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Il primo passo del processo di crescita proposto da Socrate consiste dunque nella presa di coscienza dei limiti della propria condizione; per questo motivo il filosofo mostra al giovane come le sue qualità, eccezionali rispetto alla limitata realtà ateniese, siano in realtà minime qualora venga ampliato l’orizzonte di riferimento. Il filosofo ridimensiona quindi fortemente la descrizione di Alcibiade attraverso un lungo elogio degli Spartani e dei Persiani (119-124b), che rivelano la loro superiorità in ogni àmbito, non solo rispetto ad Alcibiade, ma all’intera comunità degli Ateniesi.

È interessante notare che questa superiorità viene misurata sulla base degli stessi requisiti in base ai quali il giovane aveva valutato la propria eccellenza, cioè la nobiltà di stirpe e la ricchezza: Socrate mostra in questo modo l’insufficienza delle qualità del giovane rispetto ad un contesto più ampio (120e-121b, 122b-123c, cf. 104a-c). La superiorità di questi popoli rispetto agli Ateniesi non si limitava tuttavia a questi aspetti, che potremmo definire superficiali ed esteriori, Socrate aggiunge infatti come ulteriore parametro di valutazione la trofhv (121b), cioè lo stile di vita – e in modo particolare l’educazione – mostrando l’inadeguatezza degli strumenti ateniesi (cf. infra p. 155 ss). Per prima cosa il filosofo elogia le istituzioni poste a protezione della virtù delle donne e della legittimità dei figli: gli Spartani ponevano infatti le mogli sotto il controllo degli Efori (121b, vd. supra n. 369), mentre i Persiani riuscivano a mantenere il controllo sulle consorti grazie alla paura (121c-e). Anche nell’educazione dei fanciulli essi si rivelavano superiori agli Ateniesi (121c–e): i figli dei re persiani erano infatti allevati dagli eunuchi ritenuti migliori (a[ritoi), i quali si occupavano di rendere i bambini più belli possibile «modellando e raddrizzando le loro membra» e di insegnare loro a cacciare e ad andare a cavallo; a quattordici anni venivano affidati ai pedagoghi regali: il più saggio (ofwvtato) si occupava di insegnare il culto degli dei e l’arte della politica (mageivan te didavkei th;n

Zwroavtrou tou` ïWromavzou - e[ti de; tou`to qew`n qerapeiva - didavkei de; kai; ta; bailikav,), il più giusto (dikaiovtato) la sincerità (ajlhqeuvein), il più

moderato (wfronevtato) la temperanza (didavkei … mhdÆ uJpo; mia` a[rceqai

tw`n hJdonw`n, i{na ejleuvqero ei\nai ejqivzhtai kai; o[ntw baileuv, a[rcwn prw`ton tw`n ejn auJtw`æ ajlla; mh; douleuvwn) e il più valoroso (ajndreiovtato) il

coraggio (didavkei … a[fobon kai; ajdea` parakeuavzwn, wJ o{tan deivhæ dou`lon

o[nta)381

. I bambini ateniesi venivano invece affidati prima ad anonime nutrici

381

Occorre tuttavia riconoscere che questa descrizione non coincide con le notizie fornite da altri testimoni: Erodoto racconta infatti che i bambini persiani venivano allevati nel gineceo fino a cinque anni, senza poter mai vedere il padre (I 136.2, in cui non corrispondono neanche le tappe d’età, cf. Xen. Cyr. 1.2.8-9); inoltre la descrizione del percorso educativo dei principi persiani pare

(121d) e successivamente a degli schiavi, scelti fra quelli anziani e quindi inutili per i lavori domestici (122b)382. L’educazione dei giovani ateniesi viene quindi fatta rientrare tra le competenze degli amanti, e di Socrate in particolare (122b): viene in questo modo introdotto un tema che sarà ulteriormente sviluppato e discusso nel Simposio, cioè quello dell’amore pederastico, pratica socialmente ammessa ad Atene, che attraverso le parole del filosofo riceve non solo una giustificazione ed un riconoscimento della propria funzione sociale – e in parte anche politica – ma viene addirittura incoraggiata (cf. infra p. 157).

