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Un perro, una mucca, un caballito.

Capitolo Quarto

3. Un perro, una mucca, un caballito.

Recentemente, in un programma radiofonico su frequenze nazionali48, Emanuela Renzetti sosteneva che il chiodo è uno degli oggetti indispensabili per la biografia collettiva dell’umanità: pressoché inalterato nel corso dei secoli, sin dall’era della sua invenzione ha accompagnato la vita dell’uomo senza che nuovi colpi di genio lo sostituissero tanto nella forma che nella funzione.

L’obsolescenza – prerogativa da cui il chiodo è stato immune, almeno fino a oggi – sembra essere il passaporto per abbandonare la quotidianità e farsi succedere da eredi più al passo con i tempi. Anche tra le righe delle nostre biografie domestiche è possibile individuare beni materiali con la valenza dell’indispensabilità, ma le caratteristiche grazie a cui essi diventano insostituibili, il più delle volte, non hanno niente a che vedere con il loro grado di aggiornamento.

Vera: - Eh, c’è una cosa che bisogna che vediate ... è di là, da mio nipote ...

Ric.: - Ma se svegliamo suo nipote ... cioè, si può anche lasciar stare se ...

Vera: - 'o no ... è una chicca ... di sicuro non l’avete mai vista ...

Vera cerca impazientemente le chiavi dell’appartamento dove vive suo nipote, l’ingresso è proprio sullo stesso pianerottolo, di fronte alla sua porta di casa. Rientrato a tarda ora la sera precedente, il giovane si trova ancora a riposare nella sua stanza, e sebbene sia quasi ora di pranzo, noi siamo un po’ imbarazzate a fare irruzione da lui senza preavviso. Ci rimettiamo alla volontà di Vera che, nostro malgrado, sembra proprio determinata; più volte ha fatto

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cenno a questo misterioso oggetto durante la visita del suo appartamento, e adesso sentiamo di non poterci tirare indietro. Superati dunque i convenevoli con l’assonnato padrone di casa, ci dirigiamo in una camera matrimoniale dalla mobilia antica sotto la guida della signora, le cui premesse erano effettivamente esatte: nessuna di noi aveva mai visto una cosa del genere, tanto meno in un’abitazione privata.

L’avevate mai vista? ... E’ una comoda dell’ Ottocento ...

Sbigottite, esprimiamo sinceri apprezzamenti per un oggetto tanto raro. Per condurci fino qui, la nostra interlocutrice ha ritardato la preparazione del pranzo, ha rovistato in cestini e posaceneri in cerca delle chiavi, ha disturbato il sonno del nipote e ha prolungato di un’ulteriore mezz’ora una visita durata già quasi due ore. Era importante mostrare le foto di famiglia49, così come il tavolo con il carnet di ballo. Ma qui siamo di fronte a un vero e proprio cimelio, un oggetto fuori dall’ordinario che viene ripetutamente annunciato senza svelarne la natura fino all’ultimo istante. Vera costruisce appositamente un’atmosfera di suspense per creare nel suo pubblico incalzanti aspettative, affinché al momento opportuno esso sia in grado di comprendere l’essenza straordinaria della sua custodia. Per questa fiera collezionista la comoda è un possesso la cui unicità è data dalla rarità del bene materiale e dalla sua antichità. “Gli oggetti antichi sono dotati di un senso di profondità dai loro collezionisti innamorati della storia. La temporalità viene reificata e salvata come origine, bellezza e sapere” (Clifford 2000, p. 256). E Vera, in effetti, adempie alla sua missione didattica insegnandoci ad apprezzare ciò che è tanto intriso di storia: i collarini delle dame, gli orologi da taschino, i carnet di ballo, le foto della vecchia Carrara e, soprattutto, la pregevole comoda ottocentesca, unica e insostituibile come la porzione di storia che racchiude in sé.

ROSSELLA

Età: 70

Località dell’abitazione: zona collinare di Carrara Composizione del nucleo familiare: sposata, due figlie Attività: insegnante in pensione

Data della visita: 15/05/2008

La villa di Rossella è situata su una collina di Carrara da cui si intravede un lembo di mare. E’ circondata da giardino e vigneto, e per accedervi si deve percorrere un lungo viottolo che sale ripido tra le vigne. Veniamo accolte nella zona giorno che è invasa dal sole grazie alle grandi pareti di vetro, appositamente volute per avere sempre la vista sull’esterno. Assieme al marito ha curato l’arredamento di ogni stanza, compiendo varie visite tra gli antiquari di Sarzana e Camaiore in cerca di pezzi unici e di pregio. Numerose foto scandiscono i momenti significativi della vita della famiglia: matrimoni, nascite,

casa, Rossella conserva soltanto quelli che incontrano il suo gusto.

