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E’ di pochi giorni fa13 la notizia dell’addio alla Kodachrome da parte dell’azienda produttrice americana di Rochester: l’esclusione dal mercato della mitica pellicola a colori, protagonista anche di una celebre canzone degli anni Settanta14, sarà effettiva a partire da questo autunno, e la Kodak si appresta così ad archiviare il simbolo di un’era giunta ormai al tramonto. L’ultima rivoluzione nel campo dell’immagine fotografica si è consumata a cavallo degli anni Novanta, con l’ingresso della tecnologia digitale nel mondo delle fotocamere. Ecosistema complesso e in costante definizione, per ottenere questo nuovo modo di produrre immagini è bastato il passaggio dalla luce ai bit, dalla pellicola a un chip di minuscole dimensioni, con una rapidità che ha permesso di saltare dal prototipo al prodotto di qualità nell’arco di pochi anni. Dunque è a colpi di megapixel che si è disputata la battaglia per l’affermazione della rappresentazione sintetica. Le fotografie, adesso composte di particelle discrete e computabili, sono immediatamente fruibili, pronte per essere manipolate, trasformate, condivise o pubblicate in rete. Il processo di digitalizzazione delle immagini, infatti, è un caso emblematico di come un nuovo sistema di rappresentazione visiva possa modificare abitudini consolidate nel tempo, fino anche a stimolare nuove forme di interazione tra le persone. Grazie a scatti rivedibili quasi in tempo reale, i più recenti archivi di fotografia domestica offrono la possibilità di confinare in un passato

quotidiano, velocizzandone lo scorrere impietoso e cristallizzandone i frammenti in una storia fatta di istantanee e fotoritocchi. Ed è per l’appunto una tecnologia recente, quella che risale più o meno all’ultimo paio di decenni, a convogliare queste immagini della modernità in nuovi dispositivi di memoria: i computer e gli hard disk di varia natura costituiscono le grandi dighe su cui oggi si deposita la nostra produzione di ricordi.

[…] Come per esempio, io odio le fotografie che fate oggi su digitale … io voglio le fotografie. Io le devo vedere, guardare, sfogliare un album, eccetera eccetera, è un’altra cosa ...

Marchingegno infernale per chi intende restare fedele al fascino della carta stampata, l’archivio digitale è ormai un media frequentemente presente nelle case del ventunesimo secolo. Vera esprime in effetti un’opinione molto diffusa: quella di chi preferisce toccare con mano le fotografie, sapere che in qualche anfratto della casa esiste un corpo materiale che le racchiude e le rende fruibili “alla vecchia maniera”, per così dire. Eppure, questi nuovi album della contemporaneità imperversano un po’ ovunque, ormai, tanto che si trovano anche esplorando le risorse del web. Il Blog, per esempio: non è un’onomatopeica, è la contrazione di “web log”, plausibilmente traducibile in “diario in rete”15. Il termine è nato sul finire degli anni Novanta negli Stati Uniti, e indicava originariamente l’insieme dei software utili per tenere traccia degli accessi ad un sito; pochi anni dopo16 è divenuto noto anche nel nostro paese, con l’introduzione dei primi servizi gratuiti dedicati alla gestione di questi innovativi siti telematici. In realtà, il blog ha rappresentato un passo importante nel percorso di democratizzazione dell’utilizzo di Internet: la possibilità di pubblicare documenti in rete si è estesa fino a diventare un

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diritto comune, grazie ad uno strumento che non richiede competenze tecniche particolari e che non ha costi economici. La vera novità sta però nel fatto che questi siti offrono l’opportunità di condividere il materiale e interagire direttamente con altre persone, per lo meno quelle che conoscono le vie d’accesso al blog. La questione non è secondaria, poiché implica la presenza di una doppia veste nella sua conformazione: il blog è personale, in quanto diario di vita costruito in modo autonomo e in cui si tiene “traccia” dei propri pensieri; ma è anche pubblico, poiché i documenti possono essere letti da tutti, e persino recuperati indietro nel tempo, visto che un archivio storico del materiale pubblicato viene automaticamente mantenuto attivo. Famiglie che vivono in paesi e continenti diversi si incontrano su questi bizzarri confini, e condividono memorie altrimenti sgretolate, magari sepolte. Le generazioni più giovani sono detentrici di una maggiore dimestichezza con questo particolare sito web, la cui struttura lascia tra l’altro notevoli margini di intervento e personalizzazione. Luogo di memoria e di registrazione quotidiana, dunque, ma anche di relazione e socializzazione. Un luogo virtuale, soprattutto, in cui è lo scambio di opinioni e commenti a collocarlo in un limbo sospeso tra spazio pubblico e spazio privato. E una comunità virtuale, infine, sono i blogger stessi, avventori il più delle volte difficilmente quantificabili.

