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L’orazione Sulla biga contenuta nel corpus delle orazioni di Isocrate contiene una parte della difesa pronunciata da Alcibiade IV in un processo intentato per un reato commesso dal padre. Quest’ultimo sarebbe stato accusato da un certo Diomede di avergli sottratto il carro con il quale aveva partecipato e vinto alle Olimpiadi del 416. La partenza per la Sicilia, l’esilio ed infine la morte dell’imputato avrebbero impedito lo svolgersi del processo, malgrado un tentativo effettuato durante il periodo del rientro ad Atene nel 407 (vd. Diod. XIII 74). L’accusa sarebbe stata ripresa contro il figlio di Alcibiade, una volta diventato maggiorenne, ma questa volta da Tisia, cognato di Caricle e antico consigliere sotto i Trenta (1 e 42).

Il problema principale di tale ricostruzione è costituito dal nome dell’accusatore che compare nell’orazione in questione, cioè Tisia, mentre le altre testimonianze (Diodoro e lo Pseudo-Andocide) nominano Diomede227: già Plutarco, citando l’orazione di Isocrate (Alc. 12.2-3), notava l’incongruenza tra i nomi senza tuttavia tentare una spiegazione. Alcuni editori (per es. Blass) hanno ipotizzato un errore di Eforo, fonte di Diodoro, tuttavia tale errore non spiegherebbe come mai anche nello Pseudo-Andocide compaia lo stesso nome; Frohberger suppone che Tisia fosse il figlio di Diomede ma non esiste alcuna documentazione in proposito, mentre Mathieu propone che Diomede e Tisia fossero soci nell’affare, tanto più che Diomede nel 408 aveva chiesto otto talenti di risarcimento, e Tisia solo cinque228. L’incongruenza dei nomi resta dunque, allo stato attuale della documentazione, problema insoluto.

La contestazione del reato faceva evidentemente parte di una orazione precedente (1), infatti Isocrate non si sofferma a lungo sulle accuse del processo. La maggior parte dell’orazione è dunque occupata da un elogio di Alcibiade III, descritto come fedele democratico e ottimo cittadino. Vengono esaltati i meriti ottenuti attraverso le imprese diplomatiche e politiche precedenti e successive all’esilio, al fine di allontanare qualunque sospetto di tradimento. Ampio spazio è inoltre dedicato alla difesa dei comportamenti ‘privati’ di Alcibiade, cioè di quelle

227 Ritengo utile schematizzare brevemente le testimonianze su questo fatto:

• Isocrate (XVI 1) afferma che Alcibiade avrebbe comprato i cavalli ad Argo, e che non li avrebbe rubati a Tisia.

L’oratore della Contro Alcibiade ([And.] IV 31) afferma che Alcibiade si sarebbe impossessato dei cavalli di Diomede grazie alla sua influenza sugli agonoteti;

• Diodoro (XIII 74.3) racconta che Diomede avrebbe affidato il tiro ad Alcibiade perché lo accompagnasse ai giochi; quest’ultimo li avrebbe invece registrati a proprio nome, e, dopo la vittoria, non più restituiti.

Plutarco (Alc. 12.2-3) racconta che Diomede avrebbe fatto comprare un tiro di cavalli ad Argo dall’amico Alcibiade (per i rapporti che legavano quest’ultimo alla città), il quale poi li avrebbe iscritti a nome proprio.

azioni che, pur non avendo come palcoscenico la scena politica ateniese, avevano comunque un certo riscontro nell’immagine pubblica del personaggio (cf. supra p. 76). L’oratore effettua inoltre un elogio degli Alcmeonidi, antenati di Alcibiade e fondatori della democrazia, la cui discendenza costituirebbe di per sé una sorta di garanzia dell’atteggiamento politico dell’erede. Vengono inoltre ripercorse alcune delle vicende di cui era stato protagonista e che erano state utilizzate dalla propaganda a lui ostile per descriverlo in modo negativo; attraverso questo elogio si costruisce un’immagine ‘nuova’ rispetto alle precedenti, in cui viene presentato come fedele alla causa democratica al punto di aver scelto volontariamente di condividere le disgrazie di Atene.

