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Capitolo Quarto

2. Il lato umano e quello ideale.

Paola dice che non ce ne possiamo andare prima di aver visto la stanza della lavanderia. In fondo al corridoio c’è un ampio vano suddiviso in due zone; l’asse da stiro è relegato in un angolo, sommerso da una montagna di panni pronti per la stiratura. Alle pareti notiamo una spalliera in legno a due campate e una cartina geografica della penisola italiana: per un attimo ci immaginiamo di nuovo sui banchi di scuola, o nella palestra durante l’ora di educazione fisica. La vera anima di questa stanza, però, sono le decine di oggetti artigianali che Paola estrae da scatole e contenitori, manufatti da lei realizzati per raccontare le fiabe:

... Questa è la treccia di Raperonzolo [...] E poi il sacco del gatto con gli stivali, dove mette ... le pernici [...] Questo è il panetto di burro – ovviamente è farina e acqua, spero che non marcisca – ehm ... di Cappuccetto Rosso ... [...] Le uova della gallina dalle uova d’oro ...

Più che nella zona lavanderia, a noi sembra di essere nel paese dei balocchi. I figli e i nipoti di questa creativa signora hanno goduto della narrazione di novelle animate e recitate, mimate con l’ausilio di materiale visivo che rendeva ogni elemento concreto, tangibile, verosimile. Mentre ci presenta questi oggetti, Paola non fornisce troppe spiegazioni su come essi siano stati confezionati, o sui momenti che li hanno visti entrare in azione; tutta presa dal mostrarci le scarpette rosse o le mollichine di Hansel e Gretel, ci dice soltanto che i bambini sono incuriositi dal sentir raccontare favole in questo modo, e aggiunge:

... A me piace rendere umani e veri i personaggi delle fiabe ... e i bambini – magari a loro lì per lì fa paura a volte - ma poi ti dicono: me la fai rivedere la testa43? Perché comunque a loro piace ...

Le fiabe fanno da sempre parte dell’universo di quest’interlocutrice. Da ragazza, prima di sposarsi, lavorava a fianco di uno dei più importanti maestri burattinai d’Italia, e degli spettacoli messi in scena con lui conserva ancora le locandine, incorniciate lungo le pareti del corridoio. Ingaggiata da qualche anno da un’associazione locale, inoltre, racconta favole in una serie di incontri che si tengono periodicamente sulle mura della sua città, organizzati e destinati al pubblico infantile. Tuttavia, il rilievo dato da Paola a questo magazzino di storie fantastiche, camuffato a malapena da stanza lavanderia, è stato la molla per una riflessione scaturita durante la ricerca a proposito dell’umanizzazione dei beni materiali.

... State bone, eh? ‘Un mi fido mia tanto ...

L’interminabile elenco di piatti e vasellame che Mirella si impegna a illustrarci, sfilando con estrema cautela ogni pezzo dalla credenza, è intercalato da una serie di commenti ad alta voce che il soggetto non rivolge a noi, ma agli oggetti che maneggia con cura mentre apre e richiude le ante a vetro che li proteggono. E’ alle tazzine di finissima porcellana che raccomanda di star buone, ad esempio, e di rimanere immobili durante la delicata operazione di riposizionamento del vaso appena tirato fuori; tutte rifinite in oro zecchino, e decorate con graziosi ghirigori che la padrona mostra di apprezzare parecchio, le tazze non hanno la fama di essere troppo robuste, e forse per questo, non godono della piena fiducia della padrona che ammette apertamente le proprie titubanze. Immediatamente dopo è il turno del piccolo vaso, che viene ammonito per la sua reticenza a trovar posto dove era sempre stato:

Malgrado l’assenza di cenni da parte delle suppellettili, Mirella parla con loro, e lo fa con la naturalezza di chi è abituato a interagire quotidianamente con ciò che lo circonda; sono le sue relazioni di tutti i giorni, e nonostante il loro silenzio quei soprammobili riescono a far nascere un dialogo, articolato tra la volontà di Mirella rispetto alla loro collocazione e le resistenze degli stessi oggetti che, orgogliosi del proprio statuto, ostacolano le intenzioni della padrona di casa.

