Nell’Alcibiade, quindi, Platone incolpa il dh`mo per le azioni commesse da Alcibiade e la stessa tesi è sostenuta proprio da quest’ultimo nel Simposio393, in cui la sua improvvisa comparsa ricopre un ruolo fondamentale all’interno dell’economia complessiva del testo. Al termine del discorso di Socrate, che aveva rivelato la vera natura dell’Eros come «tendenza a essere in possesso del bene per sempre» (204c-206a), Platone stravolge il clima elevato che si era creato, con l’arrivo di Alcibiade ubriaco, che irrompe nella casa di Agatone infrangendo l’ordine della riunione: viola innanzi tutto la regola di bere con moderazione che i convitati si erano dati all’inizio del banchetto (176a1-e), e si mette addirittura a bere vino dallo yukthvr, un vaso solitamente usato per raffreddare il vino; si nomina simposiarca (213e), e invece di pronunciare un discorso sull’Eros, compie un elogio di Socrate, cioè dell’oggetto del suo Eros. Tutta la sua rappresentazione è dunque imperniata su un gioco di contrasti, che illumina in effetti il valore simbolico di questo ultimo intervento.
393 Una datazione precisa di questo dialogo è pressocchè impossibile, tuttavia sulla base di alcune indicazioni interne è stato proposto di collocarlo poco dopo il 385 (vd. Dover 1980, 10-11 e Robin 1929 VIII-XII) o tra il 381 e il 387 (vd. Mattingly 1958). Sebbene queste ipotesi non siano di grande aiuto per collocare questo dialogo rispetto all’Alcibiade, appare chiaro che la rappresentazione di Alcibiade è posteriore.
La rappresentazione di Alcibiade mostra delle analogie e dei rimandi al dialogo precedentemente analizzato, collocandosi in un momento ‘drammatico’ successivo: il giovane ricorda infatti le esortazioni del maestro a prendersi cura di sé (Symp. 216a4-6 cf. Alc. 119b, 127d9-e3), e a non occuparsi degli affari della città prima di aver acquisito le competenze necessarie (Symp. 216a4-6, cf. Alc. 104a1-2, 105e3-5). Dichiara ancora di provare vergogna di fronte al maestro a causa della propria ignoranza (Symp. 216a8-c1, cf. Alc. 109a1-4, 116e2-4, 127d6- 9). Ed infine Alcibiade afferma di essere stato allontanato dagli insegnamenti del maestro proprio dalle lusinghe della folla (Symp. 216a-c th`~ timh`~ th`~ uJpo; tw`n
pollw`n)394
, confermando quella che nell’Alcibiade si limitava ad essere una possibilità (Alc. 132a1-2, 135e6-8) e riconoscendo di aver trascurato se stesso per occuparsi di questioni politiche (Symp. 216a, cf. Alc. 113c, 132c, Ap. 29d-e, 30a-b). Tuttavia, tra queste due rappresentazioni esiste una fondamentale discrepanza: nel primo dialogo era stato Socrate a tentare di avvicinare Alcibiade (104c oujk ajpallavttomai tou` e[rwto), e a dichiarare di essere il suo unico vero amante, poiché interessato non alla bellezza effimera ma alla sua anima più profonda (131c-e); proprio questo amore gli avrebbe garantito il diritto/dovere di occuparsi dell’educazione di Alcibiade alla virtù (122b, cf. 127d).
Nel Simposio è invece quest’ultimo a tentare, invano, di sedurre il maestro, stravolgendo la regola in base alla quale era l’ejrathv ad insidiare l’ejrwvmeno (cf. Symp. 184a-b): il giovane, che ammirava la sapienza e la virtù del filosofo, dichiara di voler ottenere la vera sapienza, offrendo in cambio la propria bellezza fisica (217b-219d). Il rapporto erotico proposto dal giovane corrisponde a quello descritto da Pausania nel corso dello stesso simposio: quest’ultimo, attraverso una serie di ragionamenti sofistici, aveva cercato di nobilitare l’Eros per i giovani creando una distinzione tra un tipo di amore volgare che prediligeva il corpo all’anima (180e3-182a6, cf. 218c7-d5), e un altro tipo consentito, definito ‘celeste’ (oujravnio), che conduceva verso la sapienza e la virtù (184b5-185c2). L’amore fisico tra un giovane ed un uomo adulto appariva dunque giustificato dallo scopo educativo: si trattava in effetti delle idee al momento più diffuse ad Atene, che ammettevano la pederastia e ne fornivano una giustificazione etica, e nell’Alcibiade la posizione di Socrate pare abbastanza vicina a quella espressa da Pausania: pur affermando di prediligere l’anima al corpo (131c-e cf. 122b), infatti il filosofo non pare escludere in maniera esplicita l’aspetto fisico.
