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Tra le tappe del processo di popolarizzazione della fotografia ricopre un ruolo speciale quella vasta gamma di prodotti di massa che, nella seconda metà del XX secolo, ha contribuito in modo sostanziale alla diffusione di una tecnologia alla portata di tutti. Nomi come quelli di Ferrania, Agfa e Kodak sono comunemente noti per aver introdotto nel mercato fotografico macchine man mano più economiche e più semplici da usare. A partire dagli anni Sessanta istantanee, usa e getta e superleggere, hanno dato un impulso straordinario allo sviluppo della fotografia amatoriale; lo slogan “voi premete il bottone, noi facciamo il resto” 10 è rimasto a lungo nella mente di molte persone, a conferma di quanto fosse centrale anche l’opera di propaganda di questo mezzo di autorappresentazione in rapida ascesa. L’istituzione familiare, significativamente in via di ridefinizione in quegli anni, trova nella fotografia una via d’espressione più spontanea e più libera da mediazioni; affettività e intimità familiare sono i nuovi codici di una famiglia che si autoritrae sempre più in privato, e lo scatto analogico è il medium capace di ridurre in modo vertiginoso la distanza tra autore e soggetto della rappresentazione, a maggior ragione in assenza dell’ausilio di un professionista del mestiere. E’ così che nelle case moderne sono nati gli album fotografici homemade11, nuove biografie di persone, vicende e relazioni in cui l’occhio di chi racconta si confonde spesso con quello di chi è raccontato. Fffo

ofoto

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Lo slogan fu coniato dalla Eastman Kodak Company in occasione della promozione della prima fotocamera per non professionisti.

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[…] Vedi anche i quadri, sono assolutamente coperti da foto o da cose che per lui hanno un significato […] Questa qui è Lodovica che era nella squadra di calcio della scuola, e che per lui è un motivo di grossa fierezza [...] poi ora da qualche tempo la sua grande passione invece è il rugby … infatti questa è la foto con un noto rugbista […] E poi questa di un suo grande amico che è morto a diciott’anni, […], che è stato lui credo il grosso, il più grande autentico dolore della vita […] comunque anche lui lascia traccia, come vedete, anche lui molto legato alla sua infanzia … questo è lui piccino, questo è lui appena nato, qui è lui piccino … vabè, le foto delle ragazze discrete […]

Rosanna sta descrivendo una bacheca: ci illustra le foto con cui suo figlio l’ha riempita, organizzandola con le “cose che per lui hanno un significato”, ci dice la madre. Ed è vero: non possiamo sapere se esporre la foto della sorella calciatrice sia indice di un buon rapporto fraterno, infatti, ma senz’altro è plausibile dedurre la volontà di definirsi anche attraverso tale legame, che per il fratello significa evidentemente qualcosa di importante,

anche l’intenzione di esprimere la sofferenza più apertamente, comunicando l’evento a chiunque varchi la soglia della stanza. Infine, il figlio di MariaRosaria decide di rappresentare se stesso anche attraverso i ritratti di alcune belle ragazze, di un campione di rugby - lo sport che tanto lo appassiona - e tramite foto varie di quando era bambino. E’ questa l’immagine di sé che intende restituire.

Nel corso dei nostri seminari di approfondimento si è discusso a lungo su questa particolare modalità espositiva: mostrare fotografie che ritraggono un ragazzo di venticinque anni nell’età della sua primissima infanzia, sembra in effetti il segno di una scelta di continuità rispetto all’età infantile e adolescenziale; apparentemente scevro da desideri di distinzione nei confronti dell’immagine che la madre stessa propone del figlio, il giovane laureato costruisce la sua attuale identità senza ribellioni né resistenze, secondo un’idea di sé che pacifica il tradizionale conflitto generazionale.

Analogie piuttosto evidenti sono riscontrabili nella figlia di Chiara, di quasi ventotto anni, la cui stanza è colma di peluche e trousse porta-trucchi firmate Betty Boop e altre note icone, la maggior parte dal target tipicamente adolescenziale. Da un lato, ecco foto che mostrano le tappe più importanti

della sua vita, come il diciottesimo compleanno, il primo viaggio da sola con le amiche, la laurea; dall’altro, compaiono immagini di lei da bambina, disposte su bacheche di cui lei stessa è artefice della selezione del materiale. C’è da chiedersi, a questo punto, quali riferimenti sociali leghino le comuni pratiche di autorappresentazione di questi due giovani: le bacheche, le foto da piccoli, gli avvenimenti significativi. Un ragazzo e una ragazza, alle soglie dei trent’anni, con tipologie di camere e di dispositivi di memoria curiosamente affini: i due casi suggeriscono alcune considerazioni riguardo alla selezione dei ricordi e alla loro modalità di espressione. E’ difficile, al giorno d’oggi, conservare un’equa capacità di discernimento riguardo al nostro rapporto con l’autorappresentazione: qual’ è il nostro peso nella costruzione dell’immagine di sé e quanto siamo influenzati, invece, dalla moltitudine di stimoli iconografici che premono intorno a noi? Quanto conta, insomma, la nostra volontà di interpretare il mondo di cui facciamo esperienza rispetto alla sovrapproduzione di sollecitazioni visive a cui l’epoca contemporanea ci sottopone?