Datazione

Per quanto riguarda la data di composizione, gli studiosi sono abbastanza concordi: l’orazione è infatti pronunciata da un Alcibiade IV giovane ma pur sempre dotato di responsabilità giuridica, quindi maggiorenne; l’accusato ricorda di essere stato ancora un neonato quando il padre partì per l’esilio (45), e che a meno di quattro anni avrebbe rischiato di essere messo a morte per l’indignazione degli Ateniesi contro il padre (cf. Lys. XIV 17). Tali indicazioni fanno probabilmente allusione alla fuga di Alcibiade a seguito degli scandali del 415 e alla reazione degli Ateniesi dopo l’occupazione di Decelea nel 413. Ciò collocherebbe la nascita del giovane verso il 417/6229. Il processo sarebbe dunque posteriore al 399/8, anno in cui il giovane avrebbe compiuto la maggiore età. Inoltre lo stesso Isocrate lascia intuire che non si tratta del primo processo a cui il giovane avrebbe preso parte (1). Vi è inoltre un elemento di cronologia negativa da non sottovalutare: manca cioè qualunque accenno alla guerra di Corinto, mentre è ben noto che Alcibiade IV partecipò alla prima campagna di questa guerra svoltasi ad Aliarto nel 395 (vd. infra n. 235)230. Infine il modo in cui l’oratore richiama la sconfitta del 404, la conseguente amnistia (43) e deplora la distruzione delle Lunghe Mura (40), induce a ipotizzare il periodo di tensioni che precedettero immediatamente lo scoppio della guerra di Corinto. I limiti cronologici entro cui collocare l’orazione sono dunque il 399/8 e il 396/5231.

229

Cf. Bizos 1989 217-8.

230 Il fatto che Alcibiade fosse stato arruolato per questa battaglia prova l’assoluzione del giovane: la pena richiesta era infatti il pagamento di cinque talenti (46), che il giovane dichiara di non poter pagare, rischiando pertanto l’ajtimiva come conseguenza del mancato pagamento di un debito (Harrison 1971 174-5).

231

Secondo Treves (1938) sarebbe da preferire il 397, mentre Mathieu (1928, 48), seguito da Medda (1991, 414) e Bianco (1993), ritiene più probabile il 396/5: alla maggiore età bisognerebbe infatti aggiungere i due anni di efebia (Aristot. Ath. 42.4-5); inoltre nel 396 il partito imperialista aveva ormai ottenuto il consenso della città ed in questo mutato clima politico risulterebbe più

Il testo tràdito riporta la seconda parte dell’orazione: mancano infatti la prima parte, che doveva riportare le accuse vere e proprie, alle quali l’oratore accenna solo brevemente (1), ed una terza ed ultima arringa conclusiva. La parte giunta fino a noi costituisce una sorta di encomio di Alcibiade padre, e ciò ha indotto gli studiosi a prendere in considerazione l’ipotesi che si tratti di una rielaborazione letteraria del discorso tenuto di fronte ai giudici. Questa ipotesi trova inoltre conferma nella constatazione di una serie di analogie tra il nostro testo e l’orazione Contro Alcibiade di Lisia (vd. infra pp. 96 ss.); Mathieu (1928, 49) ritiene tuttavia non ci sia bisogno di ritenere che l’elogio tramandato non sia mai stato pronunciato in quanto insolente nei confronti dei giudici232: in quel periodo si riaprì infatti un dibattito proprio intorno alla figura di questo personaggio, come conferma il corpus delle orazioni in questione, e il rinnovato interesse nei confronti di un individuo così controverso avrebbe permesso la declamazione di un discorso tanto partigiano.