Dal diario di campo:

'on abbiamo potuto fare a meno di commentare il lusso ostentato di questa villa. Traspare un livello molto elevato di ricchezza economica, che assieme all’atteggiamento educato ma un pò formale di Rossella ci ha trasmesso una certa distanza. La sua casa assomiglia a quelle fotografate su AD, la rivista che non a caso vediamo poggiata su uno dei tavoli da fumo del soggiorno.

... Quello è un vaso, eh ... [...] lì ci sono anche delle cose, delle ragnatele perché la donna non ci va lassù, le dico: lo lasci anzi stare perché, eh eh ... sono affezionatissima!

Nell’austero salone di Rossella c’è un angoliera con sopra un vaso, riposto bene in alto e decorato con disegni che a noi risultano abbastanza desueti. Come abbiamo già visto fare da altri soggetti, il soprammobile viene tutelato dagli urti impedendone la pulizia. Chiedendo informazioni, ci accorgiamo che l’intervistata si anima molto nella descrizione della sua provenienza:

Eh ... è un vaso francese e ... sì, della mia mamma, e ... mi ricordo, quando lei lo teneva in camera, in un mobile che aveva con una nicchia, e quando ero molto piccola la mia mamma ehm ... per farmi dormire [...] mi diceva: “ Attenzione al re Farouk!” - lì c’è un sultano mi pare di vedere con un’odalisca – “Attenzione perché re Farouk scende dal vaso!”

E io ero terrorizzata da questo re Farouk eh eh eh ... che però ora mi sono messa in casa ah ah ... e tengo volentieri.

Il vaso in questione incarna un ricordo di infanzia che Rossella rievoca con piacere. Curiosamente, osserviamo che aneddoti legati a vicende intime e personali non emergono presso alcun altro angolo o vano della casa, neppure nelle camere delle figlie, la cui composizione è rimasta tale e quale a quella che le ha viste crescere e diventare adulte. E nemmeno le foto, diffuse a gruppi in ogni ambiente della villa, smuovono quel lato espansivo e accogliente che abbiamo visto affiorare nella padrona di fronte al vaso di famiglia. Se la preziosità del soprammobile era stata già riconosciuta dalla madre, che secondo i ricordi di Rossella teneva il vaso in una nicchia, per la biografia di questa interlocutrice esso è passato a essere qualcosa di più: a dispetto dei commenti rarefatti che la contraddistinguono nel resto dell’intervista, dinanzi alla vecchia anfora si dilunga in un racconto che richiama alla mente le sue serate da piccola, le strategie della mamma per farla addormentare, e la misteriosa figura di un sultano che adesso, archiviate

memoria di Rossella è ciò che rende il vaso “una cosa nuova50 che non può essere sostituita da nessun’altra”(Bazin 1996, in Bonnot 2009, p. 110).

... La prima cosa son le travi, che io ... per me andare in una casa ecco, senza le travi ... non lo so, mi risulta proprio strano! Eh!

I soffitti senza travi o cassettoni non incontrano il gusto di Graziella. Non soltanto non rispondono al suo stile e alle sue esigenze, ma addirittura le sono poco familiari, dal momento che ha sempre vissuto in ambienti dalle strutture rustiche o antiche. Scevra da tendenze conservatrici, ci confessa di non provare affezione che per travi, vecchie finestre e focolari:

... Per me, quando sto in casa, ecco mi garba perché ... ci son le travi in legno, non lo so ... il camino ... sarebbe impensabile senza le travi!

Questi elementi architettonici fanno sentire la giovane intervistata “a casa”. Malgrado le decine di potenziali alternative a quelle strutture, travi in legno e camini diventano indispensabili per la quotidianità di Graziella,

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poiché attraverso tali strumenti avviene il suo processo di appropriazione del luogo, grazie al quale la casa non le sembra più “strana” e assume un aspetto assai più familiare. L’antica comoda di Vera, il vaso di famiglia di Rossella, e le travi di legno sul soffitto di Graziella: nessuna delle proprietarie di questi beni sembra poter fare a meno della loro presenza nella propria biografia domestica. Ma quale sarebbe il valore di questi oggetti una volta estrapolati dal contesto in cui noi li abbiamo trovati? Se esposti in un museo, ad esempio, potrebbero essere considerati alla stregua di materiale decorativo o illustrativo; in una diversa collocazione, lontana dalle implicazioni importate dalle interlocutrici, la loro funzione e il loro significato risulterebbero radicalmente stravolti, e di pari passo si diluirebbe anche il loro grado di indispensabilità. Il processo di singolarizzazione (Kopytoff 1986) e forse ancor più di appropriazione (Carrier 1995) che investe i possessi delle nostre intervistate è responsabile delle caratteristiche di unicità e di imprescindibilità da essi incorporate e assorbite:

Questa era di Giulia, questa seggiolina ... che è venuta giù dalla soffitta [...] questa invece è nuova, perché ... secondo me era fondamentale che la bambina51 avesse una seggiolina, cioè, proprio la segg ... ci son delle cose ... imprescindibili! [...]