“Uno dei nuovi aspetti della modernità è la possibilità di combinare la presenza con l’assenza, avvicinando ciò che è lontano e immettendo il passato e il futuro nel presente” (Gillis 1997, p. 229).

Lo stravolgimento dei confini spaziali e temporali della memoria che caratterizza l’era contemporanea è ben descritto da John Gillis, che si riferisce a luoghi virtuali e famiglie immaginate come escamotage compensatori di reti

comunità di riferimento assai lontane tra loro, ha dato vita alla costruzione mentale di una nuova fisionomia familiare, dalle frontiere notevolmente ampliate: “ Le nostre famiglie non sono più circoscritte alle persone con le quali viviamo […] In realtà, la cerchia di coloro con i quali siamo in rapporti di familiarità è molto più ristretta, ma i confini della famiglia non sono più limitati dallo spazio fisico” (Ibid., p. 230). La popolazione europea, e in maggior misura quella statunitense, reagirebbe alla frammentazione domestica con forme creative di costruzione della memoria, attraverso l’individuazione di nuovi spazi, tempi e circostanze di ritrovo. In un’esistenza dalla natura meno comunitaria, dove l’assenza delle persone fisiche è un tratto ricorrente, sono proprio le comunità immaginate dunque a ricucire lo strappo della modernità: “La nostra potenziale cerchia parentale si è straordinariamente allargata, fino al punto che possiamo cominciare a immaginarci come parte di una grande famiglia umana” (Shoumatoff 1985, cit. in ibid. p. 230). E proprio questo è ciò che consentono di fare anche i social network, ad esempio, tra cui il recentissimo “Facebook” : reti sociali che estendono potenzialmente al mondo intero la possibilità di connessione tra gruppi di persone, dando spesso la paradossale illusione di un’intimità familiare universale. In tutti questi sistemi d’interazione sociale, e negli archivi dalle varie sembianze legati alla rete telematica, la digitalizzazione delle immagini svolge senza dubbio un ruolo chiave per la rappresentazione di persone, memorie, legami: la funzione iconografica è significativamente cresciuta con l’arrivo degli album digitali, e l’esposizione di questi ultimi su canali che connettono le persone da un polo all’altro della terra ha mutato in profondità anche il regime percettivo dell’autorappresentazione. Le foto sono ormai un tratto così distintivo della nostra cultura materiale che davvero rare sono le case che non ne fanno un uso ostensivo massiccio, segno di una modalità espressiva che oggi è parte integrante del nostro costume.

[...] Cioè proprio c’ho … le le … le persone care per me devono essere per forza rappresentate …

Rosanna si sente di commentare il tavolino pieno di foto dei suoi familiari, quasi tutti ritratti in momenti che segnano passaggi importanti della vita.

Tiziana: - Le foto del mio matrimonio, ecco […] qui la mia famiglia

[…], ecco e questi sono i miei suoceri, due persone adorabili, anche loro, purtroppo scomparsi, e sono i genitori di mio marito.

Ric.: - Ecco … qui la foto è ricostruita, tra l’altro …

Tiziana: - Eh, esatto! Mio marito al computer è … è un mago, e è

riuscito dalle fotografie a ritagliare e ricostruire un … una specie di puzzle … ecco l’insieme … qui è quando fecero i quarant’anni di matrimonio, qui non so se è al mio matrimonio o di qualche altro fratello di mio marito, e qui invece è la mia suocera nella nostra casa al mare …

TIZIA/A

Età: circa 60

Località dell’abitazione: S. Anna, prima periferia di Lucca Composizione del nucleo familiare: sposata, due figli Attività: insegnante

