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Teoria e tecnica del riuso: l’irresistibile fascino della tradizione.

Capitolo terzo

3. Teoria e tecnica del riuso: l’irresistibile fascino della tradizione.

Per esempio l’ultima moda, quella degli knit-cafè. Bar e locali ormai diffusi in svariate città italiane dove ragazze appassionate del lavoro a maglia si ritrovano per socializzare e sferruzzare in compagnia. Lane, filati, gomitoli e ferri da calza sono tornati alla ribalta, trasformando in luoghi di tendenza anche i più piccoli bar di provincia. E mentre le accademie delle belle arti si reinventano organizzando eventi attorno alla febbre della filatura, sferruzzatrici folli si radunano entusiaste rispolverando i vecchi mestieri delle nonne. Moderni passatempi che strizzano l’occhio al passato, cosa si cela dietro queste passioni? E che dire degli alberghi diffusi, tra le nuove forme di sviluppo turistico? Di matrice tutta italiana, i più recenti modelli di ospitalità non propongono semplicemente la permanenza in borghi storici ristrutturati, ma si prefiggono pure di rianimare i caratteristici contesti urbani recuperandone tradizioni, produzioni locali e, ovviamente, “stili di vita”. Già divenuti una mania per il turismo d’élite, gli alberghi diffusi fanno anch’essi leva sul fascino persuasivo della tradizione e del suo recupero. Le seduzioni del passato sono in forte aumento da un pezzo a questa parte, si sa, e anche in

tuttavia, tra le case esplorate, diversi soggetti non si sono limitati al restauro di ciò che è “vecchio”, ma hanno cercato di rivitalizzarne le funzioni spesso in modo assai originale, proprio come gli esperti commerciali hanno saputo fare con borghi abbandonati e occupazioni di una volta.

Luigi: - Qui non so se vi interessano le storie, questo è un letto che ...

Ric.: - Sì, sì, ci interessano ...

Luigi: - E’ un letto che ha ... c’era un mio compare di matrimonio [...]

che c’aveva in camera sua, che l’aveva preso per la moglie ... poi a un certo punto ha ... s’è ... s’è separato dalla moglie ... ha detto lo ... lo dò via, lo regalo. Allora io: “Dammelo a me!” ‘uesto è abruzzese, vecchio, proprio ...

Luigi ci mostra l’antico letto abruzzese dipinto a mano che con soddisfazione è diventato parte della sua camera da letto. Solletica la nostra curiosità invitandoci ad ascoltare la storia che sta dietro quel mobile di pregio, e poco importa se è stato il talamo nuziale di un’unione che si è malauguratamente spezzata: il valore di un oggetto così antico smantella ogni superstizione, e produce nell’attuale possessore un evidente appagamento.

L’antiquariato è il grande protagonista di molte delle abitazioni frequentate, tra cui anche quella di Marta, un’altra interlocutrice che annuncia il racconto di un oggetto e della sua provenienza:

... Vi racconto una cosa, questa mi piace, ve la devo raccontare ... Allora, la storia di questa tegola ...

MARTA

Età: circa 45

Località dell’abitazione: Montecarlo, Lucca

Composizione del nucleo familiare: sposata, un figlio Attività: insegnante

Data della visita: 19/04/2008

Marta vive la casa. La funzionalità è il criterio che ne guida la conduzione e il mantenimento. Tutta la famiglia ha piena libertà di utilizzare

seconda della convenienza e al fine di rendere la quotidianità più confortevole. La coppia è appassionata di arte, di storia, e di oggetti di antiquariato che acquistano girando per mercatini. La casa è situata nel centro storico di Montecarlo, un paesino sulle colline lucchesi, e si sviluppa su tre piani con relativi terrazzi che affacciano su viste panoramiche.

