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A seguito di queste indagini Alcibiade, che era nel frattempo partito per la Sicilia (VI 29.3), viene richiamato in patria; tuttavia, temendo una condanna, fugge (VI 61.7) e trova rifugio a Sparta (VI 88.9). Egli vi giunge contemporaneamente ad una delegazione di Corinzi e Siracusani che volevano convincere gli Spartani ad intervenire contro Atene. Alcibiade, presentatosi a parlare di fronte agli Spartani, appoggia le richieste della delegazione con un discorso che costituisce un capolavoro di retorica (VI 89-93). Con una sorta di

captatio benevolentiae egli ricorda la prossenia che legava la sua famiglia a Sparta

(e che egli aveva curato di ripristinare, dopo una breve interruzione105). Cerca quindi di creare una sintonia con l’uditorio attraverso il ricordo della politica anti-tirannica della propria famiglia – con evidente richiamo all’attività dell’antenato Clistene106 – atteggiamento che li accomuna alla politica spartana107. La democrazia viene dunque inizialmente presentata come l’unica alternativa al potere dispotico108 e come la forma di governo che aveva reso Atene grande e libera109. Tuttavia Alcibiade prende le distanze dall’ordinamento politico della propria città, ed esprime un’accesa condanna di questo regime regolato

105 Cf. V 43.2 con probabile riferimento ai contrasti tra Atene e Sparta intorno al 462 (vd. Andrewes HCT IV 49).

106

Questo tema è sviluppato da Isocr. XVI 25 s. ma contestato in Lys. XIV 39 e [And.] IV 34, dove sono invece ricordati gli ostracismi di Megacle e Alcibiade (II), rispettivamente nonno materno e nonno paterno di Alcibiade: questi provvedimenti sarebbero infatti prova della tendenza anti-democratica degli Alcmeonidi (vd. infra pp. 102 ss.).

107

Tucidide stesso ricorda (VI 53.3) che gli Spartani avevano scacciato i tiranni da Atene, ed in precedenza aveva dato credito alla propaganda che voleva Sparta impegnata a scacciare i tiranni dalla Grecia (I 18.1). Per una discussione su questa propaganda vd. Hooker 1989.

108 Espresso dal verbo dunasteuvw, che indica (HCT IV 362) l’esercizio del potere non regolamentato da norma: cf. III 62.3. Questa riflessione si sviluppa in modo parallelo a quella espressa altrove che metteva oligarchia e tirannide sullo stesso piano come conseguenza della comune funzione anti-democratica (cf. VI 60.1).

109 La libertà è un tema centrale dell’Epitafio di Pericle (vd. II 36.1, 37, e soprattutto 43.4), ripreso anche nel suo ultimo discorso (cf. II 62.2).

dall’ajkolaiva dei demagoghi110, mostrando la propria adesione come dettata da calcoli puramente opportunistici111; egli inoltre definisce la propria politica ‘più moderata’ (VI 89.5 metriwvteroi) in contrasto con la democrazia, definita invece una ‘follia riconosciuta’ (VI 89.6 oJmologoumevnh ajnoiva). Ripudia dunque la democrazia e si fa promotore di un ideale oligarchico o democratico moderato, impostato sulla metriovth e sulla capacità di adattamento dell’uomo politico all’ajnavgkh. Si tratta dunque di una dichiarazione politica che si allontana dagli ideali democratici ateniesi, ma si avvicina piuttosto ad una politica oligarchico-moderata. Tuttavia, più che motivate da veri orientamenti politici, le parole di Alcibiade sono da intendersi come dettate dal bisogno, personale e contingente, di creare una base di comunicazione con il pubblico spartano.

L’immagine di Alcibiade che risulta da questo discorso si allontana notevolmente da quella che era emersa nel dibattito tenuto di fronte all’Assemblea degli Ateniesi. Le motivazioni di tale dissonanza sono ovvie: mentre ad Atene l’obiettivo era quello di convincere i propri compatrioti a votare una spedizione di conquista, e faceva quindi appello agli ideali imperialistici ateniesi, in questo caso si rivolge ad un pubblico ben più ostile, composto da Spartani, verso i quali aveva fino ad allora mostrato una politica alquanto aggressiva (sia al tempo dell’accordo con gli Argivi che della spedizione in Sicilia). Doveva dunque convincerli non solo a dimenticare la precedente condotta, cercando di porla sotto una luce diversa, ma soprattutto doveva essere accettato fra di loro, dimostrando di avere gli stessi interessi. Non si può tuttavia valutare se questo cambiamento sia da imputarsi effettivamente ad Alcibiade, o se faccia parte dell’abilità di Tucidide nel creare discorsi ‘verosimili’, che forzano in parte la realtà per adeguarsi alla sua visione della Guerra del Peloponneso (vd. supra pp. 17 ss.). Anche in questo caso lo scopo della presente indagine permette di ignorare la questione e di porre l’attenzione solo sull’immagine di Alcibiade, che a questo punto delle Storie è passato alla fazione opposta: fino ad ora infatti Alcibiade era stato rappresentante di una politica democratica radicale, di cui la spedizione era stata l’impresa più ardita; in questo discorso egli si fa invece portatore di un’ideologia politica oligarchica. Nessuno dei tentativi svolti fino ad oggi per ricondurre questo trasformismo politico ad un piano unico è riuscito a tenere conto di tutti i vari cambiamenti di Alcibiade, che sembrano di volta in volta determinati da esigenze contingenti ed individuali, che in questo caso si possono in parte intuire (necessità

110

È interessante notare che proprio questa sarà l’accusa che gli verrà mossa in seguito, vd. [And.] IV 24; Isocr. XVI 37, 38; Plat. Alc. 134e8-135b5.

