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Premesse

All’interno del corpus platonico sono stati tramandati due dialoghi che portano il nome di Alcibiade (I e II), inclusi nella IV tetralogia platonica, insieme all’Ipparco e agli Amanti. L’autenticità dell’Alcibiade II è stata messa in discussione fin dall’antichità e oggi la critica lo ritiene concordemente spurio e databile tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.359 Sulla paternità platonica dell’Alcibiade I invece la critica antica non ha espresso dubbi; i commentatori antichi lo ritennero anzi una sorta di compendio di filosofia platonica, il primo dialogo da leggere per chi si volesse accostare per la prima volta alla filosofia di Platone (vd. Diog. Laert. III 62; Olymp. In Alc. 10.18-11.6; Procl. In Alc. 11.1-21), e per questo motivo fu oggetto di numerosi commentari: quelli di Giamblico, Arpocrazione, Democrito, e Damascio, andati perduti, e quelli di Proclo e Olimpiodoro, giunti fino a noi360.

Problemi sull’autenticità platonica dell’Alcibiade I

Lo Schleiermacher (1804–28, in 2004, 385 ss.) è stato il primo a confutare la paternità platonica del dialogo, motivando la propria diffidenza sulla base della sua eccessiva semplicità. Tale condanna, condivisa, fra gli altri, da Dittmar (1912, 130-152) e, in epoca più recente, da De Strycker (1942) e Dixsaut (1995), ha determinato un generale abbandono degli studi su questo dialogo. Alla base dei dubbi sulla sua autenticità sta il fatto che esso presenti caratteristiche proprie di tutte e tre le fasi in cui la critica moderna suddivide gli scritti platonici, da un punto di vista sia stilistico che contenutistico361: da un lato infatti la sua struttura,

359 Già Ateneo (XI 506e) ricordava che alcuni critici antichi attribuivano questo dialogo a Senofonte; inoltre il confronto con l’Alcibiade Maggiore avrebbe mostrato la sua posteriorità ed anche l’intento di plagio; infine studi linguistici confermerebbero la datazione tarda, vd. Souilhé 1923, 3-18.

360 Al commentario di Giamblico fa riferimento Proclo (In Alc. 11, 14-18 9 Segonds = fr. 1 Dillon), mentre gli altri sono citati da Olimpiodoro: In Alc. 48.26 (33 Westerink) fa riferimento al commento di Arpocrazione; In Alc. 105.17-107.2 (70 Westerik) fa riferimento a quello di Democrito in merito ad una divergenza fra quest’ultimo e Giamblico in merito all’attribuzione di una battuta; Olimpiodoro fa inoltre spesso riferimento al commento di Damascio, soprattutto per quanto riguarda le sua divergenze da Proclo. Per una panoramica sulle letture ed i commenti all’Alcibiade vd. Segonds 1985 X-CXXV.

361 Guthrie (1975, 42-54) fornisce una panoramica dei criteri utilizzati per determinare l’ordine di composizione dei dialoghi in ordine crescente di oggettività, cioè letterario, filosofico, stilometrico

con Socrate che conduce un dialogo serrato con un solo interlocutore lasciandolo sconcertato, è tipica dei dialoghi aporetici del primo periodo come il Carmide o l’Eutifrone; dall’altro questo Alcibiade, privo com’è di una vera e propria caratterizzazione del personaggio e di ogni riferimento contestuale, ridotto alla semplice esposizione della dottrina e privo di qualunque esitazione, ricorda invece i dialoghi dell’ultimo periodo. Il contenuto filosofico, poi, sembra indicare un momento intermedio della produzione platonica: per esempio, l’idea che la vera natura dell’uomo risieda nella sua anima (130 c1-3)362 o che la vera saggezza consista nella conoscenza e nel controllo di sé (131 b4-5)363, o la teoria delle quattro virtù cardinali sottintesa nel confronto con i re persiani (121c-e)364 compaiono solo in dialoghi posteriori365. Alcuni studiosi hanno finito inoltre per considerarlo ‘troppo platonico’ (vd. Heidel 1896, 62, e più recentemente Dixsaut 1995, 377 e Gribble 1999, 261) al punto da considerarlo piuttosto un commentario o un riassunto composto da un allievo. Inoltre Hatzfeld (1940, 39-44.), seguito da altri, ha sollevato problemi riguardo la verosimiglianza storica: l’ambientazione drammatica del dialogo presenta infatti alcune incongruenze.