Una piccola sedia di paglia e un’altra di legno, entrambe a misura di bambino, si trovano nel soggiorno di Paola accanto all’ampio divano nel centro della stanza. Quei sediolini non servono soltanto per giocare: fare l’esperienza della seggiolina, a quanto pare, è così importante che a ciascuna bambina ne viene regalata una personale, affinché ognuna costruisca il proprio legame esclusivo con quest’indeclinabile imperativo della crescita.

... [...] Quella è la mia nipotina che deve avere sempre ... un perro, una mucca e un caballito [...]

Alludendo ai pupazzi appoggiati ai cuscini del suo letto, Paola ci parla ancora della nipote e degli oggetti fondamentali per le sue pratiche infantili. Fedelmente al fianco della piccola, il cane, la mucca e il cavallino giacciono sul letto della nonna, dove la bambina non potrebbe prender sonno senza trovare i suoi inseparabili compagni quotidiani. Al di fuori delle rispettive appartenenze domestiche, questi oggetti diventerebbero estranei e passibili di permutabilità, scambio, sostituzione; l’indispensabilità di tali beni è pertanto legata alla biografia personale dei legittimi proprietari, che ne garantiscono l’inalienabilità fin tanto che ne mantengono intatto il significato culturale e sociale, secondo quella “propensione a restringere la giurisdizione delle merci comune a tutte le culture” (Aria 2007, p. 205). Se l’inalienabilità incontrata in casa di Mirella52 focalizzava la nostra attenzione sui ristretti destinatari o usufruttuari della merce, qui siamo obbligati a guardare piuttosto alla polisemia degli oggetti (Bonnot 2006), e alla loro irriducibilità a una semplice funzione o a un gruppo di funzioni universali. Quella condizione labile e dinamica della carriera dei beni materiali, ampliamente discussa da Appadurai e Kopytoff 53, è appunto ciò che consente di definire inalienabili anche i possessi appena descritti, forme stabilizzate e precostituite di identità in continuo divenire (Thomas 1991) le cui funzioni sono da intendersi come fasi della propria biografia piuttosto che come espressioni del loro destino54.

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4. Un paradigma indiziario

Disfare scatoloni pieni di libri a seguito di un trasloco è l’attimo descritto con solenni parole da Walter Benjamin55, che trasforma il riassetto della propria collezione in un momento prezioso dagli effetti quasi catartici, un’occasione per ripassare il contenuto dei volumi che compongono la sua biblioteca, e un pretesto per lasciarsi andare ai ricordi ispirati dal contatto con i libri: persone, luoghi, avvenimenti e aneddoti tornano lentamente alla luce e impongono al collezionista l’esigenza di essere condivisi, fornendogli altresì l’opportunità di parlare di sé. Se cambiar casa è spesso l’occasione per ripensare a ciò che si ritiene importante in una determinata fase della vita, al cuore dell’esperienza della mobilità si trovano indubbiamente gli oggetti, in particolar modo quelli selezionati per il trasloco, detentori di stabilità e rappresentanti simbolici delle relazioni elette a seguirci nello spostamento.

... Le cose care non sono state eliminate, sono state un po’ compresse [...] 'el trasloco di dieci anni fa è già stato sfrondato tanto [...] perché comunque ti vien fatto di buttare via quelle cose che sono proprio inutili [...] però non con indifferenza, ecco, sempre con sofferenza ...

Il trasloco di Rosanna le ha imposto una scelta delle cose da portarsi dietro che l’interlocutrice ha compiuto a malincuore; la necessità di adattarsi a uno spazio più piccolo è stata il movente per effettuare delle sofferte rinunce, ma nel complesso l’atteggiamento adottato è stato quello di una selezione piuttosto parsimoniosa. Un letto di antica fattura, invece, è quasi tutto ciò che Lisa si è portata via dal Belgio, dove ha abitato per diversi anni da ragazzina:

... E questo è un vecchio letto ma molto molto antico ... che viene dal Belgio [...] che mio cognato mi ha regalato ... ci tengo molto ...

Assai meno essenziale è Mirella, che di traslochi ne ha sperimentati diversi; di fronte all’ipotetica domanda di cosa porterebbe con sé nell’eventualità di un ulteriore spostamento, risponde così senza alcuna esitazione:

Ci porterei tutto. Tutto. Perché io mi ci attacco alla roba. E ci porterei tutto. […] Tutto, ci porterei tutto … 'o, perché ci sono delle cose che io ho portato da casa, proprio, quando son venuta qui, queste cose, io ce l’ho portate!