111

Vd. VI 89.6 ejpei; dhmokrativan ge kai; ejgignwvkomen oiJ fronou`ntev ti, kai; aujto; oujdeno; a]n cei`ron, o{wó kai; loidorhvaimi. La congettura proposta da Hude (dhmokrativa ge kategignwvkomen) è allettante per il senso di condanna espresso dal verbo katagignwvkw, ma non se ne vede la necessità ed inoltre non concorda con il valore né causale, né concessivo di ejpeiv.

di farsi accettare dagli Spartani), e che in parte vengono svelate dallo stesso Alcibiade poco oltre (cioè il desiderio di fare ritorno in patria, cf. VI 92).

Una volta creata una base di comunicazione, Alcibiade svela i progetti degli Ateniesi in Sicilia (che erano già stati sommariamente presentati al momento del dibattito per la spedizione vd. VI 15.2, 18.3), mettendo gli Spartani al corrente del pericolo che il successo di quei piani avrebbe comportato per il Peloponneso (VI 90.3). Li consiglia dunque sulle decisioni strategiche da prendere: l’invio di una spedizione di soccorso a Siracusa e l’occupazione di Decelea (VI 91). Tuttavia è strano notare che questi consigli non ebbero grandi effetti: i rinforzi inviati da Sparta furono infatti irrisori (VI 104.1), e bisognerà attendere un anno per l’invio di truppe spartane a Decelea (VIII 19.1)112.

Infine Alcibiade spiega le ragioni di quello che si presenta come un tradimento della propria patria attraverso un ragionamento sofistico, nel quale si riscontrano tutte le caratteristiche già presentate di questo personaggio. All’interno del suo sistema di valori, orientato al soddisfacimento egoistico dei propri desideri, l’idea di patriottismo assume un significato nuovo. Alcibiade stravolge cioè il senso della partecipazione politica e la povli diventa il palcoscenico sul quale recitare il proprio ruolo da protagonista:

VI 92.3-4 kai; polemiwvteroi oujc oiJ tou; polemivou pou

blavyante uJmei' h] oiJ tou; fivlou ajnagkavante polemivou genevqai. tov te filovpoli oujk ejn w|/ ajdikou'mai e[cw, ajllÆ ejn w|/ ajfalw' ejpoliteuvqhn. oujdÆ ejpi; patrivda ou\an e[ti hJgou'mai nu'n ijevnai, polu; de; ma'llon th;n oujk ou\an ajnakta'qai. kai; filovpoli ou|to ojrqw', oujc o} a]n th;n eJautou' ajdivkw ajpoleva mh; ejpivh/, ajllÆ o} a]n ejk panto; trovpou dia; to; ejpiqumei'n peiraqh'/ aujth;n ajnalabei'n.

«E i nemici peggiori non sono quelli che, come voi, colpiscono il nemico, ma quelli che costringono gli amici a divenire nemici. E l’amor di patria io non l’ho quando sono offeso, ma quando posso con sicurezza vivere da cittadino. E ora non penso di andare contro quella che è la mia patria, ma piuttosto di riprendere quella che non è più mia. E ama giustamente la patria non quello che non assale la sua dopo averla ingiustamente perduta, ma colui che con tutti i mezzi, per l’amore che le porta, cerca di riprenderla».

112 Ancora una volta viene da chiedersi quale fu il reale peso di Alcibiade nelle decisioni spartane, e quanto fu invece frutto di voci malevole, adirate per il tradimento (cf. Hatzfeld 1940, 211 s.).

Si tratta di una concezione ben diversa dall’ideale altruistico del cittadino disposto a sacrificare la propria vita per il bene della polis democratica, che trova espressione, come abbiamo visto, nell’Epitafio di Pericle (II 60.2). L’amore per la patria non costituisce un valore assoluto, ma si trova sottoposto alla condizione di poter esercitare i propri diritti; il corollario logico è che, per esercitare questi diritti, l’individuo sia autorizzato a fare qualunque cosa. Si tratta dunque di una

summa degli elementi caratteristici dell’Alcibiade tucidideo. Il ragionamento è

speculare a quello presentato agli Ateniesi alla vigilia della partenza per la Sicilia, in cui ogni azione era sottomessa al soddisfacimento dei desideri personali, e le conseguenze per la città erano considerate secondarie: così aveva inteso la propria decisione di non appoggiare la pace con Sparta (V 43) e le vittorie olimpiche (VI 16). Anche in questo caso dunque la volontà di ritornare ad Atene non deve essere intesa come il desiderio patriottico di venire riammesso nella propria patria, ma si tratta ancora una volta di bisogno assolutamente personalistico.