Dal diario di campo:

Complice forse una limpida giornata di sole e l’escursione gradevole sulle colline di Montecarlo, usciamo da quest’intervista piacevolmente rilassate, quasi felici dell’incontro fatto con Marta e con suo figlio. L’intimità che Marta riesce a creare in pochi minuti e poche battute ci mette subito a nostro agio, come se non fosse affatto la prima volta che entriamo in quella casa. E’ una delle visite che ci è piaciuta di più. Ma è anche l’intervista che ha destato più scalpore e curiosità, quella attorno a cui è nato un dibattito senza precedenti su ordine e disordine: le considerazioni delle persone sono state le più disparate, e sul tema è emerso un giudizio tutt’altro che omogeneo. La casa di Marta è ordinata o disordinata? Quasi un eterno dilemma...

... Vedete che questa tegola è fatta tutta di pezzi, no? Allora, questa tegola è un pezzo del cuore mio e del mio marito, perchè, quando eravamo ragazzini [...] si cercava, quando ancora non si sapeva che Vivinaia era stata completamente distrutta, non c’era più niente, si camminava spesso vicino al bordo della strada, nei campi di Vivinaia, per vedere se si trovava qualcosa di Vivinaia. A un certo punto, trovando, e cercando cercando, sotto un ciglio, si comincia a trovare, sotto un ulivo, dei cocci che ci sembravano antichi ...

La storia prosegue, e man mano che la tegola prende forma si intuisce come per Marta quell’oggetto e la vicenda del suo lungo e frammentato recupero abbiano camminato di pari passo con lo sviluppo del rapporto con suo marito, intrecciandosi poi con gli altri legami familiari:

[...] E si trovavano questi pezzetti di tegola, se ne trovò a camionate. 'oi si portava tutte ‘ste cose a casa, e mio padre ci prendeva in giro [...], diceva: “Se fate una tegola di tutto ‘sto macello vi dò cinquanta mila lire!” Eh Eh ... [...]

La ricomposizione dei cocci è stata una fondazione paziente di relazioni da un lato, dall’altro ha visto la graduale assunzione del ruolo di testimoni del passato da parte della giovane coppia di aspiranti archeologi.

[...] Comunque noi ... [...] si ricostruì la tegola [...]Però non c’è niente nella forma della tegola che possa testimoniare la sua antichità, se non l’averla trovata così strettamente connessa con la maiolica antica, capito? Quindi però, estratta di lì, è una cosa che sappiamo noi ...

La missione della conservazione è altrettanto avvertita anche da Graziella, che così ci spiega di fronte al grande comò con specchiera situato nella camera da letto:

GRAZIELLA

Eta’: circa 35

Località dell’abitazione: Peccioli, Pisa

Composizione del nucleo familiare: sposata, due figlie piccole

Attività: assistente alla poltrona in uno studio odontoiatrico, studia come igienista dentale.

Data della visita: 12/02/2009

Figlia di un noto pediatra di Peccioli e di un’insegnante, Graziella abita in un palazzo del 1600 acquistato dai genitori nel 1983 e adattato alle esigenze della nuova famiglia in divenire. Il suo appartamento è stato ricavato nel sottotetto dell’antico edificio, e lei ne apprezza la luminosità e le grandi travi a sostegno del soffitto.

“Qui è tutto superantico”: questo è ciò che dice Graziella per spiegarci come ha recuperato la mobilia di gran parte della casa, trovata sul posto e restaurata con cura dal padre e dallo zio. Unico elemento moderno è la cucina, molto funzionale per venire incontro ai bisogni di due figlie ancora piccole e di una famiglia dai ritmi compressi.

Dal diario di campo:

Conosce bene la storia della casa e ci tiene molto a recuperarne ogni brandello. Eppure non conserva quasi niente: - “Conservo solo le cose che mi servono, oppure gli oggetti delle bambine”- dice per giustificare la scarsa presenza di soprammobili e fotografie. L’atteggiamento ci è sembrato quasi contraddittorio: tanta è l’attenzione per le mura antiche dell’edificio quanto poco è l’interesse per i piccoli complementi d’arredo.