Alcibiade viene presentato non ancora ventenne (123d) e questo elemento porrebbe la data drammatica del dialogo intorno al 433366. Tale ambientazione concorda con il riconoscimento dell’egemonia di Pericle (104b), giunto all’apice del potere proprio in quegli anni, ma si scontra con altri anacronismi: il filosofo ricorda per esempio Archidamo e Agide, entrambi re (124a oi{ pavnte bailh` gegovnain), mentre quest’ultimo non lo sarebbe diventato che tra il 427 e il 426 (vd. Thuc. III 89.1, cf. III 1.1). Inoltre viene citato un verso dell’Ippolito di Euripide (113c), rappresentato nell’inverno del 428. D’altra parte pare poco verosimile che un cittadino ateniese potesse partecipare alla vita politica di Atene (vd. 106c

umbouleuvwn) prima di aver adempiuto gli obblighi militari: il dialogo

dovrebbe essere quindi posto almeno dopo la battaglia di Potidea del 432 a.C.; tuttavia nel Simposio viene detto espressamente che Socrate e

e sulla base di riferimenti a eventi storici esterni o di relazioni tra diversi dialoghi, mostrando come l’ultimo sia in definitiva l’unico in grado di fornire informazioni utili e non contraddittorie. 362 Questa idea presuppone infatti l’acquisizione della distinzione tra anime a corpo; «or, quand on se souvient de la peine que Platon prend dans le Phédon pour démontrer ces deux points, on est peu disposé à admettre que, dans un dialogue antérieur, il a voulu les considérer comme acquis» (de Strycker 1942, 148).

363 Vd. de Strycker 1942, 146: «Je dois dire […] que cette combinaison d’éléments métaphysique e psycho-physiologique me paraît plutôt dans l’esprit du Timée que dans celui des premières dialogues» (de Strycker 1942, 149).

364 Vd. De Strycker 1942, 146: «Avant Platon, la liste n’en était point fixée, et, dans les premiers dialogues, nous constatons qu’elle reste flottante tant pour le nombre que pour l’individualité des vertus enumerées. Ce n’est que dans la République qu’elle reçoit sa forme définitive qui, reprise par Aristote, fut transmise par lui à la Scolastique».

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Inoltre Carlini (1962-1963, 168-171) espunge due brani (133d1-134e7 e 133c1-17) nel quale si trovano esposte teorie mistiche difficilmente attribuibili non solo a Platone ma ad un qualunque autore del IV secolo.

Alcibiade si conoscevano già prima della campagna367, mentre nel dialogo in questione il primo dichiara esplicitamente di non aver mai avvicinato precedentemente il secondo (103a ejgw; de; toouvtwn ejtw`n oujde;

proei`pon). Vi sono anche altre incongruenze nell’eventuale datazione

drammatica: l’elogio della ricchezza degli Spartani (121b), per esempio, pare inappropriato se riferito al V secolo, dal momento che Sparta faceva della frugalità uno degli argomenti forti della propria propaganda in contrasto con l’eccessivo sfarzo ateniese368; anche l’accenno alla castità delle donne spartane (121b) potrebbe celare una velata allusione alla tresca di Alcibiade con la moglie di Agide, episodio che compare solo in un momento più tardo della tradizione sul giovane369. Bisogna ad ogni modo sottolineare che non vi è alcun accenno diretto alla pretesa virtuosità delle donne spartane, ma solo all’efficienza delle leggi che prevedevano un controllo preventivo da parte delle istituzioni per evitare che nascessero figli illegittimi370. Nel corso del dialogo vi sono inoltre altri aneddoti che fanno pensare a un momento più tardo della tradizione aneddottica su Alcibiade, come il suo rifiuto di suonare l’aulo (106e6-7, cf. Plut. Alc. 2.5-7; contra Duris FGH 76 fr. 29), il nome del suo tutore Zefiro (122b), le terre possedute ad Erchia (123c), la genealogia mitica della sua famiglia (121a).

Alcuni elementi ‘drammatici’ inoltre sono in contrasto con altri passi platonici. Alcibiade viene per esempio presentato come un personaggio sottomesso e sciocco (109 a8, 112 d10, 113 b12, 116 e1-3, 118 a1, 108a10-12), mentre nel Protagora mostra una sicurezza ben diversa (336b-e, 348b-c), che è del resto condivisa dall’immagine brillante presentata nel Simposio371. Vi è infine un’ultima considerazione che riguarda l’intento apologetico del testo: pare infatti poco comprensibile il fatto che che il primo incontro tra il filosofo e il giovane sia ambientato poco prima dell’ingresso di quest’ultimo nella vita pubblica, cioè proprio nel momento in cui – secondo i difensori del filosofo, di cui ovviamente Platone fa parte – le azioni di Alcibiade si allontanarono dagli insegnamenti socratici372.