Interrogativi come questi sono fonte di profonde riflessioni per Susan Sontag che, nel suo saggio sulla fotografia (2004), solleva forti dubbi sulla nostra capacità di creare una lettura autonoma delle cose che ci circondano; immersi in una società invasa dalle immagini, educati e forgiati dalla cultura dell’estetica12, risulta arduo discernere ciò che è reale da ciò che non lo è, o astrarsi dai fotogrammi che popolano la nostra vita e mediano quindi il nostro rapporto con essa. E in effetti, la linea di demarcazione tra rappresentazione e autorappresentazione sembra distinguersi con fatica in queste due camerette: il tentativo di rendere unico il contenitore di foto di questi giovani, attraverso l’esplicitazione degli eventi importanti della propria vita, si scontra con il comune uso delle bacheche - pratica prevalentemente giovanile, assai di rado

Nella costruzione di questi archivi di memoria si scorge una contraddizione, insomma, quella tra l’intenzione di individualizzare i propri ricordi e la coincidenza delle strategie messe in atto nello sforzo di autoaffermazione.

... Allora foto di scrittori che mi piacciono, che più che come scrittori mi affascinano come uomini … come … questa di Moravia, per esempio, che è uno scrittore che io non so … un grande scrittore ma non so quanto ami però a me piaceva la manona, questa mano … Pasolini è un personaggio che mi ha affascinato indiscutibilmente da ragazza … per cui è qua oggi … Sandro Penna beh, questa foto è stupenda, proprio, lui sporco, lercio, lì nel letto … e poi bellissimo Mapplethorpe, che mi mandò Giulia da Londra […] Questa è Giulia il giorno della sua laurea, questo è Ignazio, mio figlio quando coi capelli lunghi, ma lui li alterna lunghi a corti, in cucina l’avete visto in versione corta […] Questo è il battesimo di Giulia […]

Ci troviamo di fronte alla libreria del soggiorno di Paola. Accanto alle foto dei figli, Giulia e Ignazio, ella ci mostra delle cartoline in bianco e nero che ritraggono scrittori e personaggi a cui è affezionata, illustrandoceli in un'unica sequenza narrativa, come se i legami che incarnano fossero tutti sullo

stesso piano. Ovviamente non è così, ma è evidente che in quest’occasione ella sente di volersi presentare a noi come se tutti loro – tanto i figli quanto gli scrittori - facessero ugualmente parte di lei e della sua storia biografica. Sugli scaffali di quell’antica libreria trovano quindi posto foto e cartoline, eventi vissuti in prima persona e aneddoti immaginati soltanto. Come già accennato, quest’interlocutrice è dotta e raffinata, dai gusti classici e con uno spiccato senso estetico; la sua formazione artistico- letteraria riecheggia in tutta la casa, e così pure nelle varie conversazioni.

“ In ogni coscienza individuale le immagini e i pensieri, che risultano dai diversi ambienti che noi attraversiamo, si succedono seguendo un ordine originale, e ognuno di noi, in questo senso, ha una storia” (Halbwachs 2001, p. 109). La risultante biografica di Paola è scandita a chiare lettere su questi ripiani, e la performance con cui ce la racconta è distintamente legata a inclinazioni che sono tutt’ora vive nel suo presente, seguendo quella che Halbwachs definisce “l’intuizione sensibile” (Ibidem, p. 111). Lungi dall’essere una pratica puramente rappresentativa, allora, l’atto del ricordare si configura piuttosto come l’interpretazione corrente di contenuti connessi col passato, secondo una narrazione plasmabile dalla convergenza di influenze sociali.

… Qui naturalmente c’ho la foto di Truffaut, perché è un regista che amo molto, qui i miei genitori, qui una mostra che mi era piaciuta … e questa è mia figlia … ehm … ancora molto ragazzina …

La commistione di arte e parenti prosegue ancora nelle foto che Paola tiene racchiuse in un prezioso fermacarte napoleonico. Le sue raccolte di immagini presentano tutte un tocco molto personale, ravvisabile anche nei dispositivi scelti per contenerle. Nelle ampie stanze e lungo i corridoi, il concetto di album familiare si estende enormemente, per la varietà di forme e di contenuti. L’immediata prontezza con cui descrive il contesto di ogni ritratto, inoltre, lascia trapelare un forte grado di agency da parte sua, nell’organizzazione dei ricordi come pure nella loro collocazione all’interno della casa. Paola è senz’altro un soggetto attivo, in questo senso, che non lascia al caso la scelta e la disposizione delle foto: lei seleziona e costruisce, con un’impronta che è difficile non notare. Il suo alto grado di partecipazione e di personalizzazione degli archivi familiari induce a prendere in considerazione il fattore della sfera emotiva, su cui Luisa Passerini ci invita a riflettere: “ Il rapporto tra emotività e memoria è un dato acquisito nella ricerca e nella pratica sulla realtà psichica. Ed è anche l’anello che permette di chiudere il cerchio della memoria: senza la base comune del gruppo, o della stessa specie, non si dà memoria individuale; senza memoria individuale non si dà comprensione intersoggettiva, empatia e quindi trasmissione” (Passerini 2001, p. 260). Se in Halbwachs dunque si intravedono a malapena i contributi individuali nella materia del ricordo, per Luisa Passerini essi risiedono invece

nei modi in cui l’individuo stesso accede alla propria sfera emozionale, reinventando, così, la forma e il senso delle nostre reminescenze.