E in effetti, dalle straripanti credenze di questa signora è uscita una miriade di alambicchi che ci sono stati prontamente descritti56, per lei tutti importanti e tutti degni di essere conservati. Del resto Mirella non fa mistero delle sue inclinazioni:

Poi asserbo tutto, eh? […] Io bisogna che conservi tutto.

Qualcuno, tuttavia, sceglie con cura i soprammobili di cui circondarsi compiendo il sacrificio di quelli che non si intonano al proprio stile:

Rossella: - Sì, quando incontrano il nostro gusto, sì … e altre volte invece si nascondono, eh eh!

Nell’elegante casa di Rossella si riscontra un’impronta omogenea caratterizzata da una sapiente combinazione di mobili d’antiquariato, quadri d’autore e pregiati oggetti decorativi. Le priorità estetiche hanno avuto la meglio anche sulle implicazioni affettive dei doni, le quali vengono ignorate senza la percezione di particolari costrizioni qualora i regali in questione non siano di suo gradimento. Il modello di arredamento a cui la villa si ispira è quello di note riviste di design che la padrona di casa tiene poggiate bene in vista anche sul tavolo del soggiorno. L’occultamento dei doni, in questo caso, è funzionale al mantenimento di un’uniformità di stile in cui il soggetto si riconosce, a cui aspira, e che non è disposto a sottoporre a compromessi che ne guasterebbero la compiuta elaborazione. L’accurata selezione materiale operata dall’intervistata risponde a quella che Bourdieu chiama la “disposizione estetica” (2008, p. 47), intesa come capacità di percepire e decifrare le caratteristiche di uno stile: essa è qui ben espressa da Rossella che, conciliando competenze e sensibilità, costruisce attorno a sé un inventario di beni che rappresentano i suoi “rapporti sociali oggettivati” (ibid., p. 75), secondo un gusto estetico e un senso distintivo che sembrano quasi fondarsi in modo naturale, come un habitus (p. 54) che le appartiene quanto la sua identità.

Io vengo da una casa enorme … dove vivevo, coi miei genitori, piena zeppa di cose, quelle case proprio … dove non c’è un centimetro quadrato libero … e quindi diciamo che ehm … lì per lì è venuto un po’ casualmente … questa … questa voglia … anche di vuoto […] secondo me … gli oggetti […] secondo me confinano un po’ lo spazio […] mi soffocano … ed è una

costrizione non solo fisica ma anche mentale […] E’ stata proprio una scelta…

Angela si riferisce alla sua scelta di creare una casa minimalista, con spazi lasciati volutamente liberi e non decorati, per gratificare la sua “voglia di vuoto”, di ordine e di pulizia. Per motivarci il risultato dell’aspetto della sua casa, ricorre addirittura alla descrizione della sua abitazione natale, in cui spiccavano ninnoli e soprammobili ovunque. Sembra proprio che l’interlocutrice abbia voluto affermarsi secondo modalità oppositive a quelle genitoriali, e che il rifiuto dell’espressione dello stesso modello sia alla base delle sue pratiche di selezione, secondo un meccanismo compensatorio apertamente manifestato. In netta antitesi, sul piano della continuità generazionale, c’è l’atteggiamento di Graziella, che come abbiamo visto si compiace di circondarsi di mura antiche e vecchie travi, un’eredità del gusto materno che trova corrispondenza anche nel piacere di ristrutturare,

materiale che aderisca in modo soddisfacente alle proprie esigenze di rappresentazione e di autorappresentazione, laddove la casa si configura come il sostanziale involucro di quell’universo, e i possessi sono contrassegni visibili delle categorie personali di riferimento. Attraverso ciò che scegliamo di salvaguardare, insomma, esprimiamo ciò a cui conferiamo maggiore o minore valore, e le operazioni di selezione che effettuiamo fanno eco a quella “gerarchia di valori” (Douglas 1984, p. 7) in base alla quale “i beni possono essere custoditi con cura oppure essere giudicati inadatti, eliminati e sostituiti” (ibid.). Gli spazi vuoti di Angela, quindi, non sono soltanto indicatori di una modalità espressiva che le corrisponde, ma lasciano anche e soprattutto il posto alle sue numerose sculture e ai suoi quadri, gli esclusivi strumenti di comunicazione che ha scelto per entrare in relazione con gli altri e come metafore della propria identità. Se nei musei etnografici si mettono in scena culture e biografie collettive, dunque, nell’alveo domestico i soggetti allestiscono la propria cultura e la propria biografia identitaria, decifrabili secondo quel paradigma indiziario57che qui individua le proprie tracce nel contenuto materiale della casa.