• Non ci sono risultati.

Totem e santi, novelli lari della modernità.

Capitolo terzo

2. Totem e santi, novelli lari della modernità.

Che la funzione simbolica sia una fonte di orientamento essenziale per l’esperienza degli esseri umani, qualsiasi sia la cultura d’appartenenza, ce lo ha illustrato una densa tradizione di antropologi simbolisti, interpretativi e studiosi della performance e del rito. D’altro canto, la globalizzazione è spesso annoverata tra i grandi imputati della rarefazione dei significati e dei significanti delle rappresentazioni simboliche odierne, come se emblemi e tradizioni che si perpetuano ai giorni nostri non fossero altro che vacue reminescenze, tanto inconsistenti da poter essere rimosse senza grosse conseguenze dalla vita quotidiana. Tuttavia, percorrendo i corridoi delle case visitate, sbirciandone gli angoli e osservandone attentamente le stanze, gli oggetti ad alta valenza simbolica ci sono sembrati piuttosto ricorrenti e, lungi dall’essere rimossi, li abbiamo visti anzi occupare posizioni di primo piano, a conferma del fatto che neppure l’epoca contemporanea pare sottrarsi al bisogno di costruire significati attorno alle cose. Senza ricorrere a sollecitazioni troppo incalzanti da parte nostra, i soggetti trovatisi di fronte alla videocamera si sono sovente diretti in modo spontaneo verso numi e talismani, talora precorrendo le nostre domande e intenzioni. Allegorie materiali del proprio orizzonte emotivo e culturale, i simboli sono ancora molto presenti, insomma, e l’importanza che viene data loro è tutt’altro che marginale23.

23

La mediazione delle forme simboliche e rituali nella società contemporanea è oggetto d’analisi ne I simboli naturali di Mary Douglas, divenuto ormai una modello teorico di riferimento dell’antropologia classica. La polemica

ROSA//A

Età: 48

Località dell’abitazione: centro storico di Lucca

Composizione del nucleo familiare: separata, due figli Attività: insegnante

Data della visita: 05/02/2008

Al momento della separazione dal marito, una decina di anni fa, Rosanna si è trasferita nell’appartamento in città assieme ai figli allora adolescenti. L’attuale abitazione ha richiesto opere di ristrutturazione per meglio rispondere alle esigenze della famiglia, e per contenere la mobilia proveniente dalla precedente casa di campagna. Sono privilegiati arredi in stile classico o antico, eccetto la cucina moderna che è stata scelta per motivi di funzionalità. Determinante è l’impronta dei figli quasi trentenni che ancora vivono con lei, presenti anche nelle numerose foto esposte in ogni stanza. Rosanna dice che le piace trascorrere molto tempo in casa.

Dal diario di campo:

Meo e Mea sono decisamente gli elementi che ci colpiscono di più in questa casa. Si tratta degli orsacchiotti d’infanzia che i figli quasi trentenni di Rosanna tengono sopra i loro letti, con la complicità della mamma che di tanto in tanto li lava e li rimette a nuovo.

... Ecco, questi qui sono tutti oggetti kitschissimi, come ben potete vedere, ma che sono tutte cose che m’hanno portato loro dalle gite scolastiche ... e che quindi io ho conservato perché chiaramente ... mi ... non potevano essere ... non potevano essere buttati via [...] E allora io ho conservato religiosamente ... e stanno lì, sul comodino, ci devono stare, anche se ‘ un sono propriamente belli ...

Sul comodino di Rosanna hanno trovato posto alcuni doni portati dai figli al ritorno dalle gite scolastiche. E’ di sua sponte che l’interlocutrice ci

compiuto in suo nome. Ancora una volta i regali risultano essere tra gli oggetti più costrittivi, richiamando con forza il ricordo se non addirittura l’essenza del donatore; con modalità espressive simili a quelle di Mirella, infatti, anche Rosanna esplicita un rigido criterio di conservazione dei doni, sebbene circoscritto a quelli ricevuti dai figli: “Non potevano essere buttati via [...] Ci devono stare”. Ma quel che più colpisce è forse l’alone di sacralità con cui l’intervistata circonda quei piccoli presenti: sassolini e animaletti languono nell’intimità della sua stanza da tempo, essendo i figli ormai più che ventenni; inoltre è il soggetto stesso a dichiarare di conservarli “religiosamente”, prendendo il termine a prestito da un universo - quello della fede – che viene disconosciuto un attimo dopo:

... Dunque ... 'oi siamo una casa di laici. [...]