Data della visita: 14/02/2008

Tiziana ci riceve in soggiorno, offrendoci un caffè e mostrandosi desiderosa di parlare di sè e della sua casa. Dal 1975 abita con il marito in un palazzo degli anni Cinquanta. Due figli maschi di circa trent’anni vivono con loro. Dalla grande terrazza si scorgono i campanili del centro storico, dove ha sede la scuola in cui insegna e che ogni mattina raggiunge a piedi con facilità. L’appartamento è ammobiliato con pezzi antichi che ha scelto personalmente assecondando la propria propensione per l’antiquariato. Ribadisce più volte il valore economico e affettivo di alcuni oggetti d’epoca appartenuti alla mamma e alla nonna; le fotografie poggiate sui mobili ritraggono momenti di riunione familiare che lei ama ricordare con affetto e nostalgia. Nelle sue

parole ricorre il tema della coesione e della continuità familiare, esplicitato attraverso descrizioni accurate degli oggetti avuti in eredità.

Dal diario di campo:

'ell’appartamento di Tiziana ci sono due stanze “tabù”: il bagno, forse vano imbarazzante o poco interessante per la padrona di casa, e lo studio, in cui il marito è rimasto rinchiuso per tutto il tempo dell’intervista, impedendoci la visita di quella stanza. Una sorta di atteggiamento ossequioso ci è sembrato quello di Tiziana verso gli uomini della famiglia: all’arrivo del figlio si precipita in cucina per servirgli il pranzo, lasciandoci in sospeso nel soggiorno. 'ell’arco di un paio d’ore non abbiamo intravisto nè il marito nè il figlio, come se volesse preservarli dal disturbo della nostra presenza. E’ stato l’unico momento di imbarazzo a fronte della sua squisita ospilità. 'on abbiamo potuto astenerci dal commentare una tazza di Forza Italia sul comodino di uno dei due figli.

Tiziana ci ha appena offerto un caffè in salotto; qui riceve le persone, conserva gli oggetti di valore, ed espone le foto di famiglia. E’ orgogliosa del fotoritocco digitale operato da suo marito sulle immagini dei suoceri; i loro ritratti più significativi sono riassunti in un’unica cornice che li mostra a potenziali ospiti e visitatori, coloro per cui quel tipo di soggiorno è stato pensato.

... Poi noi abbiamo la mania delle fotografie, l’abbiamo sempre … quelle … per piacere, quelle buste le tolga di lì perché sono … non mi riguardano, non sono io e … Claudette!

La signorina Lisa dichiara apertamente la propria adesione alla rappresentazione fotografica, ammettendo una vera e propria mania. Le foto che sta indicando sono inserite, assieme ad altri fogli, nella fessura millimetrica che c’è tra la cornice di un quadro e il vetro che protegge la tavola. Nessun portaritratti, il quadro stesso è diventato una bacheca, o quasi. Malgrado quest’affissione precaria, l’importanza che viene data alle foto e alla loro esposizione è rivelata dal modo affettato con cui Lisa ci chiede di togliere il resto del materiale, oggetti che inquinano la nostra visione e in cui ella non si identifica affatto. La nostra esitazione la induce a invocare un tempestivo intervento della nipote Claudette, impegnata in altre stanze.

[…] 'essuno le vede perché qui stiamo per andare in camera da letto mia […] cioè, le foto son per me …

Così argomenta Paola di fronte a un angolo dove le foto sono le protagoniste indiscusse dello spazio. E’ plausibile che tale disposizione sia nata per soddisfare esclusivamente i desideri della padrona stessa, ma l’alto numero delle immagini presenti, nonché la cura con cui si è provveduto a incorniciarle suggerisce piuttosto un’esigenza di rappresentazione esplicita, pensata cioè in funzione degli altri. Del resto, nella casa di questa interlocutrice, le foto si trovano davvero in ogni dove.

In queste abitazioni le fotografie parlano alle persone che vi s’imbattono; chi percorre quei corridoi, chi perlustra quelle stanze, insomma, difficilmente può restare indifferente all’ipertrofia iconografica che caratterizza il rapporto con le memorie familiari di queste dimore. Sia fatta per sé o per gli altri, la pratica della memoria esposta è una necessità fondamentale per questo gruppo di soggetti, i quali trovano nella fotografia un media elettivo per rappresentare le proprie famiglie immaginate17, accuratamente ricostruite in questi altari figurativi.