... Pendi un po’ ... è vero siamo di Pisa44 ...

Quelle cose non sono semplice chincaglieria. Lo statuto che posseggono è quello di persone fatte di carne e di spirito, poiché questo è lo spessore conferito dalla loro interlocutrice. La loquace signora scherza con tali oggetti, fin quasi a considerarli propri concittadini; sono come coinquilini con cui comunicare in tono confidenziale, e ciò non stupisce più di tanto se si tiene conto della solitudine di Mirella, già responsabile della loro evoluzione da beni materiali a buoni compagni di vita45. Rivolgersi alle cose come veri e propri esseri viventi non è una pratica rara tra le nostre intervistate, tanto che alcune di loro si mostrano addirittura consapevoli delle funzioni alternative di cui gli oggetti vengono caricati:

Dunque. Con la televisione ho un rapporto strano. E’ la verità ... è una voce ... fa compagnia ... perché ha la voce ...

Il televisore di Giovanna non trasmette programmi, non emette suoni: “ha la voce”. E grazie a questa umana dotazione sembra affrancarsi dal

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mondo materiale, diventando un’importante compagnia per chi vive nel silenzio di una casa senza familiari né conviventi.

GIOVA//A

Età: circa 70

Località dell’abitazione: Carrara

Composizione del nucleo familiare: nubile

Attività: insegnante in pensione/ si occupa di volontariato Data della visita: 15/05/2008

Giovanna vive da sola in un appartamento costruito nei primi anni Ottanta in una zona centrale di Carrara. La prima parte dell’intervista si svolge attorno al tavolo del salotto, dove la padrona di casa è solita ricevere le persone, compresi gli studenti a cui impartisce di tanto in tanto lezioni private. In realtà, il video tour ci svela la sua preferenza per una stanza tutta particolare: il tinello, dove ci sono la

da famiglie nobiliari della zona; la signora mostra un certo grado di compiacimento per quei preziosi elementi d’arredo, come pure per i vecchi libri di chimica e medicina appartenuti alla madre. La solitudine di Giovanna sembra compensata dai vivaci interessi che occupano le sue giornate: lo yoga, la naturopatia, e il volontariato agli anziani presso l’ospedale di Carrara.

Dal diario di campo:

Avvertiamo un velo di tristezza appena entriamo in questa casa: l’appartamento è grande, buio e anche un pò vuoto, e la formalità con cui veniamo accolte rende inizialmente difficile l’avvio del video tour. In realtà la signora non si risparmia affatto quando passa a descrivere gli oggetti a cui è interessata, e pian piano noi scopriamo un’altra Giovanna, dall’intelletto vivace e ancora al passo con i tempi.

... Serve ... e ha servito, onorevolmente, per parecchi anni ...

Con il rispetto e l’autorevolezza che si devono a un milite che si è distinto in una carriera longeva e decorosa, Giovanna ci presenta anche la sua macchina da cucire, instancabile amica di tanti pomeriggi trascorsi nell’intimità di un tinello accogliente e dalle piccole dimensioni.

Un evidente processo di antropologizzazione ha attraversato la natura di questi oggetti; immutati nel loro aspetto esteriore, essi hanno subito una forte singolarizzazione in questi contesti domestici, abbandonando la funzione – pur importante - di semplici mediatori, e divenendo attori protagonisti di relazioni sociali. Principali referenti per le pratiche comunicative di persone

che abitano da sole, come Giovanna e Mirella, in altri casi hanno ottenuto un’autonomia tale da poter essere considerati agenti della propria biografia:

Luigi: “ [...] gli oggetti m’ han sempre seguito”...

E forse, persino di quella dei propri possessori:

Ric.: - “E questi oggetti li ha scelti lei?”

Lisa: - “ Sì [...] li ho scelti io, ma alcuni si sono scelti da soli” ...