Critica all’educazione ateniese

La paideiva ha dunque un ruolo centrale all’interno di questo dialogo (come del resto in tutti). Nella tradizione precedente, come abbiamo visto, la straordinarietà del giovane non era attribuita ad una particolare educazione, ma ad una condizione di nascita, che lo collocava ora in campo democratico ora in campo oligarchico, in base all’intento accusatorio o difensivo dell’autore. La centralità della paideiva nel nostro dialogo è invece evidente fin dal primo momento: l’occasione è infatti fornita dal primo incontro tra Socrate e Alcibiade, durante il quale il filosofo si propone di trasmettere al giovane i primi insegnamenti (e proprio questo aspetto introduttivo e didascalico avrebbe indotto i commentatori antichi a considerare il dialogo come una sorta di introduzione alla filosofia socratica, vd. supra p. 139). Secondo uno schema tipico del metodo socratico, il primo passo in questo processo consiste nel confutare le false opinioni e il sapere apparente383, per questo motivo il filosofo dimostra l’ignoranza del discepolo, infrangendo una serie di topoi tradizionali: non solo sminuisce, come abbiamo visto, la tradizionale immagine di Alcibiade, ma addirittura accusa gli Ateniesi di non curarsi dell’educazione dei propri giovani (122b) e di trascurare l’ejpimevleia e la ofiva (123d), gli unici valori che i Greci reputavano degni, al punto da risultare carenti rispetto all’educazione che i Persiani impartivano ai figli dei re (vd. supra p. 148). Il biasimo del filosofo si concentra in particolar modo su Pericle, tutore e responsabile dell’educazione del giovane Alcibiade, il quale viene contestato sia nel suo ruolo di educatore, che in quello di uomo politico.

costruita sulla base della teoria delle quattro virtù cardinali, tutte necessarie per essere uomini giusti (cf. Rep. 427e, 441c-442d, Phd. 69b, Symp. 196d, Leg. 631c-d, 965d). Vlastos (1995, 292) mette inoltre in luce il contrasto tra questa valutazione del sistema educativo persiano e quella negativa che lo stesso Platone presenta nelle Leggi (694c-695b), e sulla base di questa incongruenza nega l’autenticità del dialogo.

382 A conferma di ciò Socrate ricorda che Alcibiade venne affidato a Zopiro Trace, tw`n oijketw`n to;n ajcreiovtaton uJpo; ghvrw (122b), cf. Plut. Alc. 1.3.

Il giudizio platonico su Pericle

Inizialmente Socrate menziona, in modo apparentemente neutro, il potere assoluto esercitato dallo statista, il quale godeva della libertà di fare tutto ciò che voleva, sia presso i Greci che presso i Barbari (104b): tuttavia tale affermazione, che può sembrare ad un primo sguardo un elogio, anticipa la denuncia di un atteggiamento quasi tirannico ed irresponsabile (134e8-135b5). Ad ogni modo, al di là di questa valutazione politica, l’accusa principale riguarda il problema se Pericle fosse o meno in possesso di una vera conoscenza politica da insegnare ad Alcibiade. Ammettendo infatti che la prova più sicura della sapienza di un individuo fosse la capacità di saperla insegnare (118a-e), Socrate esorta il giovane ad indicare qualcuno che avesse tratto degli insegnamenti dalla frequentzione con lo statista ateniese, ma Alcibiade è costretto ad ammettere di non poter citare nessuno: né i figli, all’unanimità riconosciuti come due sciocchi384, né lo stesso Alcibiade che ammette di non ascoltarlo, né il fratello Clinia, di cui riconosce la pazzia, né alcuno degli Ateniesi o degli stranieri suoi contemporanei (118d-119a). Questo giudizio negativo nei confronti dello statista ateniese è frequente nell’opera platonica (vd. Prot. 319e-320a, Men. 94a)385 ed in particolare le parole di Socrate nel dialogo in questione richiamano l’attacco presente nel Gorgia: anche là infatti il filosofo affermava che Pericle non era stato un buon politico, poiché aveva peggiorato gli Ateniesi invece di migliorarli (515d-516d)386.