Tuttavia, lo scopo che si propone Platone nel Simposio è proprio quello di confutare le idee allora vigenti riguardanti l’Eros e di proporre un nuovo modello pedagogico: Socrate rifiuta infatti questo tipo di rapporto erotico e si fa promotore
394
In questo caso Alcibiade indica il dhvmo~ con il termine polloiv: il pensiero tradizionale legava infatti la pluralità con l’errore e l’unità con la verità, cf. Crit. 47b-48a, Ap. 25a-b, Euthd. 307a, La. 184e; anche Pind. O. I 28-29; Aristot. Met. 986a24 sui Pitagorici e EN 1106b28-33.
di un nuovo ideale di Eros, che descrive attraverso le parole di Diotima: l’amore va inteso come desiderio di eterno possesso del Bene Supremo (206a e[tin a[ra
ullhvbdhn, e[fh, oJ e[rw tou` to; ajgaqo;n auJtw`æ ei\nai ajeiv); il vero sapere consiste
pertanto nel desiderio di raggiungere questo stato e in quanto tale rifugge ogni manifestazione fisica (218e5-219a1 ajllÆ ajnti; dovxh ajlhvqeian kalw'n kta'qai
ejpiceirei' kai; tw'/ o[nti ®cruvea calkeivwn® diameivbeqai noei', cf. Phaedr.
251a1, Leg. VIII 837b-c). L’intervento di Alcibiade assume quindi un ruolo centrale all’interno dell’economia filosofica del dialogo: attraverso la vicenda del contrastato amore di quest’ultimo per Socrate, Platone mostra il fallimento dell’Eros pederastico.
Vi è infine un ultimo aspetto che emerge da questa rappresentazione. È già stato evidenziato come la rappresentazione di Alcibiade contribuisca alla formazione del ritratto della natura filosofica presentato nella Repubblica (vd.
supra p. 144 ss.): il giovane allievo di Socrate rappresenta infatti l’individuo
dotato di buone predisposizioni naturali, che finisce tuttavia per venire deviato da cattivi educatori. Nella Repubblica Platone descrive il percorso degenerativo di questa natura filosofica, che diventa un tiranno, cioè un individuo corrotto dall’eccessiva libertà, e che spinge il proprio Eros nella direzione sbagliata (vd. Giorgini 2005, 450-454); questo individuo manifesta quindi una serie di comportamenti improntati alla più assoluta libertà di costumi, che si concretizzano per esempio in una predilezione eccessiva per il bere e in un erotismo incontrollato (573c Turanniko; dev […] ajnh;r ajkribw' givgnetai, o{tan h] fuvei
h] ejpithdeuvmain h] ajmfotevroi mequtikov te kai; ejrwtiko; kai; melagcoliko; gevnhtai.). Ritengo che l’immagine che Platone presenta di
Alcibiade nel Simposio possa costituire un ulteriore elemento nella creazione di questo modello teorico: Alcibiade incarnerebbe infatti questo tiranno non come figura politica, ma come modello di individuo corrotto dall’eccesso di libertà.
Quest’ultima elaborazione di Alcibiade costituisce quindi l’ultima tappa di un percorso graduale di astrazione che la sua immagine compie all’interno dell’opera platonica. Già nelle orazioni egli era stato utilizzato essenzialmente come modello politico e di comportamento (in positivo o negativo, a seconda del caso); era poi entrato nel dibattito socratico come esempio dei danni che questo tipo di nuovo intellettuale poteva produrre, e quella dell’Alcibiade platonico costituisce una immagine funzionale all’intento apologetico. Alcibiade diventa quindi un modello di quella natura filosofica corrotta di cui, nella Repubblica, Platone delinea la teoria generale. Nel Simposio si perde ogni intento apologetico, e l’immagine di Alcibiade, individuo ormai completamente corrotto e depravato, compare come elemento ‘scenico’ per concludere il discorso sull’amore, in quanto
modello esemplare del fallimento socratico: Alcibiade rappresenta infatti la maschera dell’uomo che aveva respinto la verità socratica sull’Eros.
Figura 2: la tavola riporta le opinioni dei principali studiosi moderni, che ritengono l’Alcibiade I autentico (1), apocrifo (3) o dubbio (2).