367 Vd. 219e tau`tav te gavr moi a{panta prougegovnei, kai; meta; tau`ta trateiva hJmi`n eij~ Poteivdaian ejgevneto koinhv, con riferimento al racconto dei vari tentativi, da parte di Alcibiade, di sedurre il filosofo (217a-219e).

368 Solo a partire dal 370 infatti Sparta cominciò a ricevere i tributi dagli alleati (Xen Hell. V 2.21-2). Socrate richiama due cliché sugli Spartani: la corruzione (cf. Hdt. VI 72 e 82, Thuc. I 131) e la mancanza di circolazione monetaria, pratica che era sancita da una legge molto antica (Xen.

Lac. 7.3-8.1).

369 Vd. supra n. 113.

370 Secondo Hatzfeld (1940, 43-44, le parole del filosofo non possono far riferimento a questo aneddoto poiché assumerebbero in questo caso un tono ironico, che manca invece al passaggio. Conclude quindi: «s’il y a introduit innocemment cette phrase malencontreuse à laquelle les événements avaient donné par avance le plus éclatant dementi, c’est qu’il l’a écrite en un temps où l’aventure galante d’Alcibiade (…) n’était plus connue que de quelques érudits».

371 Inoltre il rapporto tra Alcibiade e Socrate è capovolto rispetto a come viene presentato nel

Simposio, vd. infra p. 156.

372 Senofonte (Mem. I 1.24), in un tentativo di difendere il maestro dalle accuse che lo vedevano coinvolto nell’attività di Alcibiade e Crizia, racconta infatti che il rapporto tra i due si sarebbe interrotto proprio nel momento in cui il giovane sarebbe entrato in politica.

I dubbi avanzati sulla sua autenticità hanno quindi determinato uno slittamento in avanti della datazione: Dittmar (1912, 113-5 e 130-53) sottolinea una serie di paralleli tra questo dialogo e opere di altri socratici373, proponendo quindi di collocare la composizione di questo testo tra il 340 e il 330, ad opera di un accademico, debitore nei confronti di Eschine (autore anch’egli di un

Alcibiade), del Senofonte dei Memorabili, e di altri socratici come Antistene,

autore di un altro Alcibiade374.

Sostenitori dell’autenticità platonica del dialogo

A fronte di questa corrente contraria al riconoscimento della paternità platonica del dialogo – che ha determinato un certo disinteresse da parte della critica moderna – si è rafforzata negli ultimi anni una tendenza opposta che ne sostiene invece l’autenticità. A partire da Friedländer (1921, ripreso in 1964, 214- 220), che ha rivalutato la tesi della paternità platonica, in generale la critica contemporanea non ritiene vi siano motivi sufficienti per rifiutarne l’autenticità375. Le incongruenze derivanti dalla difficile collocazione del dialogo all’interno del

corpus platonico sono state infatti rivalutate: Denyer (2001, 23) afferma ad

esempio «since the standard chronology for Plato was not itself formulated until the late nine-teenth century, after the Alcibiades had been excluded from the canon of Plato’s authentic works, we cannot, without begging the question, simply assume the correctness of the standard chronology in an argument to show that the

Alcibiades deserves to be excluded». D’altra parte ritengo che le incoerenze

‘drammatiche’ precedentemente messe in evidenza non possano essere considerate un argomento valido per escludere l’autenticità: non è raro che Platone commetta imprecisioni dovute talvolta a errori in buona fede, o determinate da un intento specifico376. Da parte sua Pradeau (2000, 24-29) mostra

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Croiset (1920, 49) suggerisce invece che i parallelismi riscontrati tra questi testi si spieghino anche ammettendo l’ipotesi opposta, cioè che l’opera di Platone abbia costituito il modello per gli altri. Anche Giannantoni (1997, 370-373) sostiene la dipendenza di Eschine da Platone.

374 La scuola anglosassone ha inoltre tentato la strada dell’analisi stilometrica, senza giungere tuttavia a risultati definitivi; vd. Denyer (2001, 17-20) che fornisce una panoramica di questi studi. Un esempio è fornito da Clark (1955), il quale suddivide il dialogo in due parti: i primi due terzi sarebbero di un allievo di Platone, mentre la parte finale sarebbe di Platone stesso, scritta più o meno nel periodo della Repubblica.