A questa invettiva contro il grande statista ateniese corrisponde l’elogio che ne veniva fatto nella orazione Sulla biga di Isocrate, sempre in relazione al suo

384 Pericle era stato sposato con una donna che aveva avuto un figlio da un precedente matrimonio, Callia, diventato famoso per la propria ricchezza (Plut. Per. 24.8); i figli ricordati da Platone sono invece Santippo e Paralo, che lo scolio definisce blittomavmma, cioè ‘succhiatori delle mammelle materne’, a motivo della loro stupidità (Schol. Vet. ad Plat. Alc. 118e Xavnqippo kai; Pavralo oiJ Periklevou uiJoiv, ou} kai; blittomavmma ejkavloun. blivttai ga;r kai; blivttone oiJ eujhvqei, mavmmata de; ta; brwvmata, kai; to; ejqivein ÆArgei'oi mammia'n e[legon: ejk touvtwn ou\n uvnqeton oJ blittomavmma, oJ ejqivwn eujhvqw, wJ kai; ukomavmma oJ ukofavgo). Ritengo che questo epiteto sia da non confondere con quello che Aristofane indirizza ai figli di Ippocrate nelle Nuvole (1001 blitomavmman) e a cui lo scolio fornisce una diversa esegesi (Schol. Vet. ad Aristoph. Nu. 1001c blitomavmanò h[toi ajnovhton. ajpo; tou' blivtou, lacavnou eujtelou', kai; tou' mama'n, o} dhloi' to;n a[rton; cf. Schol. Tz. ad Aristoph. Nu. 1001a).

385 Si veda in particolare la monografia di Banfi (2003, soprattutto 101-168), che ricostruisce lo sviluppo dell’immagine di Pericle nell’antichità, e mette in luce come per Platone la figura dello statista, e della democrazia di cui quest’ultimo fu rappresentante, si costruisca praticamente in antitesi con quella di Socrate.

386 Già precedentemente Callicle aveva citato Pericle, Temistocle, Cimone e Milziade come esempi di bravi uomini politici, considerando la virtù dal proprio punto di vista, cioè come soddisfacimento di tutti i propri desideri (503c), mentre Socrate, dopo aver definito la virtù come la capacità di migliorare gli uomini, aveva criticato gli stessi politici poichè non avevano migliorato nessuno, citando come esempio la miqoforiva (voluta da Pericle), la cui introduzione avrebbe finito per corrompere gli Ateniesi. Anche in questo caso è chiara la condanna nei confronti dello statista, che come uomo politico non era riuscito a migliorare i propri concittadini.

rapporto con Alcibiade (XVI 28). È interessante notare alcuni parallelismi tra un passo dell’orazione e alcune affermazioni di Socrate nel dialogo:

Isocr. XVI 28 aujto; de; kateleivfqh me;n ojrfanov [...]

ejpetropeuvqh dÆ uJpo; Periklevou, o}n pavnte a]n oJmologhveian kai; wfronevtaton kai; dikaiovtaton kai; ofwvtaton genevqai tw`n politw`n. ïHgou`mai ga;r kai; tou`tÆ ei\nai tw`n kalw`n, ejk toiouvtwn genovmenon uJpo; toiouvtoi h[qein ejpitropeuqh`nai kai; trafh`nai kai; paideuqh`nai.

«Rimasto orfano … fu affidato alla tutela di Pericle che, per ammissione generale, fu il più moderato, il più giusto e il più abile dei cittadini. Credo che anche questo rientri fra i suoi pregi, che nato da tali avi abbia avuto per tutore, educatore e maestro, un uomo di tale tempra».

