuvanti della trasformazione dei cibi e altri inputs

 il divieto assoluto del ricorso a OGM

 l' utilizzo di risorse in situ, come il letame in funzione di nutriente del suolo  la selezione di piante e specie animali resistenti a malattie e adattate alle

condizioni del luogo

 l' allevamento a terra, all'aperto e l'uso di mangime biologico per il bestiame  pratiche di allevamento adeguate alle diverse specie di bestiame”

Emergono immediatamente tre aspetti che distinguono in parte l'agricoltura biologica dalle pratiche agroecologiche descritte sopra: la possibilità, seppure marginale, di ricorrere a pesticidi e fertilizzanti sintetici così come a sostanze artificiali per i prodotti trasformati e conservati, la possibilità di utilizzare farmaci convenzionali per il bestiame e soprattutto l'enfasi posta sull'agricoltura biologica come attività prevalentemente commerciale, un sistema di produzione orientato a competere sul mercato e alla soddisfazione delle esigenze dei consumatori.

L'Unione Europea ha creato il logo “organic” che attesta il rispetto delle regole fissate per coloro che desiderino commerciare i propri prodotti come biologici. L'autorizzazione all'utilizzo del logo è subordinata all'osservazione di alcune normative comunitarie e passa attraverso un processo di certificazione. Gli stati membri designano le agenzie preposte al controllo, che possono essere pubbliche o private. La maggioranza degli stati membri delega il controllo a soggetti privati, quattro stati hanno affidato il compito ad enti pubblici e cinque stati si affidano ad una forma di controllo pubblico-privata. (EU Rural Review, 2014)

Un elemento che discosta l'agricoltura biologica dalle pratiche agroecologiche sopra elencate è individuabile nell'azione istituzionale che prende in carico la gestione (in particolare rispetto al controllo ed all'organizzazione) del settore. Gli Stati e gli apparati tecnico-istituzionali esercitano sull'agricoltura biologica la loro funzione regolatrice e pertanto si osserva come l'agricoltura biologica in vari paesi del mondo sia disciplinata normativamente in maniera abbastanza uniforme. Laura T. Raynolds (2004) delinea un quadro dei networks agro-alimentari del settore biologico concentrandosi sull'aspetto della governance (preminente nelle analisi sulle food

chain) e aggiungendo una dimensione “orizzontale” all'analisi, le reti. Contestando un

approccio teorico troppo schematico riguardo alla governance (ossia l'individuazione dei soggetti dominanti all'interno della catena non cogliendo il peso di altri e le interazioni tra i diversi attori) mette in luce come nella catena agro-alimentare del settore biologico sia condizionante il fattore della qualità, regolato da apparati istituzionali o tecnici. Pertanto, oltre ai rapporti di forza all' interno della catena, a suo parere bisogna guardare agli elementi esterni che influenzano le dinamiche del ciclo di produzione dall'inizio alla fine.

Il ruolo tecnico normativo degli Stati, che si sostanzia nei meccanismi di regolazione, incide sullo sviluppo del settore in una direzione piuttosto che in un'altra, fissando standard ai quali i soggetti presenti all'interno della catena agroalimentare biologica devono adeguarsi. La Raynolds ricostruisce la storia della istituzionalizzazione e della regolazione del settore biologico a livello globale, ed

evidenzia come gli Stati del nord del mondo, Europa e Stati Uniti, ma anche Canada e Australia, siano stati i principali artefici del “prodotto” biologico, condizionando la produzione dei paesi del sud del mondo che volessero inserirsi nel commercio mondiale. L'IFOAM (“International Federation of Organic Agriculture Movements”), nata negli anni '70 da gruppi di produttori provenienti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Svizzera, Svezia, Francia e Sud Africa, ha svolto un ruolo chiave nel definire standard qualitativi e di produzione, garantiti dalla certificazione.

La certificazione per sua natura tende ad omologare e gli standard fissati per una specifica area geografica non sono spesso compatibili con quelli adatti ad una diversa area geografica. Nel caso dai paesi del sud del mondo questi si trovano a competere in un mercato le cui regole sono state inizialmente definite dai paesi del nord. Sul sito dell'IFOAM compare un documento di “posizione” (“PO2 IFOAM position on the full diversity of Organic Agriculture”) della federazione che afferma che “IFOAM's view of Organic Agriculture goes far beyond certification”. Dunque una presa di distanza dalla imprescindibilità della certificazione per i prodotti biologici. Non solo, nel testo si precisa la missione di IFOAM è quella di supportare “l'adozione dell'Agricoltura Biologica17 nel mondo consapevoli che l'agricoltura

biologica non certificata esprime la “piena diversità dell'Agricoltura Biologica”. La certificazione di terze parti, si legge nel documento scaricabile dal sito, è ritenuto “uno strumento affidabile di garanzia dello status biologico di un prodotto”, e “appare molto importante in un mercato anonimo” ma l'IFOAM non lo considera uno strumento

universale e certo non il solo strumento adeguato per la definizione di biologico.

Quindi il documento fa riferimento a modalità alternative alla certificazione convenzionale come il sistema di garanzia partecipata “Partecipatory Guarantee System” (PGS).

Il PGS è un sistema di garanzia “basato sulla partecipazione di vari soggetti che hanno un interesse nella catena del cibo a livello locale. Idealmente sono produttori, consumatori, ONG, studiosi e altri attori importanti del settore biologico. Questi

soggetti condividono la responsabilità della certificazione nel corso di accertamenti incrociati e sono partecipi nel processo iniziale di definizione degli standard. Si tratta di un processo flessibile e solitamente a carico dei soggetti interessati. […] Il PGS ha il vantaggio di stimolare i produttori ad essere consapevoli e migliorare i metodi produttivi e permettere lo scambio di saperi e conoscenza.18” (LEISA India, 2013)

Nonostante le difficoltà connesse al funzionamento del PGS, che si caratterizza come un work in progress e deve trovare una mediazione tra più approcci (quello dei tecnici, dei produttori e dei consumatori), questo sistema rappresenta una delle forme orizzontali di cooperazione che si riscontrano all'interno di numerose “realtà agroecologiche”.