375 Vd. in particolare l’edizione di Carlini (1964) e quella di Denyer (2001). Per uno sguardo complessivo si veda la tavola riassuntiva sulle diverse posizioni riguardo l’autenticità del dialogo proposta da Pradeau (2000, 219-220), infra Figura 2.

376 Montuori (1998, 145) sottolinea la disinvoltura del filosofo riguardo le questioni cronologiche e cita l’esempio del Menesseno, in cui Socrate cita un epicedio di Aspasia (morta prima del 400), che avrebbe composto in onore dei soldati morti a Corinto nel 396. Anche Croiset (1923, 100) ricorda la stessa scarsa attenzione che Platone mostra nel Gorgia nei confronti delle questioni cronologiche nel Gorgia.

l’inconsistenza dei dubbi riguardanti i contenuti filosofici del testo. La maggior parte degli studiosi moderni concorda quindi nel ritenere che non vi siano validi motivi per dubitare dell’autenticità.

Sono state fatte varie proposte per inserire questo dialogo all’interno dell’opera platonica. Denyer (2001, 11-14) suggerisce di collocarne la composizione intorno al 350: Platone, ormai vecchio e disilluso dopo l’esperienza siciliana, avrebbe composto il dialogo per esporre le proprie riflessioni sui rischi connessi ai tentativi di indirizzare alla filosofia un giovane ben dotato, ma tuttavia sensibile ai richiami allettanti della politica. Per questo motivo avrebbe composto una sorta di manuale di filosofia in cui esponeva in modo dialettico – e non trattatistico – le proprie idee. Tuttavia, la proposta di datazione che negli ultimi anni pare raccogliere più consensi è quella che colloca la composizione del dialogo in una fase precedente della produzione platonica. Già Croiset (1920, 49) suggeriva il periodo di Megara: nei primissimi anni del IV secolo Atene si trovava in uno stato di impotenza e demoralizzazione, mentre l’immagine di Sparta vittoriosa e il prestigio dei re persiani suscitavano grande ammirazione; Platone, che auspicava un cambiamento morale, avrebbe quindi confrontato due impostazioni politiche divergenti, da un lato quella ambiziosa di Alcibiade, e dall’altro quella morale di Socrate; le idee esposte sarebbero quindi autenticamente socratiche, e Platone non avrebbe aggiunto molto di suo. Pradeau (2000, 21-22) accetta invece la datazione proposta da Friedländer (1921, ripreso in 1964, 214-226) secondo il quale l’Alcibiade non andrebbe considerato un’opera giovanile, poiché contenutistiamente si può ritenere contemporanea del Gorgia (senza entrare nel merito della recensiorità dell’uno sull’altro): entrambi i dialoghi fornirebbero infatti una soluzione ai problemi politici, etici e psicologici presenti anche nella Repubblica e si inserirebbero in un gruppo di cui fanno parte anche il

Menone e l’Eutidemo e databili al tempo del rientro dal primo viaggio in Sicilia e

alla fondazione dell’Accademia.

Obiettivi del capitolo

Il dialogo racconta dunque di un ipotetico primo incontro tra Socrate e Alcibiade, avvenuto alla vigilia dell’ingresso nella vita politica di quest’ultimo: durante tale colloquio il maestro avrebbe impartito al giovane i primi insegnamenti. Attraverso questo espediente narrativo l’autore può indagare le origini del rapporto tra i due e sviluppare il pensiero socratico in modo da confutare le accuse fatte ai suoi insegnanto. Le Accuse di Policrate – che fanno probabilmente parte di un dibattito diffuso su una eventuale responsabilità (morale, se non politica) del maestro nella corruzione di Alcibiade, e per

estensione di tutta la gioventù atenies – spostarono infatti l’attenzione sul rapporto tra questi due personaggi. L’analisi di questo dialogo ha quindi per oggetto la rielaborazione letteraria che l’immagine di Alcibiade subì all’interno della cerchia platonica in funzione del suo rapporto con Socrate. L’autore trae spunto da una immagine che si era creata negli anni precedenti (analizzata nei primi due capitoli), tuttavia modificata così da perdere i significati politici che aveva ricoperto nelle orazioni e da rispondere alle esigenze filosofiche e letterarie del dialogo platonico377. La rappresentazione di questo personaggio diventa quindi uno strumento per riflettere sulle modalità e sui contenuti dell’insegnamento di Socrate, al fine di controbattere le accuse che lo avevano dipinto come corruttore della gioventù e divulgatore di empie dottrine sofistiche.