La dichiarazione desta immediatamente in noi molta curiosità, poichè in quella camera abbondano gli elementi d’ispirazione religiosa: un ritratto di Santa Cecilia da capo al letto, una effigie del Volto Santo, un quadro e un ricamo raffiguranti scene bibliche. Ma per ognuno di essi esiste un’opportuna giustificazione: il Volto Santo è un simbolo della tradizione lucchese che trascende l’ambito sacro, il ricamo è lì perchè è un eredità delle sapienti mani della nonna, mentre il quadro fu un colpo di fulmine scattato tra i banchetti del mercatino dell’antiquariato. E per Santa Cecilia austeramente collocata in posizione centrale, sopra il letto, Rosanna è pronta a schernirsi così:

... I miei ... loro sono molto religiosi, invece, e dicono che noi siamo ... noi non siamo timorati di Dio ... e ne pagheremo il fìo ...eh eh ... allora mi hanno dato questa cosa che ... [...]

Veniamo poi a sapere che anche il figlio, di chiaro orientamento radicale, tiene in camera “una crocettina” avuta in dono alla nascita, ma come la sorella, ha interrotto il proprio cammino religioso prima del sacramento della cresima. La madre intende fugare ogni nostro eventuale dubbio:

... 'o no, componenti religiose in casa ... ‘un ce ne sono, è più per un fatto d’abitudine, non sicuramente per un fatto ideologico, ecco ... assolutamente ... assolutamente no.

Pur prendendo atto delle affermazioni dell’interlocutrice sulle scarse propensioni fideistiche della famiglia, non possiamo che rilevare la fitta presenza di icone religiose tra cui ella ha scelto di dormire. La domanda che ci siamo posti più volte è: se non sono simboli religiosi, cosa stanno a rappresentare quelli oggetti dall’evidente afflato mistico? 24 Quali valori

24

Un approfondito percorso di interrogazioni sui significati assunti in diverse epoche e diversi luoghi dal simbolo della croce è quello di C. Gallini (2007). In Croce e Delizia. Usi, abusi e disusi di un simbolo l’autrice indaga la dialettica

rivestono tali emblemi, e come viene ricontrattato il loro significato dai proprietari?

... Ecco, questo per me ... fa parte dell’essere tradizionalista e reazionaria...

Per esempio è così che Paola si definisce di fronte ad un quadro raffigurante una madonna. Anche lei sente il bisogno di prendere le distanze dal senso originale di quei ritratti: dice di non essere religiosa, ma ama le immagini delle madonne e dichiara addirittura di nutrire una passione per i santi. Ne ha svariate raffigurazioni lungo la parete di uno dei corridoi, ne ammira le icone, le storie, le leggende. Inoltre nella sua camera da letto c’è un cristo scolpito che ha scelto per le sue linee essenziali e poco elaborate, e di fronte a un’immagine classica della vergine che troneggia sul comodino ci spiega:

... Questa Madonna viene sempre – a me piace molto la cornice – da questa casa dei miei nonni ... e ... io non sono religiosa, al che la mia mamma

si arrabbia sempre, ‘desso ... non è che non sia religiosa, cioè, non ... non voglio aver a che fare nulla con la Chiesa, cioè proprio sono laica totalmente. Però io ho delle tradizioni, ho una religiosità mia [...]

