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Fin dalle testimonianze contemporanee è chiaro il fascino esercitato dal personaggio di Alcibiade, che ha poi continuato a godere di larga fortuna in tutta la letteratura antica, stimolando molteplici interpretazioni delle sue imprese: nell’intento di presentarlo come il distruttore o il salvatore di Atene, tale letteratura ha infatti rielaborato la sua immagine creando una serie di aneddoti che si allontanano sempre più dalla realtà storica per sfumare quasi nella leggenda. All’interno di questa varietà di rappresentazioni, il dato comune che emerge dai testi presi in esame è la straordinarietà: Alcibiade appare infatti sempre come un individuo eccezionale, che emerge al di sopra della comunità dei suoi concittadini grazie alle proprie doti naturali e alle proprie azioni.

Il presente lavoro ha cercato, a partire dalle raffigurazioni letterarie che del personaggio furono realizzate da autori a lui più o meno contemporanei, di individuare il sistema di valori di cui esse sono espressione. Le rappresentazioni di Alcibiade diventano infatti un mezzo per esprimere le tensioni e le ambiguità della società ateniese: attraverso il ritratto che i diversi autori realizzano è possibile individuare alcuni elementi del sistema di rappresentazioni che la città produsse di sé in un momento tanto cruciale della propria storia, a cavallo tra il V ed il IV secolo a.C. Tali rappresentazioni finiscono per incarnare i rischi o le speranze delle diverse fazioni politiche: egli diventa simbolo della politica imperialista che nella seconda metà del V secolo aveva reso grande Atene, ma che ne aveva al contempo reso inevitabile la sconfitta; la sua immagine viene quindi evocata come rischio o speranza, da quanti temevano o auspicavano una ripresa dell’attività espansionistica e anti-spartana di Atene. Al tempo stesso, per giustificare la popolarità di cui evidentemente il giovane comandante aveva goduto finché era in vita, e che la sua memoria continuava a suscitare negli Ateniesi, la sua immagine assume connotati demagogici: egli diventa cioè un modello di quella corrente politica, costituita da individui che esercitarono una forte influenza politica sull’Assemblea ateniese, mossi non dalla volontà di essere d’aiuto alla città, ma dall’ambizione e dal desiderio di raggiungere obiettivi personali.

L’elaborazione dell’immagine di Alcibiade non si muove solo in chiave politica: la sconfitta di Atene contro Sparta aveva palesato il fallimento di un intero sistema istituzionale ed ideologico - quello democratico - con il quale la città aveva finito, nel corso del V secolo, per identificarsi completamente; oltre alla sconfitta militare gli Ateniesi dovettero quindi affrontare anche il fallimento di un modello di comportamento, quello del polivth, membro della città democratica per eccellenza, che metteva se stesso al servizio del bene comune. La riflessione sull’immagine di Alcibiade si inserisce dunque nel processo di

elaborazione di una nuova identità politica: le diverse rappresentazioni del giovane vengono infatti manipolate in modo da diventare un modello di comportamento, in positivo o in negativo a seconda dei casi. Da un lato il giovane incarna il modello del giovane aristocratico che eccelle grazie a qualità innate, come ricchezza, buona nascita, bellezza e prestanza fisica, alle quali si aggiunge sempre qualcosa che lo rende superiore a chiunque altro, nel bene come nel male: per Tucidide si tratta di uno straordinario desiderio di eccellere; per Andocide e Lisia sono invece i comportamenti paravnomoi a porlo sempre al di sopra, e al di fuori, della comunità; per Isocrate, al contrario, la sua incredibile dedizione al bene dei concittadini lo avrebbe reso indispensabile alla salvezza della città; per Platone, infine, l’interessamento di Socrate sarebbe giustificato dal riconoscimento della natura filosofica del giovane Alcmeonide, potenzialmente un ‘filosofo’, cioè un individuo in grado di raggiungere la vera virtù, se convenientemente educato. Tuttavia proprio l’eccezionalità che nessuna delle testimonianze analizzate pare voler negare (escludendo il tentativo, peraltro mal riuscito, della Contro Alcibiade per diserzione di Lisia, che si spiega tuttavia con il contesto giudiziario e denigratorio dell’orazione) avrebbe determinato il sorgere delle accuse di ambire alla tirannide di cui egli fu, fin da subito, oggetto; in questo contesto però la tirannide non indica un vero e proprio regime politico basato sul potere personale di un solo individuo, quanto piuttosto un modello di comportamento prepotente e assolutista, che tende a sopraffare la sovranità esercitata dal demos.