Tanto in questa giovane padrona di casa che nei due interlocutori precedenti è ravvisabile un certo spirito di soddisfazione nella descrizione dei suddetti oggetti; l’impressione è che ci sia una gratificazione che va ben oltre il rimettere insieme i pezzi di utensili antichi: un sentimento che priva di imbarazzo Graziella nel riferirsi agli escrementi dei piccioni, che lascia dormire Luigi in un letto che ha visto finire un matrimonio, e che infine spinge Marta a parlare di una tegola come parte “del cuore suo e di suo marito”. Pietro Clemente (1999, p. 54) allude proprio a questo aspetto emotivo che giace dietro le pratiche di recupero quando afferma che il mondo del riuso “non è un mondo dell’economico puro”: l’arte di arrangiarsi, anche quella della cultura contadina a cui egli si riferisce, è tutt’altro che slegata da ricordi, gusti e relazioni sociali. E se rattoppare, accomodare e riciclare, per quella cultura, erano forme di un agire costretto a far di necessità virtù, per i nostri soggetti si tratta di scelte più che mai significanti, làddove una maggiore libertà dal bisogno produce comunque estetiche comuni volte alla riscoperta della tradizione. Recuperare, tra le persone da noi intervistate, sembra un’esperienza che nasce da esigenze radicate in profondità, un habitus che si riflette a largo raggio nella sfera sociale, come le più recenti intuizioni

Tiziana: - Dunque, sì ... qui di oggetti di grande valore affettivo ce ne

sono parecchi. Intanto lo scaldino [...] Sì, li mettevano lì ai piedi, quando lavoravano, no?

Ric.: - E’ bellino anche il riutilizzo che ne hai fatto te, è originale ...

Tiziana: - Sì, ora devo trovare la maniera, sinceramente, di ... mmm ...

pulire i fiori [...]

Trovare la maniera di pulire i fiori secchi che stanno dentro il vecchio scaldino; è l’intenzione espressa da Tiziana mentre commentiamo l’uso originale che ne ha fatto trasformandolo in un portafiori decorativo. Perduta la sua funzione nativa, l’attrezzo ricopre adesso un ruolo più signorile, stagliandosi nel bel mezzo del tavolo del soggiorno pronto per essere notato, ammirato e magari spolverato. Oltre al desiderio di conservazione, risulta chiara qui la volontà di valorizzare il vecchio utensile: essa è alla base della nuova connotazione funzionale conferitagli da Tiziana, grazie a cui lo scaldino può adesso risplendere di nuova vita, giocando la parte di vaso colmo di fiori anzichè di semplice soprammobile senza alcuna utilità.

FLAVIA

Età: circa 55

Località dell’abitazione: Peccioli, Pisa

Composizione del nucleo familiare: separata, tre figli Attività: insegnante di religione/ capo scout

Data della visita: 12/02/2009

Flavia è la mamma di Graziella, e abita nello stesso palazzo al piano di sotto. Restauro e recupero di oggetti del passato sono i tratti distintivi dell’arredamento di questa casa: bacheche e vecchi mobili di tipografie dismesse sono divenuti librerie e scrivanie, antiche cappelliere funzionano da porta riviste, e un bauletto da offertorio serve ora come contenitore per il lucido da scarpe.

“Quello è il problema: io conservo!” – E’ così che Flavia spiega la sua difficoltà a disfarsi dei tanti oggetti appartenuti alla famiglia Pescatori, i nobili proprietari per cui l’edificio era stato costruito. L’attenzione per le cose tramandate è per lei di cruciale importanza, ma lo è altrettanto la

carne alla brace.

Dal diario di campo:

Sappiamo che il progetto di vita comune della coppia intrapreso negli anni Ottanta si è interrotto a seguito della separazione; tuttavia non possiamo fare a meno di notare che niente è stato modificato dopo quell’evento, come se l’abitazione non avesse risentito di quella rottura. 'otiamo che mentre Lorella e Chiara danno un taglio netto col passato, Flavia invece sembra essere a suo agio tra la mobilia scelta assieme all’ex marito, orgogliosa di come l’antico palazzo rivive dopo il loro restauro.