... 'o, gli altarini guai! 'oi non facciamo gli altarini. Abbiamo delle cornici, sì, ma il più delle volte sono vuote … Giù ci sono gli scatoloni pieni, tutte mescolate, assieme ai libri dismessi in garage … ogni tanto ce li andiamo a guardare ... Ma non ci interessano gli album ...

per gli album di foto. Anzi, le foto ci sono, e di tanto in tanto vengono pure guardate, ma non vengono esibite nei tradizionali dispositivi a esse dedicati. Addirittura non trovano collocazione neppure all’interno della casa: stanno giù, nel garage, riposte senza troppa cura assieme agli oggetti caduti in disuso.

La coppia rifiuta in particolare quella modalità di mostrare le foto - così tipica e frequente nelle case visitate – che consiste in una disposizione ordinata e ragionata di un gruppo di ritratti, tutti rigorosamente incorniciati, poggiati sopra un mobile abilmente posizionato in bella vista, quasi a richiamare l’attenzione di chi si trova a passare di lì. Ecco gli altarini di cui parlano. La situazione è alquanto bizzarra, però, perché il loro appartamento straripa di oggetti in mostra. Vetrine, scaffali, mensole, cornici, quadri, teche e credenze: a noi sembra che tutto venga conservato, e che tutto sia esposto e ben collocato. Che senso dare a questa contraddizione?

A una più attenta revisione dell’intero corpo di interviste, ci siamo resi conto di poter individuare due categorie prevalenti secondo la modalità di conservazione del materiale fotografico: c’è chi espone le foto e c’è chi invece le occulta. A quest’ultima tipologia appartiene anche Angela, che davanti alle tre o quattro cornici in miniatura sul comò della sua camera - le uniche foto presenti e visibili in tutta la casa – ci spiega il suo rapporto con questa forma d’espressione di memoria:

… Cioè io … come vi posso dire … ho un ricordo di come sono io, di come eran … di come sono le persone, che è un ricordo mio, molto intimo, ecco. Ehm … vederlo riprodotto nella fotografia non mi piace, perché è un momento magari passato, non è il momento in cui lo vivi ora … per esempio io ho perso il mio babbo due anni fa, io non posso vedere una fotografia, cioè, è un ric… è una cosa che ho io, dentro, una fotografia non la voglio vedere …

A/GELA

Età: circa 55

Località dell’abitazione: quartiere periferico di Carrara Composizione del nucleo familiare: sposata

Attività: insegnante, scultrice Data della visita: 09/05/2008

Angela vive col marito in un elegante appartamento di cui ha curato la ristrutturazione, le decorazioni e l’arredamento. Ricercatezza ed essenzialità sono i criteri estetici che hanno guidato le scelte stilistiche della casa. Sopra i mobili si vedono quasi esclusivamente le sue sculture, realizzate all’interno del laboratorio situato in un fondo al piano terra. Per quanto distribuiti con parsimonia, vi sono tuttavia alcuni oggetti che rimandano con forza al ricordo di persone care e di momenti di vita familiare. L’assenza di fotografie esposte viene

lato estetico delle cose la induce a considerare gli apparecchi tecnologici ingombranti e inappropriati all’ambiente.

Dal diario di campo:

“Io, fissata con l’estetica, oddio che schifo la televisione!” – Per Angela tutto è da ricondurre a criteri minimalisti, ritenuti in sintonia col suo gusto e il suo bisogno di sgomberare sguardo e mente. Ci muoviamo con un lieve disagio tra tanta perfezione, timorose di guastare l’equilibrio che la padrona di casa ha ricercato così ossessivamente.

Nella casa di quest’interlocutrice siamo rimasti tutti molto colpiti dalla priorità che è stata data all’aspetto estetico, predominante rispetto a qualsiasi altro criterio di scelte architettoniche e di arredo. Insegnante di arte e artista lei stessa, Angela ha curato personalmente ogni rifinitura dell’appartamento, dotandolo di un’impronta molto personale e riconoscibile, all’insegna dell’essenzialità, dell’ordine e del sapiente recupero di pezzi antichi. L’esibizione di fotografie non fa parte di questo criterio estetico: oltre a non rappresentare adeguatamente i suoi ricordi, come ci dice prodigandosi in esempi e spiegazioni, l’affissione di foto non sembrerebbe ben conciliarsi con quelle pareti spoglie e quel sofisticato gusto della rarefazione di oggetti.