Attraverso l’analisi di queste rappresentazioni ho dunque cercato di mettere in luce come esse subiscano dei cambiamenti in risposta ai diversi contesti in cui vengono evocate. Le diverse rappresentazioni di Alcibiade si fanno cioè di volta in volta veicolo di valori particolari, propri dei diversi contesti letterari, storici, culturali, politici e filosofici in cui si sviluppano. Quella che emerge dalle Storie tucididee è per esempio un’immagine costruita ‘a caldo’: si tratta di una rappresentazione connotata in senso fortemente politico, attraverso la quale lo storico mostra i rischi comportati dall’emergere di una nuova classe politica (di cui Alcibiade sarebbe un esponente), formata da individui mossi solo da interesse personale, che succedettero a Pericle e furono – nell’ottica tucididea – i responsabili della sconfitta di Atene e del fallimento del sistema democratico. Tuttavia il giudizio dello storico non pare univoco, poiché il comportamento egoistico del giovane pare in un certo modo giustificato dalla sua stessa eccezionalità. Per questo motivo l’immagine di Alcibiade viene ad un certo punto rivalutata, come risulta evidente dal giudizio che nel cosiddetto testamento di Pericle viene espresso dal narratore nei confronti della spedizione in Sicilia, il cui fallimento viene attribuito al richiamo di colui che l’aveva promossa a causa di

litigi personali: si tratta di un chiaro riferimento al richiamo di Alcibiade a seguito degli scandali religiosi del 415 a.C. (Thuc. II 65.11). Un giudizio positivo è inoltre espresso in modo inequivocabile nella parte finale delle Storie, che riporta l’opposizione di Alcibiade al regime oligarchico dei Quattrocento (Thuc. VIII 86.4), anche se lo stato non definitivo dell’ottavo libro rende difficile una valutazione complessiva.

Le tre orazioni analizzate (l’orazione Contro Alcibiade dello Pseudo- Andocide, l’orazione Sulla biga di Isocrate e l’orazione Contro Alcibiade per

diserzione di Lisia) rielaborano invece l’immagine di Alcibiade alla vigilia della

ripresa delle ostilità di Atene. Mentre la prima nasce fin dall’inizio come testo fittizio, le altre due hanno origine in àmbito effettivamente giudiziario, ma vengono successivamente rielaborate in modo da costituire una risposta all’altra. L’uso di argomenti comuni e le rielaborazioni a cui questi testi vengono sottoposti testimoniano l’esistenza di un dibattito che si sviluppa in quegli anni intorno alla memoria di Alcibiade, di cui le nostre tre orazioni sono probabilmente solo un campione. Pur partendo da un contesto realmente giudiziario, e rispondendo pertanto ad esigenze contingenti, l’immagine di Alcibiade viene rimodellata in relazione al dibattito, che si articola intorno ad argomenti più generali: le diverse rappresentazioni del giovane comandante veicolano infatti i rischi e le speranze che la ripresa dell’attività aggressiva di Atene evocava nei contemporanei. Inoltre l’immagine di Alcibiade viene presentata in modo da costituire un modello di comportamento privato e politico, positivo o negativo a seconda del caso. Attraverso tali rappresentazioni, l’immagine letteraria del giovane si allontana sempre più dalla sua effettiva sostanza storica – e viene per questo associato ad eventi a lui estranei, come l’eccidio dei Melî o il governo dei Trenta Tiranni – ma conserva comunque una valenza politica concreta: le riflessioni su Alcibiade veicolano elementi pertinenti al dibattito e alle riflessioni sull’elaborazione di una nuova identità politica.

Un punto di svolta nella tradizione letteraria su Alcibiade è costituito invece dal legame che alcuni testi istituiscono tra lui e Socrate. Le testimonianze coeve alla loro vita sembrano infatti ignorare completamente ogni relazione tra i due: Tucidide e gli oratori non fanno parola del filosofo, e Aristofane, che pure nomina entrambi, non mette mai Alcibiade sulla scena, e soprattutto non lo pone in relazione a Socrate. Solo a partire da un momento posteriore al famoso processo del 399 – momento che potremmo identificare per comodità, ma non necessariamente, con la pubblicazione delle Accuse di Policrate, successive al 392 – il rapporto tra i due personaggi diventa centrale nella biografia di entrambi. Gli accusatori di Socrate gli attribuirono infatti la responsabilità delle malefatte compiute dal suo giovane allievo; a queste accuse risposero i discepoli del maestro che tentarono di scagionarlo, dando luogo ad un acceso dibattito di cui

sono testimonianza la quantità di dialoghi post-socratici intitolati Alcibiade, fra cui i due appartenenti al corpus platonico. L’analisi di una parte delle testimonianze post-socratiche (i Memorabili di Senofonte e l’Alcibiade Maggiore platonico) ha messo in luce l’esistenza di due principali strategie difensive, antitetiche fra loro, adottate al fine di scagionare il maestro dalle accuse di aver corrotto la gioventù ateniese: da un lato Senofonte si dimostra del tutto severo nei confronti del giovane Alcibiade, il quale, animato fin da subito da un intento malevolo, insieme a Crizia si sarebbe avvicinato al maestro al solo scopo di apprendere l’arte di parlare, e poi utilizzare questa abilità per il conseguimento di interessi personali. Dall’altro lato, Platone difende la buona predisposizione naturale di Alcibiade: il maestro si sarebbe avvicinato al giovane di propria iniziativa, avendo notato le straordinarie qualità naturali di cui il giovane era dotato; nel corpus platonico il rapporto fra i due assume dunque un carattere erotico, del tutto sconosciuto a Senofonte. Tuttavia, malgrado gli sforzi del maestro per introdurre il giovane sulla strada della vera virtù, quest’ultimo avrebbe finito per soccombere alle lusinghe del demos, che lo avrebbero spinto ad entrare in politica prima di aver completato la propria educazione: Socrate viene così del tutto scagionato dalle accuse di aver corrotto il giovane con i propri insegnamenti, accuse che ricadono invece sul demos ateniese. All’interno dell’opera platonica Alcibiade diventa dunque un’immagine del tutto simbolica, ed in tal veste compare nel Simposio: vi compare quale modello esemplare del giovane ben dotato, ma incapace di cogliere fino in fondo il senso e le finalità del discorso di Socrate. Attraverso la riflessione platonica su questo personaggio è inoltre possibile intravedere alcuni elementi che contribuiranno all’elaborazione della teoria presentata nella Repubblica, in cui vengono descritti i pericoli incontrati dalla natura filosofica, qualora sia allontanata dalla ricerca della vera virtù dagli adulatori e dai sofisti: invece di giovare alla salvezza della città, essa finisce infatti per diventare il suo peggior pericolo, poiché, corrotta da un eccesso di libertà, si abbandona ai comportamenti più depravati.

La centralità che tali riflessioni post-socratiche assumono nelle rappresentazioni di entrambi questi personaggi appare evidente nell’uso che ne viene fatto da Plutarco: il biografo attinge infatti a testimonianze a noi in parte sconosciute, ma di cui è possibile talvolta risalire all’archetipo. Alcune delle tematiche prese in esame affondano le radici nelle tradizioni letterarie sviluppatesi nel corso del V e del IV secolo a.C; in particolare è possibile intuire l’importanza della ‘questione socratica’, all’interno della presentazione biografica di Alcibiade, grazie all’importanza che Plutarco attribuisce al tema della paideiva: il protagonista della Vita viene presentato come un giovane ben dotato, allontanato dagli insegnamenti socratici a causa degli adulatori, che lo avrebbero introdotto

troppo presto nella vita politica, prospettandogli fama e gloria. Il giovane Alcibiade non sarebbe dunque riuscito a completare la propria formazione morale, avrebbe comunque messo a profitto gli insegnamenti pratici impartiti dal maestro, per il conseguimento di obiettivi personali; tuttavia, rimasto privo di una solida educazione, avrebbe finito per restare preda delle proprie intemperanze, prive di un opportuno controllo. Tali temi – che risentono delle riflessioni analizzate, e soprattutto di quelle platoniche – vengono decontestualizzati e inseriti nel disegno morale delle biografie: per questo le imprese politiche vengono lette in chiave moraleggiante.

Attraverso le rielaborazioni dell’immagine di Alcibiade è possibile quindi ripercorrere alcune delle tappe proprie di un processo sviluppatosi a seguito della crisi del sistema ideologico che aveva retto Atene nella seconda metà del V secolo e che aveva fatto della polis democratica il punto di riferimento per ogni cosa. Nel corso del IV secolo si va infatti affermando sempre più un sistema di valori in cui la polis cessa di essere il baricentro delle preoccupazioni dell’individuo: si fa avanti invece un’ideologia nuova, per la quale i cittadini sono portati a disinteressarsi delle faccende della polis, che appare sempre più distante dalle vere esigenze. Si tratta di un processo lungo e complesso, tuttavia le riflessioni politiche e filosofiche a cui viene sottoposta l’immagine di Alcibiade oggettivano almeno in parte alcuni dei temi dibattuti: le rappresentazioni del giovane si allontanano dalla realtà politica per assumere connotati sempre più astratti ed assolvere esigenze filosofiche.

Indice dei nomi antichi e dei luoghi