... Questo è l’acquaio della casa ... perchè questa era la cucina del palazzo[...]

Dall’acquaio all’acquario. Questa è la trasformazione subita dal grande lavello in pietra trovato da Flavia, anni fa, nella cucina dell’antica casa di Peccioli dove vive. Ancora una volta un elemento del passato rivive in una seconda pelle. Il recupero non ha previsto soltanto la messa a nuovo dell’oggetto; una volta dismessi i vecchi panni, l’ampia pila diviene il

contenitore di una vasca di pesci, alghe e conchiglie, illuminata a dovere per catturare l’attenzione degli avventori di quello che oggi è il soggiorno. Flavia compie un’operazione simile per un altro curioso recipiente, un bauletto da offertorio ecclesiastico: qui dentro si trovano spazzole e lucido da scarpe, un’attrezzatura che consente di riutilizzare una scatola altrimenti destinata alla sola tesaurizzazione.

Questo è un oggetto trovato in soffitta sù ... che ora ci sta il lucido da scarpe ... è un bauletto da offerte, forse di qualche chiesa [...]. Era qui vuoto ... a qualcosa ora serve!

Gli esempi sulle pratiche di recupero si sprecano all’interno del corpus delle nostre interviste; ma ripetto al letto abruzzese di Luigi, alla preziosa tegola di Marta, e al malandato comò rimesso in sesto da Graziella, gli ultimi tipi di interventi conservativi - lo scaldino, l’acquaio e il bauletto delle offerte – presentano un tratto distintivo ulteriore, quello del cambio di funzione dell’oggetto e del suo riuso in una veste rinnovata, strategie riabilitative adottate anche da altri interlocutori:

Paola: - Questo ... ecco questo è un pezzo della casa ... probabilmente di

una stalla mi spiegava mio papà, perchè ci sarà stata la porta sotto ... l’arco agiva sopra per far respirare la ... la stalla ... e quindi questa è ... [...]

Sono in ferro battuto i resti dell’apertura di una vecchia stalla che Paola ha adibito a testata del suo letto. Dello stesso materiale è pure il tavolo da fumo dell’elegante salotto, ricavato dall’inferriata di una finestra d’epoca dell’antica casa di proprietà della famiglia:

[...] E questo tavolo, vedi quest’inferriata? Vedi che è tutta lavorata? Era un davanzale di questa casa [...]

Lo scarto tra il restauro e il riuso ci pone evidentemente di fronte a un atto simbolico di differente portata. Esiste un agire creativo, in questi riadattamenti, che va ben aldilà della tutela delle vecchie cose, e che esprime una forma di partecipazione più avanzata nelle scelte d’arredo e di decoro della casa. Clemente (ibid. p. 42) parla delle pratiche di riuso come “forme umane di conoscenza”, di “angolature conoscitive sul mondo” che non appartengono soltanto all’arte contadina, bensì si individuano in una modalità dell’azione umana che gioca con saperi, gusti e stili, e che combina estetiche comuni – quelle della tradizione – con estetiche individuali, dove un margine di creatività personale si fa spazio e concorre all’espressione identitaria dei

soggetti. Ecco dunque il singolare ingegno di Paola nel riutilizzo di un vecchio porta attrezzi da falegname:

Questo, per esempio, me lo regalò un falegname, vedi? Io ci misi poi i dischi ... ma è un attrezzo ... è un porta attrezzi da falegname ...