… Le uniche fotografie che ho sono queste perché, sono cominciate quando una mia amica mi ha regalato questa cornicetta, che mi era piaciuta tanto, sicché cosa faccio? Cosa non faccio? La fotografia non la voglio … e allora ho messo queste […] Più che la foto mi piacciono queste cornicette piccoline …

Ecco il motivo della presenza di quelle poche cornici, accomunate dalle piccole dimensioni e dallo stile analogo. Di fronte a esigenze di tipo estetico Angela infrange anche il tabù delle fotografie, altrimenti affidate alla discrezione di armadi e cassetti:

[…] Anch’io ho di là delle fotografie chiuse […] Mi piace l’idea di conservare delle fotografie, tenerle magari in un cassetto, in un album, il momento in cui io ho voglia … di rivedere quel momento, quel luogo, mi metto a sedere tranquilla, me lo sfoglio … e magari mi faccio anche il piantino, se mi commuove o ché … mi disturba averle appese … perché … mmh … come si trova magari in tante case, entrare e non so, in sala, la cornicetta con il bimbo e la mamma, cioè … […] come se ostentasse un qualcosa […] Credo che ogni ambiente, ecco, sia adatto a determinate funzioni, no? Ecco, e quindi la fotografia, siccome io la vivo come … mmh … sì, qualcosa di intimo forse, non so se … mi spiego … un ricordo, sì …

soggetti, seppur in modo molto diverso, intervengono pesantemente sulle modalità di autorappresentazione. Un’altra casa ricca di oggetti - la maggior parte cercati, trasformati, recuperati, in cui è forte quindi l’impronta di chi la vive – è quella di Flavia; alla nostra domanda sul motivo dell’assenza di fotografie ci risponde così:

... Il fatto è questo … la mia mamma aveva la casa piena di foto, allora io le tengo tutte chiuse in un cassetto, invece!

Prosegue poi menzionando la sorella, che al contrario di lei ha una casa piena di ritratti di quando era giovane:

... Siccome critico sempre lei, allora sto attenta a non farlo io!

Che si tratti di una reazione alle abitudini della madre, o di una presa di distanza verso il modo di fare della sorella, è un dato di fatto che le fotografie non decorano neppure queste stanze. Infine vi sono ulteriori analogie con l’atteggiamento di Chiara, che esibisce giusto pochi scatti realizzati durante delle gite fatte con la figlia:

… 'o, non ci sono molte foto … le foto … le tengo nascoste. Siccome, quattordici anni fa, c’è stata una separazione, una separazione … molto dolorosa … e quindi non le rivedo tanto volentieri, sono legate … le tengo nascoste, via ...

Qui si tratta della memoria di un evento doloroso e traumatico, e per Chiara è preferibile non ravvivarne il ricordo attraverso le foto. Questo è anche il segnale, suo malgrado, di un sentimento di sofferenza non ancora sopito, e che riaffiora con facilità; la scelta quindi è quella dell’antro nascosto, ricettacolo di ferite che si tenta di tenere lontane.

CHIARA

Età: circa 55

Località dell’abitazione: S. Anna, prima periferia di Lucca. Composizione del nucleo familiare: separata, una figlia. Attività: insegnante

Data della visita: 27/02/2008

Dopo la separazione coniugale Chiara e la figlia sono andate ad abitare in un appartamento di recente costruzione a pochi chilometri dalle mura della città. Con l’aiuto di un’amica ha provveduto ad arredare la casa con mobili nuovi, semplici, funzionali, dalle linee

motiva l’assenza di ricordi provenienti della vecchia abitazione. Le stanze appaiono molto luminose, e sono decorate con oggetti colorati che lei e la figlia hanno scelto per rallegrare il tono degli ambienti. Elementi spiritosi come pupazzi e animaletti sono regali che si concedono spesso l’una all’altra e che fanno mostra di sè nelle camere e in cucina. Ordine e pulizia rivelano la sintonia di madre e figlia nella cura della casa.

Dal diario di campo: