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Già alla fine del V secolo, e ancora di più all’inizio del IV, l’immagine di Alcibiade aveva subito una serie di trasformazioni che avevano enfatizzato la sua superiorità rispetto ai concittadini, dando luogo allo sviluppo di una immagine quasi mitica378. Egli si sarebbe distinto all’interno della città grazie alle proprie qualità innate superiori (come bellezza, ricchezza, forza fisica e nobiltà di nascita), che avevano provocato da un lato comportamenti positivi, effetto della sua nobiltà d’animo (megaloyuciva), dall’altro atteggiamenti aggressivi, derivanti dalla coscienza della propria superiorità di fronte alla comunità. Ciò che lo aveva reso fuori dal comune infatti era soprattutto il desiderio di emergere sempre al di sopra dei propri concittadini, e proprio questo desiderio lo aveva portato a compiere azioni straordinarie nel bene o nel male. Il dialogo platonico esalta ancora una volta tale eccezionalità, che tuttavia compare solo ‘in potenza’, viene cioè ‘interiorizzata’ attraverso una tendenza tipica della riflessione platonica, che puntava l’attenzione sulle qualità dell’anima piuttosto che sulle azioni concrete.

È Socrate a presentare Alcibiade e a darne una prima descrizione (104a-c), attraverso la quale vengono elencate prima le doti fisiche, poi quelle spirituali. L’elenco dei pregi dell’amato costituisce un topos della letteratura amorosa (vd. Denyer 2001, 85), tuttavia in questo caso non è l’amante a rendersene garante, ma è l’amato stesso a vantarsene. Le qualità che contraddistinguono la descrizione di Alcibiade sono dunque la ricchezza (104c), il fatto di discendere da una nobile

377 Havelock (1996, 51 ss.) colloca la creazione di personaggi pseudo-storici come Alcibiade e Socrate – cioè individui realmente vissuti, ma la cui immagine letteraria viene alterata in base all’intento dell’autore – all’interno del processo che segna il passaggio dalla cultura orale a quella scritta, riconoscendo il debito platonico nei confronti dei modelli tragici e comici.

378 Gernet (1931, 326) definisce la tradizione su questo personaggio ‘légendaire’ già a partire dall’orazione dello Pseudo-Andocide.

famiglia (121a) e la bellezza fisica (104 a-b). A questa serie di doti ‘esteriori’ si aggiunge anche il coraggio: Alcibiade afferma infatti oujde; zh`n a]n ejgw; dexaivmhn

deilo; w[n (115d). La sua rappresentazione segue pertanto i canoni tradizionali

dello statuto dell’eroe aristocratico379. Proprio queste doti avrebbero determinato l’arroganza e la superbia a causa delle quali avrebbe finito per allontanare tutti gli amanti, tranne Socrate (103b, 119b-d): la grandezza d’animo (megalofrosuvnh), che derivava dalla consapevolezza della propria superiorità, lo aveva indotto infatti a ignorare gli insegnamenti dei propri maestri, sia quelli di Pericle sia quelli dello stesso Socrate, in quanto avrebbe giudicato la propria fuvi sufficiente per governare i concittadini (119b). Attraverso le parole di Socrate, Alcibiade esprime poi le proprie ambizioni: desiderava conseguire grandi onori in città e ottenere in questo modo un immenso potere su Atene, sui Greci tutti, sugli stranieri continentali, ed infine sull’Europa intera fino all’Asia:

Plat. Alc. 105 a-e hJgh`æ, eja;n qa`tton eij to;n ÆAqhnaivwn dh`mon

parevlqhæ – tou`to d’e[eqai mavla ojlivgwn hJmerw`n – parelqw;n ou\n ejndeivxeqai ÆAqhnaivoi o{ti a[xio ei\ tima`qai wJ ou[te Periklh` ou[tÆ a[llo oujdei; tw`n pwvpote genomevnwn, kai; tou`tÆ ejndeixavmeno mevgiton dunhvseqai ejn th`æ povlei, eja;n dÆ ejnqavde mevgisto h\æ, kai; ejn toi`~ a[lloi ÓEllhi, kai; ouj movnon ejn ÓEllhin, ajlla; kai; ejn toi`~ barbavroi, o{oi ejn th`æ aujth`æ hJmi`n oijkou`in hjpeivrwó. kai; eij au\ oi ei[poi oJ aujto; ou|to qeo; o{ti aujtou` e dei` dunateuvein ejn th`æ Eujrwvphæ, diabh`nai de; eij th;n ÆAivan oujk ejxevtai oi oujde; ejpiqevqai toi` ejkei` pravgmain, oujk a]n au\ moi dokei` ejqevlein oujdÆ ejpi; touvtoi movnoi zh`n, eij mh; ejmplhvei tou` ou` ojnovmato kai; th`~ h` dunavmew pavnta wJ e[po eijpei`n ajnqrwvpou.

«Tu pensi che, non appena ti presenterai al popolo ateniese (e questo sarà tra pochissimi giorni), presentandoti dunque, farai vedere agli Ateniesi che sei degno di essere onorato come né Pericle né alcun altro fra quanti mai furono, e dopo aver fatto vedere questo pensi che avrai grandissimo potere nella città e che, se sarai il più potente qui, lo sarai anche fuori fra gli altri Elleni e non solo fra gli Elleni, ma anche fra i barbari, quanti abitano nel nostro continente. E se poi questo stesso dio ti

379 In effetti le testimonianze antiche concordano nel ricordare il coraggio di Alcibiade in battaglia (vd. Symp.220d-e, Isocr. XVI 29, Antisth. fr. 200 SSR). Solo Lisia (XIV 38) contesta questa notizia, ma si tratta di una testimonianza poco attendibile, dato l’intento polemico dell’oratore nei confronti del personaggio (vd. supra p. 101).

dicesse che devi esercitare il tuo potere, in Europa, e che non ti sarà consentito di passare in Asia né di por mano alle cose di là, a me sembra che neppure per queste cose soltanto vorresti vivere, se non potrai riempire del tuo nome e della tua potenza per così dire tutti gli uomini».