Un atteggiamento dai tratti ambivalenti, insomma, è quello che affiora dalla maggior parte delle interviste: nelle case visitate simboli e icone sono piuttosto presenti, è indubbio, ma i soggetti tendono a sminuirne l’importanza e il potenziale allegorico. Nelle parole delle nostre intervistate si palesa una sorta di scarto, quello di chi da un lato espone un materiale carico di antichi rimandi, e che dall’altro si affanna a privarlo della connotazione comunemente condivisa. Certo, l’infuocato dibattito sui simboli religiosi nei luoghi pubblici, che negli ultimi anni ha tempestato le pagine di tutti i giornali25, può senz’altro aver spinto le proprie ripercussioni sino all’interno delle mura domestiche, insediando una polemica latente nella coscienza delle persone e condizionandone di conseguenza la sensibilità. Ciò spiegherebbe, almeno in parte, quei codici comportamentali che, per dirla con un’espressione odierna e alla moda, ci sono sembrati così politicamente corretti: le interlocutrici appendono effigi cristiane, manifestano la consapevolezza della scelta ma al contempo ne rifiutano la piena adesione. Ma per dirla tutta non si tratta soltanto di simboli religiosi. Angela, di cui abbiamo già commentato l’atteggiamento di riservatezza per le foto e altre cose di carattere personale, ci mostra un orologio appoggiato con cura estrema sul comodino: il cinturino è ben disteso da entrambe le parti, e segna una diagonale armonica con la scultura sistemata all’angolo opposto. Il ripiano di legno è pressoché vuoto, l’orologio spicca quasi come una seconda scultura. Il rilievo dato all’oggetto non è casuale; Angela ci tiene a informarci che

apparteneva a suo padre, e che ogni sera ripete un gesto monotono e puntuale come quelle stesse lancette:

Angela: - Lì ho quest’orologio del mio babbo, che è il ricordo suo ... tutte le

sere me lo carico ... sì.

Ric.: - Ah ... e non si dimentica mai di ...

Angela: - 'o. Ecco, questo è il discorso, no? Cioè non la foto ma una cosa che

mira più ... più cara, no? Il legame ...

Un oggetto che incarna un legame, dunque. Una posizione speciale, quella che si concede alle cose care. E questo per Angela non è un ricordo tra tanti relativo a suo padre; le foto forse lo sono, ma l’orologio è l’accessorio scelto come detentore per eccellenza della sua memoria. E’ un totem26. E come tale gli viene tributato un rito, quello della ricarica serale, che si ripete regolarmente e senza omissioni; è quasi un atto di devozione, come le

26

Mi concedo l’uso di questo termine per la singolarità del caso dell’orologio del padre di Angela, che assume quasi i tratti di un’entità metafisica, dall’alto valore simbolico e al quale il soggetto si sente intimamente e profondamente legato. Si tratta di un rapporto estremamente personale, le cui attribuzioni semantiche dipendono dall’interlocutrice. Poche righe avanti formulo la supposizione di un’essenza – e anche di un’anima – trattenute nell’orologio: poichè quest’interpretazione non mi è sembrata forzata alla luce delle parole e delle azioni rituali di Angela, ho ritenuto plausibile anche la licenza lessicale di “totem”. Un’analisi storica del concetto di totem, della costruzione antropologica

preghiere che si dicono prima di coricarsi. Colei che sembrava eludere ogni forma di affezione alle rappresentazioni simboliche, affida ad un orologio l’essenza – o potremmo dire l’anima? – di una persona estremamente cara.

Figure di Madonne, di Cristi e di santi, dunque. Ma anche totem in cui trasferiamo relazioni e sentimenti di legami perenni, oggetti a cui dedichiamo culti sospesi tra sacro e profano. Per descriverne la carriera realizzata sin’ora, seguendo le indicazioni forniteci da Kopytoff, potremmo dire che essi hanno di certo subito un processo di desacralizzazione culturale, ma parallelamente uno individuale di forte singolarizzazione, laddove il valore merceologico è praticamente annullato, e la speciale considerazione ne personalizza l’uso e il significato: “I beni vengono singolarizzati attraverso l’eslusione dalla loro abituale sfera d’utilizzo”27. Considerando la funzione simbolica un elemento imprescindibile della società, René Alleau (1983) non avrebbe visto niente di strano in tutto questo, eppure la nostra cultura sembra negare tale propensione: non di rado le persone preferiscono fingere un controllato distacco piuttosto che mostrare una affezione spiccata per i propri feticci. Come abbiamo visto, poi, le intervistate ricontrattano il significato di questi ultimi in modo che nè gli amuleti nè le stesse immagini liturgiche risultino canonici simboli religiosi: è ipotizzabile, forse, che proprio dal timore reverenziale per una cultura tradizionale della fede nasca un atteggiamento che inflaziona ciò che non ne possiede il pieno statuto, come i santi di Rosanna, le madonne di Paola o l’orologio di Angela. Quando non si tratta di numi religiosi veri e propri, insomma, la tendenza è quella di sminuire la loro importanza, come se nella mentalità delle nostre interlocutrici si fosse fatta largo una distinzione dicotomica tra cultura della fede e cultura della superstizione, che ben renderebbe ragione della mortificazione perpetuata a scapito delle loro rappresentazioni simboliche: come dar credito, e per di più