Per Luigi è difficile pensare ai propri possessi come semplici oggetti, esauribili e magari sostituibili. Firenze, Roma, Varese, Pescara, Lucca: in tutti i suoi spostamenti li ha sempre avuti con sé, un fagotto in grado di resistere a traslochi e cambiamenti senza disperdersi né deteriorarsi. E’ come se la loro capacità di durata, il loro potenziale di immanenza, superasse di gran lunga quello delle vicissitudini dei rispettivi possessori; disorientati dalla longevità di oggetti che sembrano poter aspirare all’eternità, i proprietari non possono fare a meno di attribuire loro un’anima, una volontà, e un potere d’azione sulle nostre esistenze: “alcuni si sono scelti da soli”. Secondo Miller (2001), le persone abitano case che, in virtù della loro estesa temporalità, possono indurre sentimenti d’alienazione in chi le occupa; anche l’ambiente circostante, in cui spesso spendiamo tempo e energie per renderlo appropriato alle nostre esigenze, altro non è che l’espressione dei riflessi degli oggetti sul nostro potere decisionale (Ibid.). I nostri apporti, per quanto incisivi, non possono che integrarsi a un ordine preesistente, nei confronti del quale la

sentimenti di solitudine, appare come un modo per dotare di agency le nostre cose e le nostre proprietà, rispondendo all’esigenza di personificare ciò che avvertiamo come alieno e sensibilmente diverso da noi46.

Paola: - ... Perché vedi ... se io dico che la maga tagliò la treccia a Raperonzolo ... cioè, i bimbi dicono: vabè, la maga ... se invece io la maga e

la treccia le faccio vedere, e poi le faccio parlare ... vuoi mettere?

Ric.: - Eh, è tutta un’altra cosa ...

Paola: - Eh direi! ...

LORELLA

Età: circa 55

Località dell’abitazione: S. Anna, prima periferia di Lucca. Composizione del nucleo familiare: separata, due figli. Attività: insegnante

Data della visita: 18/03/2008

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Miller spiega così anche l’importanza data ad antenati e discendenti all’interno delle abitazioni, quali figure di conciliazione tra la natura caduca degli esseri umani e quella più duratura delle case. Inoltre, popolare le dimore di

Una volta separata dal marito, Lorella ha comprato un appartamento nuovo non lontano dal centro storico. Attualmente i figli sono una presenza saltuaria che non lascia grosse tracce nelle stanze ordinate e arredate in maniera piuttosto ricercata. Molta della mobilia presente è stata acquistata in negozi d’antiquariato, e i tappeti persiani ricoprono i pavimenti di tutta la casa. Senza esitazione Lorella indica la provenienza di tutti i pezzi che compongono l’arredo, mostrando di aderire completamente allo stile adottato e alle scelte estetiche operate. Foto di famiglia e doni di nozze riempiono gli angoli del soggiorno, ma cenni in proposito da parte della padrona di casa sono del tutto assenti.

Dal diario di campo:

Freddo. Questa è la prima parola che è venuta in mente a tutte quando siamo uscite da quest’intervista. Abbiamo rilevato un’accoglienza diversa rispetto agli altri soggetti; i pasticcini che avevamo portato sono stati quasi ignorati dalla padrona di casa, e nemmeno l’arrivo del nipotino uscito dall’asilo è riuscito a scaldare l’atmosfera. E’ l’unica visita in cui abbiamo avvertito un pò di disagio; la distanza di Lorella rendeva asettico il nostro incontro, e nemmeno la mediazione degli oggetti è servita per sciogliere questa sensazione. Tra noi è nata l’associazione tra quest’impressione e l’assenza di indizi che ci ricordassero che in quella casa transitano figli e nipoti.

Ric.: - E ... mi incuriosisce questo, questo qui è un regalo o ... ?

Lorella: - Allora questo qui ... no no, l’ho comprato io, lo comprai io temp ... e lo comprai perché [...] questo lo tengo perché è morbido! Sì ...

In una stanza da adulti dove ogni mobile rimanda a un rigore parco e austero, una papera gialla di peluche sembra prendersi gioco di tanta serietà, e smorza i toni cupi e severi degli elementi che le stanno intorno. Al tatto è più liscia del velluto, e le dita affondano con facilità nel soffice corpo centrale; è per la sua morbidezza, appunto, che Lorella l’ha scelta, comprata e collocata nella sua camera. C’è un nipotino, Tommaso, che capita spesso a casa della nonna, e la riempie di altri pupazzi e giocattoli, ma questo: - “E’ quasi esclusivamente mio” - specifica Lorella.

... Anch’io c’ho la bambola, eh?

Quasi temesse di restare indietro rispetto alla figlia, di cui avevamo commentato i pupazzi sul letto e quelli riposti in grandi ceste di vimini, Chiara ci previene attirando lei stessa la nostra attenzione sulla bambola appoggiata sul comò della sua camera; all’angolo opposto, poi, notiamo un tavolino con dei peluche che strabordano dal ripiano inferiore:

... Cane e pupazzi, là, me l’hanno regalati, allora l’ho messi lì ...

Ancora una volta veniamo informate senza bisogno di fare domande; la presenza di ninnoli e bamboline nelle proprie stanze suscita un maggiore imbarazzo in noi visitatrici che nelle disinvolte padrone di casa. Chiara, di fatto, espone una paperetta di peluche anche in soggiorno, alla facile vista di

ogni intrusione. Inoltre, la sua cucina è un continuo richiamo all’infanzia: decine di piccole calamite tappezzano il frigo, le sorprese della Kinder stanno tutte in fila sul forno a microonde, mentre il design delle mucche pezzate è la cifra stilistica di numerosi soprammobili a vista. Tazze, barattoli, guanti e presine da cucina col manto a macchie bianche e nere; sono regali che Chiara riceve con molto piacere:

... Sì, c’ho la passione per le mucche ... la gente lo sa ... e allora me le regalano. Fanno allegria ...

Uscite da queste visite non abbiamo potuto astenerci dal commentare la presenza ricorrente di orsacchiotti ed elementi ludici di vario tipo che contraddistinguono le abitazioni di Chiara e di Lorella; ci chiediamo, in particolar modo, quale sia la molla che induce individui adulti a collezionare pupazzi e peluche, o cosa attivi una pratica come quella perpetuata da Chiara e sua figlia, che si regalano a vicenda mucche, ranocchie e cuscini a forma di cuore. Un microcosmo, quello di bambole e fantocci, che tra persone ormai più che maggiorenni sembra nutrirsi di impulsi strettamente legati alla memoria dei sensi: la morbidezza della papera di Lorella, l’immagine divertente delle tazze a forma di mucca; come se tramite i nostri registri sensoriali fossimo in grado di riappropriarci di sensazioni legate all’infanzia o all’adolescenza.

Ric.: - E le spesa la fai te?

Barbara, la figlia di Chiara, è una ragazza da poco laureata, quasi trentenne; sta ultimando il suo anno di tirocinio prima di cimentarsi nell’esame di Stato per l’iscrizione all’ordine degli psicologi. Non stupisce che dia il suo contributo in casa facendo la spesa e occupandosi della cucina. Il contrasto che troviamo stridente, tuttavia, è quello con la sua stanza piena di bamboline e trousse a forma di animaletti; l’ha rinnovata non molti anni fa, quando si è trasferita assieme alla madre in questo nuovo appartamento. Aveva circa vent’anni, e oggi l’aspetto della camera non è cambiato: vecchi diari, foto degli ex compagni di scuola, biglietti d’auguri di compleanni trascorsi, e soprattutto tanti pupazzetti colorati. Se da un lato non ci spieghiamo il bisogno degli adulti di tenere in casa elementi infantili per il proprio diletto, insomma, dall’altro ci sfuggono anche i motivi per cui figli già grandi mantengono intatte le proprie stanze, in armoniosa sintonia coi genitori47. Come i figli di Tiziana, sia “quello piccolo”- come lo chiama la madre – che quello più grande: nelle camere di questi trentenni ci sono gagliardetti della squadra del cuore, automobiline di latta, bersagli per giocare a freccette e un girasole di stoffa; ma ci colpiscono anche la tazza con la faccia dell’attuale Presidente del Consiglio e un portagioie a forma di mezzobusto femminile equipaggiato di piccole piume rosa, un misto di kitsch e amarcord che ci lascia piuttosto stupefatte.