Con una capacità inventiva che si colloca a metà tra massimizzazione delle risorse e quella particolare attitudine che oggi verrebbe definita “problem solving”, l’originale modifica funzionale del porta attrezzi non altera nemmeno fino in fondo la natura dell’articolo: i dischi in vinile ne mantengono l’alone vintage, e sia per caso oppure no, Paola conferma che le astuzie di chi arrangia e riusa sono anche risposte individuali di fronte a questioni di carattere pratico, espressioni di sentimenti, stili e propensioni personali. Ma la metafora simbolica più forte giunge sicuramente da Laura, che della storica Corte Spadoni, residenza di una famiglia mezzadrile del Settecento, ne ha fatto la sua dimora a spese di pianti e delusioni dei genitori:

sessanta, gli anni settanta ... erano gli anni dei grandi ideali, quindi ... si viene a stare con la gente ... no? Si viene a stare coi contadini, si vive così ... e erano scelte serie, eh? 'on erano sciocchezze!

LAURA

Età: circa 60

Località dell’abitazione: colline del Morianese, Lucca Composizione del nucleo familiare: sposata, cinque figli Attività: insegnante

Data della visita: 12/06/2008

Laura abita col marito, piccolo imprenditore, e con tre dei loro cinque figli, in una casa contadina del 1400 situata sulle colline di Moriano. La coppia vi si è trasferita col matrimonio, avvenuto nel 1970, e la storia della loro unione e della formazione della famiglia ha proceduto di pari passo con la ristrutturazione della casa. Laura ribadisce più volte la volontà sua e del marito di abitare una casa come quella, perchè quell’abitazione li definisce come famiglia. Gli arredi sono prevalentemente antichi, in buona misura

recuperati da parenti, amici e conoscenti che hanno contribuito alla realizzazione del loro progetto abitativo. Si sofferma sul piacevole clima creatosi nella corte, e si compiace dello stile di vita che ne deriva e che non vorrebbe cambiare. Tutt’oggi confermerebbe il rifiuto di una residenza urbana. L’intervista ha visto l’attiva partecipazione del marito e di due figli, trasformando larga parte della nostra visita in un tour collettivo della casa, in sintonia col progetto di vita descritto da Laura.

Dal diario di campo:

Laura ci trasmette il piacere e l’entusiasmo con cui descrive le varie stanze della casa, mostrandoci ogni trasformazione avvenuta nel corso del tempo man mano che la famiglia si allargava. Insiste sulle motivazioni ideologiche alla base della scelta di quel tipo di abitazione, e sui criteri di funzionalità che li hanno portati a circondarsi di quell’arredamento. Tuttavia lo stile uniforme di mobili e suppellettili ci suggerisce che siamo di fronte anche a scelte di carattere estetico, che di fatto sono in linea con la natura rustica della casa.

[...] Era questa casa disastratissima, che a noi ci entusiasmò moltissimo. E che successe? Successe un ... il finimondo, perché i miei genitori si rifiutarono di venirci, proprio, si vergognavano [...] I suoi genitori, ehm ... furono molto più collaborativi [...] però la mamma [...] mi disse: “Senti, ora te lo posso dire”, dice: “Guarda, la prima volta che sono venuta qui [...] sono arrivata a casa e ho pianto” [...]

dei film sui tempi precedenti alla guerra. Il risalto che intende dare alla scelta operata da lei e da suo marito viene palesato un attimo dopo:

Ma noi, l’avevamo cercata questa ... questo modo ...

E proprio questo è il nucleo del lungo racconto dell’interlocutrice: la volontà della coppia di donare nuova linfa a una casa abbandonata, un intento riconfermato nel tempo nonostante l’affievolirsi del clima d’entusiasmo degli anni Settanta, che aveva portato molti loro amici a compiere scelte simili. Qui non ci troviamo semplicemente di fronte a un mobile o un utensile recuperato, ma a un’intera casa che viene riabitata e riportata a vita quotidiana: luce, acqua, telefono, e una comoda strada asfaltata che prima non c’era. E tutto ciò in nome di saldi e durevoli ideali, senza dubbio, ma anche col fine di riesumare un’aria – quella di usanze, abitudini e tradizioni di una volta – e contaminarla poi con tratti propri di modernità, restituendo corpo e anima a oggetti del passato che tornano a essere, così, figure attive del nostro presente, e magari spiriti invisibili da traghettare verso sponde future.