pubblicamente, a delle superstizioni? Resta però da indagare, allora, il senso delle parole di Paola riguardo le immagini di cui ama circondarsi per dormire:

[...] 'on potrei mai vivere in una camera, come quando in un albergo, dove sto male perchè c’è magari la palma sopra il letto o ... un vaso coi cocomeri ... no. [...] Però comunque un’immagine religiosa, e possibilmente di Madonna ... per me è fondamentale, sì sì, no, non esiste una camera ...

Dormire tra volti religiosi, e tra volti di madonne in particolare, è un’abitudine che viene da lontano nella cultura occidentale, ed è da sempre associata a sentimenti di protezione, tutela e benedizione. Le effigi collocate da capo al letto vegliavano sul sonno delle persone come spiriti buoni in difesa degli azzardi delle forze del male. E’ per l’appunto a questa remota consuetudine28 che si riferisce Paola quando descrive le camere degli alberghi come luoghi fuori dalla grazia di Dio, senza custodia né storia alle spalle. Non vi è contraddizione con quanto dichiarato prima a proposito del suo rapporto con la religione, perché qui è di un rassicurante senso di familiarità e di riconoscimento che sta parlando, sentimenti interiorizzati lungo il corso di una vita e riproiettati in queste immagini celesti. Le madonne di Paola somigliano parecchio a dei lari29, spiriti protettori della casa e della famiglia che incarnano l’essenza del focolare domestico, ciò che la nostra intervistata non trova negli alberghi disadorni o laicamente decorati30. E anche lari come spiriti degli antenati, divinità tutelari dei propri discendenti, raffigurate in

28

Decrivendo gli interni domestici delle case di mezzo secolo fa, e soprattutto le camere da letto, Gallini (2007) parla dell’esuberanza di immagini sacre appese ai muri e della consuetudine di trovare Vergini e crocifissi a capo del letto, secondo un implicito insieme di valori che vedeva il letto come protagonista delle fasi più importanti della vita: parto, nascita, riproduzione, malattia, morte.

29

L’idea di cercare i lari nella vita quotidiana contemporanea è alla base dei 17 saggi contenuti nella raccolta A veglia, nel contesto della rivista diretta da Pietro Clemente Lares ( 2007, n.3).

30

La scelta di Paola potrebbe avere anche delle motivazioni estetiche: l’intervistata potrebbe considerare palme e cocomeri come paesaggi omologati, dipinti realizzati in serie; del resto, i quadri della sua abitazione sono tutte opere d’arte dal valore socialmente riconosciuto. Tuttavia bisogna pur tener conto delle sue parole: a differenza dei quadri del salotto, le figure religiose della sua camera non sono annoverate tra i manufatti d’arte, piuttosto sono oggetti che

oggetti rappresentativi come l’orologio del padre di Angela. Si tratti di totem oppure di santi, dunque, simboli ed emblemi sembrano essere indispensabili per le persone, e l’impressione è che senza “lares” all’interno della propria dimora venga come a mancare un fulcro: il “lar”, appunto, ossia il focolare, ma anche il padre, in un’accezione più antica31. Del resto, angeli custodi e santi patroni non sono forse i lares della tradizione cristiana?