Sono diverse, dunque, le case visitate che hanno sollevato lunghe e accese discussioni sugli oggetti legati all’infanzia, e soprattutto sul modo in cui individui adulti si relazionano a essi nel proprio spazio domestico.

Questa è la famosa orsa Mea ... perché Paolo c’aveva quest’orso che si chiamava Meo – c’ha ancora, lì sul letto [...] – e allora lei, quando ... a immagine e somiglianza del fratello mise nome Mea, alla sua ...

Rosanna sorride un po’ mentre ci presenta Meo e Mea, gli inseparabili orsetti che i figli si portavano dietro quando erano piccoli; ce li descrive diffusamente dopo averli già introdotti come cimeli il cui destino è quello di rimanere a fianco dei loro padroni, nonostante il passare del tempo. Adesso, di fronte al letto della figlia, ci parla di Mea in modo assai più dettagliato, soffermandosi su memorie di vacanze e viaggi di cui i piccoli peluche sono stati partecipi. Preoccupandosi di non apparire nel filmato della videocamera, la figlia non rinnega niente, e lascia all’orsacchiotto tutta la scena. Entrambe

[...] Poverina, una volta la lavavo ... ora non si può più lavare perchè sennò [...] si distrugge ... però non se ne liberano, proprio ...

Senza dubbio è stata tanta la cura dedicata a questi pupazzi. E in un certo senso le attenzioni si protraggono tutt’ora, visto che gli orsi non vengono più lavati per paura di rovinarli. Vanno preservati, così come va preservata quell’epoca felice in cui essi svolgevano a pieno le loro mansioni, un’epoca che fa addolcire il tono della voce di Rosanna soltanto a farne cenno. Rispetto ad altre fasi della vita, quella dell’infanzia dei figli resta un’era di esclusiva attrazione anche a distanza di anni, e che oggi incontra pure l’interesse dei suoi protagonisti, giovani ormai cresciuti che aderiscono alla visione idilliaca promossa dalla narrazione dei genitori. E’ forse questa la ragione per cui adesso, nelle bacheche giovanili, trovano spazio anche le proprie foto di neonati? Un’autorappresentazione che commuove i genitori, li riempie d’orgoglio e li ripaga di ogni sforzo educativo. Una memoria pienamente positiva e appena un poco struggente dell’infanzia, in linea con

quel processo di idealizzazione (Frykman, Löfgren 2003, p. 34) che appare come indispensabile per affrontare la nostalgia di tempi che non tornano più.

Paola: - Questo catino, vedete? Questa è la tinozza che usavo quando Giulia era piccola per farle il bagnetto ...

Ric.: - Ah ...

Paola: - E’ la tinozza ... adesso ha cambiato colore, tutta ingiallita – vabè- dal tempo ... però ai miei nipotini ho fatto fare il bagnetto qui ... fino a poco tempo fa mi chiedevano: ma è vero che tu ci lavavi la mamma, qui? E loro sono tutti contenti, e si lasciano fare il bagno ...

Con un atto simbolico che ha la forza e la penetrazione di poche altre pratiche di trasmissione, Paola utilizza una tinozza di almeno trent’anni, alterata e consumata dal tempo, per fare il bagno ai nipotini che, consapevoli dell’origine e della storia di quel particolare bacile, si entusiasmano e si fanno lavare senza capricci. Se l’idealizzazione dell’infanzia si manifesta in una tendenza a leggere quel periodo come “un’epoca in cui tutto è più semplice, naturale, sicuro e genuino” (Ibid. p. 34), il desiderio di ritornarvi può assumere un’intensità maggiore quanto più forte è la percezione dello scorrere temporale. Come la tinozza di plastica, l’interlocutrice conserva anche numerosi altri oggetti d’ambito infantile che tramanda da una generazione all’altra, e ciascuno di essi riassolve a tempo debito la funzione per cui è entrato per la prima volta nella vita della famiglia. Ma fino a quel momento Paola li conserva, con una sorta di sesto senso che altro non è che la sua accentuata sensibilità per la continuità: se l’infanzia dei suoi figli non potrà