• Non ci sono risultati.

Il riconoscimento delle qualità congenite di Alcibiade rende tuttavia ancora più controversa la posizione del filosofo, il quale si trova a dover spiegare a questo punto le cause del suo fallimento e a dover scagionare se stesso dall'accusa di aver rovinato un giovane tanto promettente. A questo scopo viene introdotto un ulteriore argomento: il filosofo dichiara di essere l’unico in grado di educare il giovane (105e, 122b, 131e), in quanto l’unico interessato alla sua anima e non alla sua bellezza esteriore (131c-e, cf. 122b). Il dibattito si sposta quindi sulla ricerca dell’ajrethv, cioè di quella dote che gli avrebbe permesso di aiutare davvero la

polis, e che in questo dialogo assume da un lato un valore morale, dall’altro un

contenuto pratico di competenza specifica (124e). Socrate mostra al giovane che per consigliare gli Ateniesi non servono bellezza, ricchezza o stirpe, cioè quelle qualità sulle quali Alcibiade riteneva di poter fondare la propria superiorità, ma la sapienza (eijdovto 107b), l’unica capacità indispensabile nell’arte di gestire il potere dello Stato. Si tratta dunque di un sapere politico (133e, 134d, 105e), e quindi pratico, ma al tempo stesso morale, poiché il filosofo riconosce in questo sapere una prerogativa propria dei kaloi; kajgaqoiv (125a-126a) definiti come

frovnimoi, a loro volta ajgaqoiv nell’arte di gestire lo Stato, cioè di governare su

uomini che vivono in una comunità. Eccellenza morale e capacità politica diventano quindi due qualità strettamente legate e dipendenti l’una dall’altra. Il filosofo definisce poi questa abilità eujbouliva, cioè come una capacità di fornire i consigli giusti al fine di organizzare lo Stato nel modo migliore e garantire la sua salvaguardia (126a eij to; a[meinon th;n povlin dioikei`n kai; wvæzeqai)390.

390

Il termine eujbouliva ha normalmente un senso tecnico, che porta Platone a denunciare il fatto che la scienza politica finisse per ridursi troppo spesso ad una pura attitudine a deliberare (vd. Plt. 297e-298e).

L’immagine politica di Alcibiade viene quindi ricondotta a quella tradizionale dei

kalo; kajgaqov e assume così una connotazione moralistica e positiva. Attraverso

questo processo si rivela inoltre l’intento apologetico dell’autore del dialogo, che dimostra il contenuto edificante degli insegnamenti del filosofo.

Conclusioni

L’autore del dialogo dunque rimodella l’immagine di Alcibiade in relazione al dibattito sul suo rapporto con Socrate. La sua eccezionalità viene ‘interiorizzata’: non si manifesta attraverso le azioni ma costituisce una qualità della stessa natura dell’anima. In questo modo viene ritagliato uno spazio d’azione per Socrate, il quale poteva cercare di influenzare positivamente Alcibiade grazie alla paideiva. Gli insegnamenti del filosofo si indirizzano dunque verso la sfera politica, che costituisce l’obiettivo principale per il giovane Alcmeonide391. Il potere politico viene presentato come traguardo finale di un percorso educativo morale che mirava al conseguimento della virtù, intesa come capacità di governare una città, cioè di prendere le decisioni migliori per i propri concittadini. Al tempo stesso l’anima del discepolo, ben dotata ma ancora ‘vergine’, rischiava di soccombere a causa dei condizionamenti negativi del dh`mo; alla fine del dialogo, infatti, Socrate stesso esprimeva il timore che il giovane potesse essere corrotto dalle lusinghe della politica, allontanandosi così dai suoi insegnamenti (132a, 135e)392. In questo modo l’autore del dialogo, Platone o un suo discepolo – motivato quindi dal medesimo intento apologetico – raggiugeva il proprio scopo: Socrate veniva infatti scagionato dalla responsabilità per le malefatte del suo pupillo, che ricadeva invece sullo stesso popolo ateniese e sui suoi agitatori (cioè i sofisti descritti nella Repubblica vd. supra p. 147).

Questo dialogo pare dunque rispondere a coloro che ritenevano il filosofo responsabile delle malefatte compiute da Alcibiade: si tratta di accuse non presentate almeno formalmente al processo, di cui un esempio, ma forse non

391 Nella Repubblica, invece, questa medesima virtù deve esercitarsi lontano dalla politica, che viene ritenuta insana: Platone afferma addirittura che «nessuna forma politica oggi come oggi è degna della natura del filosofo» (496b-497b); tale discrepanza, come altre, può considerarsi conseguenza di un diverso stadio di elaborazione del pensiero platonico.

392 Denyer (2001, 143) suggerisce che anche nelle parole di Alcibiade si possa nascondere una allusione al suo futuro fallimento: già Aristofane aveva messo in ridicolo la pronuncia blesa del giovane attraverso un gioco di parole (Vesp. 44-46). Durante la discussione sull’identità tra utile e giusto, Alcibiade pronuncia una frase, il cui valore, all’interno del contesto, può risultare oscuro: ajpokritevon: kai; gar; oujde;n oi[omai blabhveqai, cioè «devo rispondere. Non credo che questo possa danneggiarmi». Considerando la pronuncia blesa, Denyer ipotizza che la frase contenga un gioco di parole: ajpoklitevon: kai; gar; oujde;na oi[omai brabh` e[eqai, cioè «sarà rovinato. Non credo che ci sarà mai un giudizio»; Socrate risponde in effetti mantiko; ga;r ei\ (115a). Tuttavia anche in questo modo la seconda parte della frase non pare molto chiara, e quella di Denyer risulta essere una suggestione poco persuasiva.

l’unico, è fornito dal pamphlet di Policrate. Ritengo quindi plausibile considerare questo dialogo come un tentativo di risposta da parte di Platone (o comunque di un allievo dell’Accademia) alle accuse mosse dopo il processo da parte di coloro che ritenevano Socrate responsabile di aver corrotto Alcibiade. È rischioso tuttavia tentare di affermare con certezza che questa difesa si possa considerare una risposta diretta al pamphlet di Policrate, di cui sappiamo purtroppo troppo poco. L’unico elemento che possiamo ritenere assodato è il fatto che il retore denunciasse il legame tra Alcibiade e Socrate, e questo argomento è in effetti centrale nel nostro dialogo.

Si può forse introdurre, con molta cautela, un altro tema comune: qualora si possa identificare il kathvgoro citato da Senofonte con Policrate, è forse possibile leggere in questo dialogo una risposta all’accusa di aver insegnato ai giovani a mancare di rispetto ai genitori (vd. Xen. Mem. I 2.49-55 supra p. 129), nel caso in questione a Pericle, subentrato nella tutela ad Alcibiade dopo la morte prematura del padre: Socrate avrebbe cioè mostrato per quali motivi sarebbe stato opportuno che il giovane si discostasse da individui che non erano in grado di indirizzarlo verso la vera virtù.