Plat. Alc. 121e di; eJpta; de; genovmenon ejtw`n to;n pai`da

paralambavnouin ou} ejkei`noi baileivou paidagwgou; ojnomavzouin: eiji; de; ejxeilegmevnoi Perw`n oiJ a[ritoi dovxante ejn hJlikivaæ tevttare, o{ te ofwvtato kai; oJ dikaiovtato kai; oJ wfronevtato kai; oJ ajndreiovtato.

«Compiuti due volte sette anni, il giovane è affidato a quelli che si chiamano precettori regali: uomini di età matura, scelti fra i Persiani in quanto ritenuti i migliori, in numero di quattro, il più sapiente, il più giusto, il più temperante e il più coraggioso».

Plat. Alc. 122b th` de; h` genevew, w\ ÆAlkibiavdh, kai;

trofh` kai; paideiva, h] a[llou oJtouou`n ÆAqhnaivwn, wJ e[po eijpei`n oujdeni; mevlei, eij mh; ei[ ti ejrasthv ou tugcavnei w[n.

«Invece della tua nascita, o Alcibiade, della tua educazione e formazione (dico di te e di qualsiasi tra gli Ateniesi), a dire il vero, a nessuno importa, a meno che non sia per ventura il suo amante».

Si possono osservare alcuni parallelismi tra questi passi: l’oratore riconosce per esempio a Pericle delle qualità che nel dialogo platonico vengono invece attribuite ai pedagoghi i quali si occupavano dell’educazione dei principi persiani (121c-e o{

te ofwvtato kai; oJ dikaiovtato kai; oJ wfronevtato kai; oJ ajndreiovtato,

vd. supra p. 148); inoltre, fra gli elementi che costituivano i pregi di Alcibiade, l’oratore aveva posto, oltre alle nobili origini, l’esser stato allevato ed educato da

Pericle, utilizzando gli stessi termini che Socrate usa invece per denunciare il disinteresse degli Ateniesi per l’educazione dei propri figli (gevnei, trofhv e

paideiva). Si tratta probabilmente di riprese di topoi tradizionali: abbiamo infatti

già visto come la teoria delle quattro virtù cardinali sia stata ripresa in alcuni dialoghi successivi da Platone (cf. n. 381), ed inoltre questi termini sono citati insieme anche altrove (vd. per esempio Plat. Cri. 50d-e, Menex. 237a-b, ma anche Isocr. XII 198). È tuttavia interessante notare come essi vengano utilizzati in modo opposto in relazione a Alcibiade: gli stessi elementi che per Isocrate avevano costituito il vanto dell’educazione del giovane, vengono ripresi nel dialogo per elogiare invece l’educazione dei principi persiani, rappresentanti per eccellenza di un modello politico antitetico a quello della democrazia ateniese, di cui Pericle era stato il massimo rappresentante. La presentazione del grande statista, in cui a prevalere è una eccessiva libertà, priva di un adeguato supporto morale, parrebbe invece rievocare in qualche modo quella dei cattivi educatori corruttori delle nature filosofiche (cf. Rep. VI 492a-493a): questi sofisti agitavano le folle creando una tale confusione che nessuno, per quanto virtuoso e bene educato, poteva resistere (492c); inoltre, qualora questa forma di persuasione non avesse ottenuto i risultati sperati, essi ‘passavano ai fatti’, cioè castigavano infliggendo l’ajtimiva, ammende o addirittura la pena di morte a coloro che non si erano lasciati convincere in altro modo (492d). L’eccesso di libertà e l’incapacità di educare gli Ateniesi costituiscono quindi gli elementi comuni di quelli che Platone ritiene evidentemente due modelli negativi.

Questo stravolgimento è indizio di una frattura nel sistema educativo ateniese: ad un tipo di paideiva basato sulla trasmissione di saperi pratici, che si disinteressa del contenuto morale degli insegnamenti, solitamente attribuita ai Sofisti, viene contrapposto il modello proposto da Socrate, basato sulla ricerca spirituale della vera virtù387.