Si tratta di ambizioni di carattere egemonico che richiamano alla memoria i propositi espansionistici che Tucidide aveva percepito alla vigilia della spedizione in Sicilia (VI 15.2, 18.3, 90.3, vd. supra p. 46); tuttavia, nel corso del dialogo, Socrate precisa a quale duvnami egli ritenga che Alcibiade dovesse mirare. L’intenzione espressa dal giovane sarebbe quella di presentarsi all’assemblea degli Ateniesi per dare consigli (106c umbouleuvwn) sulla guerra o sulla pace o su altri argomenti che riguardavano la città (107c-d peri; tw`n eJautw`n

pragmavtwn, […] peri; polevmou […] peri; eijrhvnh h] a[llou tou tw`n th` povlew pragmavtwn), egli manifesterebbe cioè il desiderio, del tutto accettabile,

di prendere parte attiva alla vita politica della democrazia ateniese. Tuttavia gli insegnamenti di Socrate, pur riguardando l’àmbito politico, assumono un valore morale e il maestro si interpone tra Alcibiade e la politica, svelando l’effettiva ignoranza del giovane: nonostante le sue ambizioni, egli risulta privo della conoscenza necessaria per dedicarsi al bene della città, non essendo ancora in grado di riconoscere il proprio bene personale. Il filosofo lo esorta dunque a cercare di perseguire innanzi tutto la virtù, e solo dopo averla conseguita di dedicarsi all’attività politica (117e, 120e, cf. Symp. 215d; vd. infra p. 154).

Alcibiade una natura filosofica?

Molti commentatori moderni hanno sottolineato come la descrizione di Alcibiade sembri modellata sulla cosiddetta filovofo fuvi delineata da Platone all’interno della Repubblica (489d-502c)380: al fine di scagionare i filosofi dalle accuse di malvagità e corruzione di cui erano fatti oggetto (490a), Socrate avrebbe descritto il modo in cui individui ben dotati per natura, qualora giustamente indirizzati, avrebbero potuto ambire al conseguimento della perfezione, cioè a diventare kaloi; kajgaqoiv (489e-490a). Il filosofo riconosce come persone di tal sorta nascano solo di rado (491b), vivano poi alimentate dalla ricerca della verità, abbiano un carattere sano, giusto e saggio (490c uJgiev te kai;

divkaion h\qo, w/| kai; wfrouvnhn e{peqai), e siano dotate di coraggio,

380 Vd. per esempio Adam (1963, 25-7) il quale sottolinea in particolare la somiglianza tra la descrizione generale di questa natura all’interno del VI libro (494c-495b) e quella di Alcibiade (Alc. 104a-b): «plouvio–mevga describe Alcibiades exactly».

magnanimità, prontezza nell’apprendere e memoria (490c ajndreiva,

megaloprevpeia, eujmavqeia, mnhvmh, cf. 494b). Qualora una tale natura, definita

‘filosofica’, riceva una buona educazione, essa può dunque facilmente conquistare la vera virtù (492a); al tempo stesso tali individui, proprio per le loro doti straordinarie, possono venire avvicinati e corrotti, e diventare pertanto assolutamente dannosi per la città. Tali nature filosofiche diventano infatti facilmente vittime di cattivi educatori: si tratta di sofisti, abituati ad eccitare le folle con i loro discorsi (492b-c), e profittatori che tentano in ogni modo di persuadere queste persone adulandole per le loro doti eccezionali e facendole inorgoglire ed allontanare dalla filosofia (491b-c). Privati di una corretta educazione, essi diventano arroganti e finiscono per credere di poter dominare i Greci ed i Barbari (494b-e), diventano quindi tiranni, cioè uomini dotati di eccezionali qualità, filosofi ‘potenziali’ (vd. Giorgini 2005, 454), allontanati purtroppo dalla ricerca della verità da cattivi educatori come i sofisti ed i demagoghi. Tali nature eccezionali possono dunque danneggiare al massimo grado la città, ma, al tempo stesso, se riescono a fuggire alle insidie di questi uomini, possono diventare benefattrici della propria patria:

Plat. Rep. 495b kai; ejk touvtwn dh; tw`n ajndrw`n kai; oiJ ta;

mevgita kaka; ejrgazovmenoi ta; povlei givgnontai kai; tou; ijdiwvta, kai; oiJ tajgaqav, oi} a]n tauvthæ tuvcwi rJuevnte:

«Ed è appunto dalle fila di quegli individui che vengono i responsabili delle peggiori sciagure, sia per gli Stati che per i cittadini; ma nel contempo anche i responsabili dei beni più grandi, se il corso del destino li orienta in questo senso».

È difficile negare la somiglianza tra il ritratto di queste ‘nature filosofiche’ e la descrizione di Alcibiade, che sembra costituire per l’appunto una sorta di esempio storico del modello teorico (cf. Giorgini 2005, 449). La rappresentazione platonica attinge infatti ad una tradizione che presentava questo personaggio in modo ambiguo: da un lato ‘tiranno’, dall’altro salvatore della città; l’elaborazione filosofica che si appropria di questa immagine si inserisce quindi all’interno del processo di elaborazione teorica della ‘natura filosofica’ che compare nella

Confronto tra la paideiva ateniese e quella persiana e